T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 21-03-2011, n. 2434 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I)- La società ricorrente, costituita nel 1956 con l’oggetto della realizzazione di opere pubbliche, ha eseguito numerosi appalti di lavori con molte Pubbliche Amministrazioni in quasi tutto il territorio nazionale ed in associazione con altre imprese ha lavorato anche all’estero (Arabia Saudita e Libia): dal 1981 al 1992 ha registrato un fatturato in costante aumento, mentre negli anni successivi il fatturato ha avuto un andamento altalenante con tendenza alla riduzione.

Con decreto n. 1171 del 5.5.1999 il Prefetto di Napoli, una volta acquisite dagli Organi di p.g. alcune informazioni (del seguente tenore – 1: per il passato e fino al 1996 la ricorrente ha avuto fra i propri dipendenti il Sig. D’A.D., ritenuto ora dagli Organi di Polizia un imprenditore legato al clan cammoristico Fabbrocino, per conto del quale gestisce l’attività edile anche in campo pubblico, essendo l’effettivo legale rappresentante dell’impresa "E.V.", formalmente intestata al nipote D’A.S.; 2: da alcune ordinanze cautelari e da alcuni interrogatori nei confronti di pentiti sono emersi rapporti tra la ricorrente ed il Sig. D’A., desunti dalle seguenti circostanze: A- in una perquisizione domiciliare dell’1.7.1994 furono rinvenute delle cambiali (forse frutto della pressione estorsiva del clan Fabbrocino) rilasciate dalla ricorrente in favore della ditta di calcestruzzi " L.F.", il cui legale rappresentante era la moglie di un presunto malavitoso; B- la ricorrente aveva concesso in subappalto all’impresa gestita dal Sig. D’A. i lavori di movimento di terra relativi alla costruzione del raddoppio autostradale S.AnastasiaTorre del Greco; C- per tali lavori la ricorrente si era fornita di calcestruzzo dalla ditta " L.F.") e dopo aver ravvisato la necessità di acquisire elementi avvaloranti in modo definitivo l’eventuale tentativo di infiltrazione mafiosa verso la società ricorrente, disponeva accertamenti e verifiche, al fine di "individuare gli effettivi titolari della citata società, nonché di verificare l’esistenza di eventuali elementi sintomatici, attestanti tentativi di infiltrazione mafiosa, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa in parola", affidandoli ai sensi dell’art. 1 e 1 bis del D.L. n. 629/1982 (convertito nella L. n. 726/1982 ed integrato dalla L. n. 486/1988) ad un’apposita Commissione Interforze, composta dal Questore di Napoli o suo delegato, dal Comandante Provinciale dei Carabinieri o suo delegato, dal Comandante Regionale della Guardia di Finanza o suo delegato, dal Dirigente della D.I.A. o suo delegato e dal Dirigente dell’Ispettorato Provinciale del Lavoro.

La predetta Commissione Interforze attivava le relative indagini, affidandole ad alcuni dipendenti, il cui esito veniva esaminato nella riunione del 16.5.2001 e verbalizzato in apposita relazione che così concludeva: "L’attività…… non ha evidenziato attuali elementi di fatto idonei a dimostrare condizionamenti da parte dell’organizzazione camorristica capeggiata da F.M. o di altre organizzazioni presenti sul territorio".Tanto "ad eccezione di quanto emerso e rappresentato nella…relazione (vgs. i rapporti commerciali e di subappalto intrattenuti con ditte di proprietà o comunque riconducibili a soggetti implicati in vicende giudiziarie di criminalità organizzata". Dunque al quadro informativo già in possesso della p.a. venivano ad aggiungersi ulteriori elementi valutativi fra i quali:

– un’intercettazione telefonica nel corso della quale veniva registrato l’invito del Rag. M.A. (all’epoca Amministratore Delegato della società ricorrente, poi dimessosi su pressione dei legali rappresentanti della ricorrente) al Sig. D’A.D. "a recarsi presso la ditta mercoledì mattina 7.5.1997 per prendere un caffè con l’Ing. C., chiedendogli la questione dell’autorizzazione all’ANAS, ottenendo la risposta che era tutto a posto"; poi durante la conversazione telefonica il Rag. M. chiede la consegna della fattura al D’A., il quale assicura di portarla, precisando che "l’importo riguarda tutt’altra cifra, perché egli si preoccupa pure per gli altri" (sul punto la relazione osserva che il contenuto della conversazione telefonica "denota una certa confidenza e lascia ampi spazi di supposizione quando asserisce che si preoccupa pure per gli altri" e la conoscenza da parte dei responsabili della ricorrente che l’impresa "E.V." era riconducibile al Sig. D’A. D., per cui vi era la reciproca volontà di eludere la normativa antimafia nel subappaltare i lavori all’impresa "E.V.");

– l’Ord. di custodia c.c. n.167/00 del 14.4.2000 dal contenuto della quale "emergono ripetutamente rapporti tra lo I. (ndr.: a.u. dell’I.p.a., Impresa Appalti Pubblici e cognato di N.E. affiliato al clan camorristico Fabbroncino) e la società C.E.B. e non si esclude che N.E. possa influenzare le scelte e gli indirizzi della società" (ved. relazione del Comando Provinciale CC del 15.1.2001);

– l’elenco clienti e fornitori della C.E.B. negli anni dal 1995 al 2000, la cui disamina conferma i rapporti commerciali intrattenuti con le ditte, sopra menzionate, "E.V.", " L.F." e "Ipa"; (ved. Relazione Gico della G.d.F. del 4.1.2001).

Nella riunione del 4.7.2001 la citata Commissione Interforze esprimeva la seguente valutazione finale: "pur prendendo atto delle conclusioni cui è pervenuto il personale subdelegato appartenente ai rispettivi Comandi e Uffici, ma soprattutto ritenendo incidente sul punto il richiamo di attenzione su quanto ampiamente ed esaurientemente rappresentato dal citato personale subdelegato in ordine ai rapporti commerciali intercorrenti tra la ditta oggetto di accesso ed altre riconducibili direttamente o indirettamente alla criminalità organizzata, esprime il parere che nel caso di specie sussista il fondato pericolo di condizionamento camorristico sulla ditta C.E.B. S.p.A., rimettendo le presenti considerazioni al Gruppo Ispettivo Antimafia", il quale confermava nella stessa giornata del 4.7.2001 le predette valutazioni finali, facendo presente che "la società C.E.B. S.p.A., pur essendo a conoscenza che D’A.D. e la società E.V. fossero soggetto e impresa pesantemente coinvolti in rapporti con l’organizzazione criminale facente capo a Mario Fabbrocino, ha continuato finanche nell’anno 2000 ad avere rapporti commerciali con il citato D’A.";

I verbali delle riunioni della Commissione Interforze del 16.5.2001 e del 4.7.2001 ed il parere conforme del G.I.A. del 4.7.2001 furono inviati al Prefetto di Napoli, il quale con provvedimento del 16.7.2001 attestava che sussistevano nei confronti della società ricorrente "tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionarne le scelte e gli indirizzi".

Tali atti sono stati impugnati dalla ricorrente dinanzi al TAR Napoli, il quale, con decisione n. 1821/2003 (assunta nelle camere di consiglio del 29. 5 e 13.6.2002 e pubblicata il 26.2.2003), ne ha disposto l’annullamento, ritenendo che gli elementi posti a base del giudizio di pericolosità sono di dubbia portata e non provano né la connivenza tra la ricorrente ed il Sig. D’A., né i tentativi di infiltrazione mafiosa.

II)- Intanto nell’anno 2000 la ricorrente aveva trasferito la propria sede legale da Napoli a Roma.

Il Prefetto di Roma:

– in data 24.6.2002 rilasciava al Consorzio di Bonifica Stornara e Tara il certificato con il quale veniva attestato che non sussistevano impedimenti all’affidamento del contratto di appalto, relativo all’affidamento dei lavori di sistemazione idraulica del canale Maestro, nei confronti della ricorrente;

– con proprio decreto n. 1 del 7.1.2003, dopo aver precisato che "gli Organi di Polizia interessati hanno confermato la sussistenza dei motivi ostativi già evidenziati dal Prefetto di Napoli" (nell’ambito di tale provvedimento viene pure fatto riferimento ad una nota del 28.8.2002, inviata dal Prefetto di Napoli, con la quale venivano comunicati al Prefetto di Roma il provvedimento emanato il 16.7.2001 e gli esiti della connessa attività investigativa) "e in particolare hanno ipotizzato che il trasferimento della sede della società in questione da Napoli a Roma è stato realizzato allo scopo di ottenere da questo Ufficio quanto precedentemente negato dall’omologo Ufficio di Napoli", e dopo aver sentito il parere del Gruppo Investigativo Antimafia formulato il 18.12.2002, revocava con decorrenza immediata la liberatoria antimafia nei confronti della società ricorrente;

Tale decreto prefettizio veniva comunicato con nota prot. n. 3 del 7.1.2003 al Consorzio di Bonifica Stornara e Tara, il quale a sua volta con nota prot. n. 2784 del 21.3.2003 partecipava alla ricorrente l’avvio del procedimento finalizzato alla revoca dell’aggiudicazione e del conseguente contratto, relativo all’affidamento dei lavori di sistemazione idraulica del canale Maestro.

Il decreto prefettizio n. 1/2003 veniva impugnato – deducendo, fra l’altro, l’elusione della Sent. TAR Napoli n. 1821/2003 nonché l’eccesso di potere per contraddittorietà – innanzi al Tar Lecce, che, con decisione n.8975 del 19.12.2003 (il cui dispositivo veniva pubblicato il 18.10.2003), dopo aver escluso:

– la fondatezza del dedotto vizio di eccesso di potere per contraddittorietà di comportamento ("in quanto il Prefetto di Roma al momento della comunicazione della liberatoria antimafia al Consorzio di Bonifica Stornara e Tara con nota del 24.6.2002 non era al corrente della valutazione sui tentativi di infiltrazione mafiosa effettuata dal Prefetto di Napoli (e comunicata da tale Autorità amministrativa al Prefetto di Roma con nota del 28.8.2002) e tale circostanza potrebbe costituire un fatto nuovo, idoneo a legittimare la revoca della predetta liberatoria antimafia, certificazione che in ogni caso viene sempre rilasciata allo stato degli atti");

– la fondatezza della dedotta doglianza di elusione della Sentenza n. 1821/2003 emanata dal TAR Napoli, (…dal momento che una diversa Autorità amministrativa (nella specie Prefetto di Roma) può esprimere un giudizio di tentativo di infiltrazione mafiosa, anche se basato su accertamenti disposti da un’altra Autorità amministrativa (Prefetto di Napoli), se confermato da ulteriori indagini o circostanze di fatto e frutto di valutazioni diverse, non esternate dal precedente organo amministrativo");

accoglieva il gravame con annesso annullamento del decreto prefettizio del 7.1.2003 e degli ulteriori atti in tale sede impugnati.

III)- Entrambe le decisioni sopra richiamate venivano appellate dal Ministero dell’Interno con ricorsi entrambi respinti con le sentenze del Cons. St.:

– IV^ sez. nr. 2783/2004 del 04.5.2004;

– VI^ sez. nr. 2849/2006 del 29.5.2006.

IV) – Con ricorso notificato all’amministrazione dell’Interno il 13.5.2008, la s.p.a. C.&.B. ha proposto autonoma domanda risarcitoria per ottenere il risarcimento dei danni (come in epigrafe quantificati) per la perdita degli appalti già aggiudicati e per la sua sostanziale esclusione dal mondo degli appalti stessi "per oltre un decennio" (così pag.17 gravame).

Si è costituito in giudizio l’evocato Ministero col deposito sia di articolate note controdeduttive delle Prefetture di Napoli e Roma che di memoria curata dalla Difesa erariale in cui, preliminarmente, si eccepisce l’intervenuta prescrizione della pretesa risarcitoria, il difetto di legittimazione processuale a resistere e, ancora, la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti delle Stazioni appaltanti che sarebbero recedute dai contratti in corso di esecuzione con la ricorrente.

Nel merito la Difesa erariale ha contestato, ripetutamente, la mancanza di prova del danno rivendicato da parte attrice nonché l’assenza dell’elemento soggettivo (colpa grave) nei confronti delle Prefetture di Roma e Napoli.

La ricorrente ha presentato una prima memoria conclusionale l’1.10.2010. Quindi all’udienza del 14.10.2010 ha chiesto termine a difesa (che le è stato accordato) per poter adeguatamente controdedurre in ordine alle eccezioni sollevate dalla resistente amministrazione. E’ dunque seguito il deposito di una seconda memoria il 5.1.2011.

Nessun ulteriore documento è stato prodotto dalla Difesa erariale.

All’udienza del 10.2.2011, la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.
Motivi della decisione

I)- Il quadro degli accadimenti che ha preceduto la spedizione in decisione della causa è stato articolatamente descritto in narrativa. In particolare si è ivi dato atto che:

– la prima antimafia interdittiva (della Prefettura di Napoli) è del 16.7.2001 e che la sentenza di annullamento (del Tar Napoli) è stata pubblicata il 26.2.2003;

– la seconda antimafia interdittiva (della Prefettura di Roma) è del 7.1.2003 e la sentenza di annullamento del Tar Lecce è stata pubblicata (quanto al dispositivo) il 18.10.2003.

Entrambi i ricorsi introdotti innanzi ai Tribunali campano e pugliese non contenevano domanda risarcitoria. Una domanda di tale natura è stata azionata, autonomamente e per la prima volta, col ricorso introduttivo dell’odierno giudizio che è stato notificato (esclusivamente) alla resistente amministrazione nel maggio del 2008.

I.1)- Tanto premesso occorre ora, per ragioni di comodità espositiva, preliminarmente soffermarsi sulla questione concernente la prescrizione della pretesa risarcitoria: questione dedotta dalla Difesa erariale assumendo che il relativo termine quinquennale (si tratta – come peraltro la stessa parte attrice conviene – di danni causalmente ricollegabili ad una responsabilità di natura extracontrattuale) decorre "dalla data dell’illecito e non certo dalla pronuncia giurisdizionale relativa alla diversa e distinta azione di annullamento del provvedimento (C.g.a. 16.9.2008, nr. 762)".

La società ricorrente contrappone a tale deduzione l’orientamento del Giudice amministrativo che, al tempo di produzione del gravame, aveva sempre, graniticamente, affermato e ribadito il principio della c.d. "pregiudiziale amministrativa" (che, sinteticamente si rammenta, assoggetta la domanda risarcitoria al previo annullamento degli atti autoritativi lesivi e, pertanto, alla loro tempestiva impugnazione) con la conseguenza che il termine prescrizionale non poteva – in sintonia con tale radicato orientamento – che decorrere dalla data del passaggio in giudicato (verificatosi a seguito delle pronuncia del Giudice di appello) della sentenza di annullamento del provvedimento illegittimo foriero di danno.

Rappresenta, inoltre, la società ricorrente che non v’è stata soluzione di continuità tra le due informative interdittive (la seconda informativa è del 7.1.2003 e, quindi, è temporalmente intervenuta prima dell’annullamento giurisdizionale (per opera della decisione del Tar NA del 26.2.2003) dell’informativa del Prefetto di Napoli del 16.7.2001). Traducendosi ogni illegittima informativa interdittiva in un provvedimento a effetti lesivi permanenti (sin quando, ovviamente, non vengono rimossi), il cumulo di tali effetti (dovuto, nell’impostazione della ricorrente, all’assenza di una soluzione di continuità tra i provvedimenti delle Prefetture partenopea e romana), importa che il termine prescrizionale di cui trattasi non poteva che decorrere, quantomeno, dalla data (ottobre 2003) del deposito della sentenza del Tar salentino.

E poiché, aggiunge la ricorrente, il gravame odierno è stato notificato (maggio 2008) prima del decorso di cinque anni dal deposito di tale pronuncia, nessuna prescrizione può dirsi intervenuta.

In ogni caso, ed in via subordinata, essa invoca la remissione in termini sussistendo le condizioni per riconoscere l’errore scusabile.

I.2)- Per poter definire la, come sopra perimetrata e circoscritta, questione relativa alla prescrizione della pretesa risarcitoria di cui trattasi, si impone, ad avviso del Collegio, la separazione e distinzione tra le due informative interdittive.

Si è già detto in narrativa che il Tar Lecce, con sentenza ormai coperta da giudicato, ha sottolineato l’autonomia che contraddistingue le due informative (l’una, del 16.7.2001, della Prefettura di Napoli e l’altra, del 07.1.2003, della Prefettura di Roma) laddove ha espressamente escluso la fondatezza dei vizi, in detta sede prospettati, di eccesso di potere sia per contraddittorietà di comportamento che per elusione della decisione del Tar Napoli: dato questo cui accede, senza che sia necessario spendere ulteriori e superflue considerazioni, l’infondatezza dell’assunto, patrocinato dalla ricorrente, che i due atti siano una sorta di "unicum" connotato dall’assenza di soluzione di continuità (va ricordato, fra l’altro, che il Prefetto di Roma il 24.6.2002 aveva rilasciato la liberatoria antimafia).

I.2.a) – Tanto premesso, il capo di domanda introduttivo della pretesa risarcitoria dei danni conseguenti all’illegittima informativa della Prefettura Roma, resiste validamente all’eccezione sollevata dalla resistente amministrazione.

Al riguardo – lo si è già detto – gli effetti lesivi derivanti da tale provvedimento sono stati rimossi dalla sentenza (che è, ovviamente, immediatamente esecutiva) del Tar di Lecce (dispositivo pubblicato il 18.10.2003); e pertanto la notifica del gravame in epigrafe, risalente al 13.5.2008, è, all’evidenza, stata effettuata, non oltre ma, durante il corso del termine prescrizionale quinquennale.

I.2.b)- Considerazioni diverse si impongono con riferimento al capo di domanda risarcitoria che ha come termine di riferimento l’illegittima antimafia interdittiva della Prefettura di Napoli.

Qui l’eccezione della resistente meriterebbe, in linea di principio, condivisione.

E’ vero che la giurisprudenza amministrativa (cfr. ex plurimis, Ad.Pl. n. 4/2003; Cons.St. nr. 4461 del 2005) e ordinaria (Cass. sez. lav. nr.26755 del 2006) avevano più volte affermato che il dies a quo per il computo della prescrizione, relativo alla domanda di risarcimento del danno, decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento del provvedimento lesivo dell’interesse legittimo.

Ma è altresì vero che tale orientamento è stato contraddetto a partire dalle decisioni (si tratta delle famose ordinanze delle SS.UU. nn. 13659 e 13660 del 2006) con cui la Corte regolatrice ha affermato che l’accertamento del danno non può risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento nè il diritto al risarcimento può essere per sè disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità. Spetta dunque alla parte scegliere tra la tutela demolitoria ovvero quella risarcitoria e tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo non v’è quello che l’atto in cui la funzione si è concretata sia stato previamente annullato in sede giurisdizionale o amministrativa.

Questo innovativo indirizzo di pensiero è stato poi, sul versante ordinario, ribadito dalle Sezioni Unite nell’ordinanza 16 novembre 2007 n. 23471 (e, dopo la proposizione del ricorso di cui trattasi da Cass. ss.uu. n.30254/2008, 6.3.2009 nr. 5464 e 30.3.2010 nr.5025); mentre sul versante giurisprudenziale amministrativo è stato (condiviso e) affermato (prima della proposizione del gravame in epigrafe) dal Cons. St.31.5.2007, nr. 2822; C.g.a 18 maggio 2007, n. 386, e 15 giugno 2007, n. 485; Cons. St., 21.6.2007, nr. 3321, affermandosi che (ved. C.g.a. 16/09/2008 n. 762 ed i precedenti ivi richiamati), una volta escluso che il presupposto di ammissibilità della domanda risarcitoria sia l’annullamento dell’atto, ne deriva il corollario dell’immediato decorso del termine prescrizionale dal momento in cui il danno si sia effettivamente verificato; e più precisamente, nel caso di provvedimento ad effetti lesivi permanenti dalla data in cui tali effetti siano rimossi (cfr., di recente, Cons. St., 6 dicembre 2010 n. 8549 che richiama Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 2009, n. 5523 e sez. V, 9 giugno 2009, n. 3531). Segue a tanto (e ciò anche in considerazione del monito della Corte regolatrice "Dunque il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione"), che, essendo stati gli effetti rivenienti dall’antimafia interdittiva della Prefettura partenopea, rimossi con decisione (Tar NA) immediatamente esecutiva a partire dal 26.2.2003, il capo di domanda risarcitoria collegato a tale antimafia dovrebbe ritenersi falcidiato dalla prescrizione in quanto prodotto oltre il termine di cinque anni decorrente dalla citata data.

Sennonchè una tal conclusione, ove sic et simpliciter statuita, finirebbe col trascurare l’acutezza del dissenso che sulla tematica della c.d. pregiudiziale amministrativa ha separato per anni (sia prima che dopo la proposizione del gravame) le due Magistrature (si ricordi che Cass.SS.UU. 23.12.2008 nr. 30254 ha cassato l’Ad.Pl. n.12 del 22.10.2007): dissenso che la Magistratura amministrativa ha cercato di superare affermando (anche di recente come si vedrà) che la mancata impugnativa dell’atto asseritamente illegittimo ritenuto foriero del danno reclamato, non comportava una preclusione di ordine processuale all’esame nel merito della domanda risarcitoria, ma determinava un esito negativo nel merito dell’azione di risarcimento in quanto la mancata impugnazione dell’atto fonte del danno consentiva a tale atto di operare in modo precettivo dettando la regola del caso concreto ed impedendo così che il danno potesse essere considerato ingiusto od illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione in esecuzione dell’atto inoppugnato (cfr., Cons. St.nn. 2436 e 1917 del 2009; nr.2515 del 2008).

Un dissenso, quello dianzi sintetizzato, che ha avuto anche recenti ed ultime manifestazioni (cfr. Cons.St. 15.10.2010 nr. 7525); e, dunque, idoneo a rendere ambigua la questione di cui trattasi e a documentare una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili: il che consente di ritenere scusabile l’errore commesso e di prestare adesione alla richiesta di rimessione in termini, prudentemente e saggiamente, invocata da parte ricorrente.

II)- L’altra questione la cui trattazione si impone in via preliminare è quella, sollevata dall’amministrazione dell’Interno, incentrata sul proprio difetto di legittimazione a resistere. Sostiene la Difesa erariale che per effetto delle annullate informative prefettizie, tanto le mandatarie delle Ati aggiudicatrici dei lavori ed esecutrici dei contratti rispetto ai quali le Stazioni appaltanti (Gestione Governativa Ferrovie Alifana e Benevento e Consorzio di Bonifica Stornara e Tara) hanno esercitato la facoltà di recesso, quanto queste ultime avrebbero dovuto essere chiamati in giudizio: tesi questa non condivisa dalla ricorrente che rinviene nei soli provvedimenti annullati la causa generatrice dei danni sofferti (pag. 2 memoria 05.1.2011) ed addebita alla sola amministrazione dell’Interno (ved. pag. 14 memoria 1.10.2010) la correlata responsabilità.

Entrambe tali trame difensive non persuadono il Collegio. E tanto per le considerazioni che di seguito si rassegnano.

Occorre rammentare che dall’analisi degli atti di causa si evince che:

– l’interdittiva antimafia dei 16.7.2001, scaturisce dalla richiesta del 19.1.1999 (ved. doc. nr. 14 della produzione di parte ricorrente) promossa dalla Gestione Governativa Ferrovie Alifana e Benevento (che è la stazione) appaltante i lavori aggiudicati all’Ati capeggiata dall’A. s.p.a. e della quale Ati l’odierna ricorrente era mandante. Nel corso dell’iter istruttorio, il Prefetto di Napoli si è avvalso dei poteri di indagine ed accertamento di cui alla lettera c) del comma 7 dell’art.10 del d.P.R. n.252 del 1998 (ossia, come precisato nel preambolo dell’informativa del 16.7.2001, i poteri di cui agli art. 1, 1bis, 1 ter, 1 quater, 1 quinquies e 1 sexies del d.l. n.629 del 1982, già spettanti all’Alto Commissario per il coordinamento alla lotta contro la delinquenza mafiosa le cui funzioni, a decorrere dall’1.1.1993, sono state attribuite al Ministro dell’Interno con facoltà di delega nei confronti dei Prefetti e del Direttore della D.I.A.). Quindi, ultimato (dopo circa due anni e mezzo) l’iter istruttorio ha adottato la determinazione del 16.7.2001 informando della sussistenza di tentativi di infiltrazioni mafiose da parte della criminalità organizzata;

– l’informativa antimafia del 07.1.2003 revoca, con decorrenza immediata, una liberatoria antimafia rilasciata il 24.6.2002 dalla stessa Autorità agli enti richiedenti Anas e Consorzio di Bonifica di Stornara e Tara.

Nessun dubbio può allora insorgere sul fatto che entrambe le informative di cui trattasi sono intervenute allorquando i lavori appaltati erano già in corso di esecuzione. E d’altro canto sia il d.lgs. 490 del 1994 che il d.P.R. nr. 258 del 1992 prevedono (rispettivamente art. 4 c.5 e art.11 c.2) che, qualora non pervengano le informazioni richieste al Prefetto entro il termine ivi specificato, le stazioni appaltanti possono procedere alla stipula dei contratti (in tal caso sottoposti a condizione risolutiva) e all’affidamento dei lavori, salva, in ogni caso, la facoltà di recedere dai contratti pagando il valore delle opere già eseguite e rimborsando le spese sostenute per l’esecuzione del rimanente.

Eguale facoltà di revoca è accordata alle stazioni quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto (art.4 c.6 d.lgs. n.490/1994 ed art.11 c.3 del d.P.R. n. 252 del 1998).

Ora la norma parla di "facoltà"; e cioè di un (così definito da Cass. civ. SS.UU. n.391/2011) "irrinunciabile potere autoritativo di valutazione discrezionale" dei requisiti del contrante al fine del mantenimento in vita del contratto. E si tratta di un aspetto fondamentale perché è quello che ha indotto la Corte regolatrice a ritenere che, a fronte di tale facoltà, la posizione dell’appaltatore è di interesse legittimo con la conseguenza che, (in deroga al principio generale che assegna all’Ago la cognizione delle controversie relative alle vicende inerenti i contratti già in corso (cfr. Cass. ss.uu. n. 29425 del 2008; Ad.Pl. n.9 del 2008)), la giurisdizione, nelle fattispecie anzidette, spetta al G.a. (cfr. Cass.ss.uu., n.391 del 2011 cit. e nn. 29425, 28345 e 21928 del 2008; C.g.a. n.9 del 2011). Ora, pur se si discute in giurispridenza sui contenuti di tale potere discrezionale (nel senso che non è consentito alla Stazione di sindacare l’informativa prefettizia ma – e sebbene il collegamento dell’impresa con organizzazioni malavitose sia stato accertato – solo di non revocare l’appalto: e tanto a conclusione di una valutazione di convenienza fondata sul tempo di esecuzione del contratto, sulle difficoltà di trovare un nuovo contraente e sullo stato di esecuzione dei lavori, e sempre al fine di tutelare l’interesse pubblico (che può risultare pregiudicato da un’interruzione dei lavori): cfr., in tal senso Cons.St. nr.4135 del 2006 e 4408 del 2005)), in ogni caso tale potere valutativo discrezionale esiste, è ritenuto irrinunciabile ed è sulla base dello stesso che questo Tribunale è titolare della giurisdizione per controversie quale quella in trattazione.

Dunque, in presenza di un recesso contrattuale collegato ad un’informativa interdittiva, entrano sempre in gioco due distinte valutazioni e, di conseguenza, due distinte (e scindibili) responsabilità: l’una facente capo alla Prefettura, l’altra, autonoma e discrezionale nei limiti dianzi delineati, facente capo alla Stazione appaltante. Ne accede, quale logico corollario, che una pretesa risarcitoria (come quella in trattazione) per i danni (inclusi quelli all’immagine) subiti per effetto della mancata esecuzione dei contratti:

– deve, in primo luogo, essere ridotta, del pagamento (che, a mente delle norme sopra citate, grava sulla stazione appaltante) delle opere già realizzate, oltre al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite;

– deve essere apprezzata anche luce del contegno tenuto dalla Stazione appaltante una volta comunicatale la rimozione giurisdizionale del provvedimento interdittivo (e cioè occorre apprezzare se la società esclusa dai lavori abbia reso tale comunicazione alla Stazione e le ragioni per le quali quest’ultima, eventualmente, non ne abbia disposto il subentro nel contratto per il quale si era avvalsa della facoltà di recesso);

– non può, come erroneamente sostiene parte ricorrente, essere rivendicata unicamente (id est: nella sua globalità) nei soli confronti dell’amministrazione dell’Interno, fermo restando che quest’ultima, ovviamente, ha interesse a contraddire (ed è, dunque, certamente titolare di legittimazione a resistere) ed a opporsi a quella frazione della pretesa risarcitoria che è legittimamente reclamabile nei suoi confronti.

Ne segue, ulteriormente, che il concorso nella determinazione del danno di cui trattasi di due distinte, discrezionali, e – nei limiti sopra descritti – autonome determinazioni, non rende necessaria l’integrazione, per ordine di questo Giudice, del contraddittorio processuale nei confronti delle Stazioni appaltanti che si sono avvalse della facoltà di recesso contrattuale, con riveniente infondatezza, in parte qua, dell’eccezione sollevata dalla resistente amministrazione dell’Interno.

III)- Vanno ora affrontati e scrutinati i delicati profili di merito della controversia.

Ovviamente, quale premessa metodologica, va rammentato che, in base ai principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ai fini dell’accoglimento di una domanda risarcitoria proposta ex art. 2043 c.c., nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, il giudice deve compiere le seguenti indagini: a) in primo luogo, deve accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) deve, poi, stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) deve, inoltre, accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della P.A.; d) deve accertare, infine, se detto evento dannoso sia imputabile a responsabilità della P.A.; imputazione, questa, che non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo, essendo necessaria, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana (giur. za pacifica; cfr., di recente, Corte Cass., III^, sent. 23 febbraio 2010 n. 4326; non si trascuri, poi, che sul versante giur.le amministrativo, il Cons.St. ha aggiunto che "la mera adozione di un atto amministrativo illegittimo rappresenta solo uno degli elementi costitutivi di una fattispecie a formazione progressiva, che colloca il diritto al risarcimento del danno al momento in cui, dopo la rinnovazione del procedimento annullato, l’Amministrazione abbia adottato, spontaneamente o a seguito del giudizio di ottemperanza, un provvedimento favorevole all’interessato": sent. nr. 2819 del 2010).

Altrettanto consolidato e radicato è, poi, l’insegnamento giurisprudenziale in sintonia al quale, ai fini del risarcimento dei danni asseritamente provocati dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo, l’interessato, ai sensi di quanto disposto dall’art.2697 cod.civ,, è tenuto a fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno (C.d.S., nr, 2819/2010 cit., A.P. 30 luglio 2007, n. 10; sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967; sez. IV, 2 marzo 2004, n. 973). Altrimenti detto, in materia di risarcimento del danno, vertendosi in tema di diritti soggettivi, trova piena applicazione il principio dell’onere della prova e non invece l’onere del principio di prova che, almeno tendenzialmente, si applica in materia di interessi legittimi. Il giudice può intervenire in via suppletiva, con la liquidazione equitativa del danno, solo quando non possa essere fornita la prova precisa del quantum di danno, ma resta fermo che l’an del danno va provato dall’interessato (Corte di Cassazione, sez. II, 17 marzo 2006, n. 6067). Né si può invocare la consulenza tecnica d’ufficio, perché questa non è un mezzo di prova, ma strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti. Pertanto, il giudice non può disporre una C.T.U., pena la violazione del principio di parità delle parti, per accertare l’an del danno dedotto (cfr., in tal senso, ex plurimis, Cons.St. nr. 176 del 2009). L’assolvimento dell’onere probatorio è dunque di fondamentale importanza sia perché, com’è noto, il diritto entra nel processo attraverso le prove, ma queste ultime devono avere ad oggetto fatti specifici e circostanziati (anche ai fini di consentire alla controparte l’effettivo esercizio del diritto di difesa), sia perché non può neppure invocarsi il c.d. principio acquisitivo, relativo allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti.

III.1)- Tanto premesso e rammentato, l’onere di cui trattasi – nonostante la Difesa erariale abbia chiaramente, sulla materia della prova del danno, sfidato la ricorrente ad offrirne adeguato riscontro – non può, a seguito di una approfondita indagine sugli atti di causa (al ricorso sono stati allegati 40 documenti), ritenersi assolto con riferimento ai danni causalmente ricollegati all’informativa interdittiva della Prefettura di Roma.

Tale provvedimento, si ricorda:

– ha preceduto di qualche mese la sent. del Tar NA del 26.2.2003;

– è del 7.1.2003;

– è stato annullato dal Tar Lecce, con decisione il cui dispositivo è stato pubblicato il 18.10.2003.

Alla data del 7.1.2003 era stato da poco stipulato (con precisione l’11.11.2002) il contratto per l’esecuzione di vari lavori tra il Consorzio di bonifica Stornara e Tara e l’Ati della quale l’odierna ricorrente era capogruppo mandataria e le società Coestra s.p.a. ed E.C. s.r.l. erano mandanti (lavori consegnati il 21.1.2003: ved. doc. nr. 35).

Quelli che seguono sono gli accadimenti successivi al 7.1.2003, come documentati dagli atti versati in giudizio dalla stessa ricorrente:

– Il 21.3.2003 il Consorzio partecipa All’Ati la ricezione dell’informativa interdittiva (pervenuta il 18.3.2003) e l’avvio del procedimento finalizzato alla "revoca dell’aggiudicazione e conseguente contratto" (ved., doc. n. 33);

– Il 31.3.2003 la soc. Ingg.C.E.B. s.p.a. comunica al Consorzio – e, p.c. alle mandanti dell’Ati – che l’informativa interdittiva del Prefetto di Napoli (costituente uno dei presupposti dell’analogo provvedimento del Prefetto capitolino) è stata annullata dal Tar NA con sent. nr. 1821 del 26.2.2003;

– Il 04.4.2003, la soc. Ingg.C.E.B. s.p.a. specifica e ribadisce al Consorzio (allegando copia della predetta decisione del Tar NA) che l’avvio del procedimento deve ritenersi errato, invitandolo a desistere dallo stesso, pena il ricorso alle vie legali (doc.nr. 24);

– L’08.9.2003 la E.C., invita l’avv. Como (procuratore dell’odierna ricorrente) ad approntare "la lettera con la quale la C.&.B. comunica l’uscita dal Raggruppamento temporaneo per l’esecuzione dei lavori" (doc. nr. 36);

– Il 03.11.2003 il Consorzio partecipa all’Ati (doc.nr. 37) di "aver accolto l’ipotesi di estromissione della soc. C.&.B. dall’Ati" avanzata al medesimo Consorzio con nota del 10.9.2003 (non presente in atti). Quindi invita le società mandanti (anch’esse in indirizzo) ad adottare gli atti rettificativi del contratto associativo.

Null’altro.

E’ quindi evidente, poiché alla data del 03.11.2003 era stato già pubblicato (18.10.2003) il dispositivo della sentenza del Tar Lecce che annullava l’informativa interdittiva della Prefettura di Roma, che la necessità di approntare "gli atti rettificativi del contratto associativo" era, a tale data, già venuta meno. E, difatti, nessun documento è ulteriormente offerto dalla ricorrente a dimostrazione di una sua reale estromissione dalla compagine associativa ovvero di alcuna, pur precedentemente minacciata, iniziativa processuale nei confronti del Consorzio, a tutela della propria posizione (si noti che con l’annullamento dell’antimafia del 7.1.2003 riprendeva vigore e validità la precedente liberatoria del 24.6.2002 rilasciata dal medesimo Prefetto ed utilizzata ai fini dell’aggiudicazione dei lavori appaltati dal Consorzio).

La mancanza di prova alcuna del danno asseritamente subito (per effetto dell’informativa della Prefettura romana) è poi radicale ove si abbia riguardo ad altri lavori ipoteticamente aggiudicati, ovvero eseguiti per conto di altre Stazioni appaltanti. Il ricorso introduttivo, sul punto, manca di puntuali riferimenti; ed analoga situazione si riscontra nella memorie difensive successivamente depositate, di talché l’assunto che la ricorrente sia rimasta fuori dal "mondo degli appalti pubblici fino al 2006" (ved. pag. 2 memoria del 5.1.2011) è (a prescindere dalle considerazioni che, sul punto, troveranno, in seguito, esposizione) del tutto apodittico ed indimostrato.

III.2)- Parzialmente diversa è la tematica della prova del danno collegato agli effetti lesivi dell’antimafia interdittiva della Prefettura di Napoli.

Tale interdittiva del 16.7.2001, lo si è già ricordato, scaturisce dalla richiesta del 19.1.1999 (ved. doc. nr. 14 della produzione di parte ricorrente) promossa dalla Gestione Governativa Ferrovie Alifana e Benevento (che è la stazione) appaltante i lavori aggiudicati all’Ati capeggiata dall’A. s.p.a. e della quale Ati l’odierna ricorrente era mandante. Sotto lo stesso documento nr. 14 della produzione di parte ricorrente è unita la comunicazione del 23.7.2001 con la quale la Gestione Governativa Ferrovie Alifana e Benevento partecipa all’Ati capeggiata dall’A. s.p.a la predetta informativa antimafia invitando la mandataria "ad attivare tutte le necessarie procedure che il caso richiede".

L’ulteriore, ed ultimo, documento concernente tale rapporto associativo, è costituito dalla sentenza del Tar NA nr.666/2008 che, nell’accogliere il ricorso azionato nel lontano 2001 dall’Ing. C.&.B. s.p.a. avverso la predetta nota del 23.7.2001, menziona, nella relativa narrativa, che detta società fu espunta dall’Ati nell’agosto 2001.

Dunque – (e pur se manca, sia nella sentenza che nella documentazione di parte, qualsiasi riferimento alla fase cautelare del giudizio (ed al relativo esito) nonché al contratto intercorrente tra l’A. e la Gestione Governativa (per dedurne la durata dei lavori affidati alla mandante); e, pur se manca, ogni indicazione o dato su un eventuale reingresso della C.&.B. s.p.e. nella compagine associativa all’indomani del 26.2.2003, data dell’annullamento dell’informativa interdittiva) – si può ritenere, in ogni caso, provata l’estromissione della ricorrente dall’Ati capeggiata dalla A. e che, pertanto, la ricorrente ha perso l’utile derivante dai lavori che non le è stato consentito di portare a termine.

La prova (dei danni) fornita dalla ricorrente non travalica, però, tale rapporto.

Al riguardo, lo si è già detto, la Difesa erariale ha manifestamente rilevato la carenza di supporto probatorio alcuno al danno reclamato dalla ricorrente. E si tratta di una deduzione, in parte qua, corretta.

Nella memoria difensiva da ultimo prodotta (quella del 05.1.2011 depositata dopo che la ricorrente aveva chiesto ed ottenuto termine a difesa) la C.E.B. s.p.a. evoca (ved. pagg. 2 e 14), a sostegno della pretesa risarcitoria, (non la propria, ma) documentazione di controparte, e cioè la nota di controdeduzioni redatta il 30.8.2008 dalla Prefettura di Napoli: nota in cui si dà atto che tale U.t.g. ha comunicato l’informativa interdittiva del 16.7.2001 alla Gestione Governativa Ferrovie Alifana e Benevento, all’Anas Roma, al comune di Cerreto Sannita, alla Regione Campania, alla Regione Sicilia, alla società Tav, al Consorzio Rione Terra ed al Consorzio Coinpa. Soggiunge la ricorrente (pag. 14 memoria del 05.1.2011) che "Solo da tale spontanea dichiarazione può trarsi il convincimento che la Ingg. C.E.B. s.p.a., abituale appaltatrice dell’Anas e della Regione Campania e della Tav, ha perso la possibilità di partecipare a gare per centinaia di miliardi di lavori con tali enti, per dichiarazione stesa del Prefetto di Napoli e non ha potuto né partecipare a gare, né sottoscrivere contratti e quindi atti aggiuntivi e nemmeno ha potuto partecipare a compagini societarie con altri imprenditori…".

Ora, lo si è già detto, la domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. (nel nuovo C.p.a., vedi art. 64 c.1), in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, per cui grava sul danneggiato l’onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa).

E si è già detto che l’interessato deve fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno (ved. nel nuovo C.p.a. art.124 c.1 che richiede che il danno sia "subito e provato") sia perché, com’è noto, il diritto entra nel processo attraverso le prove (ma queste ultime devono avere ad oggetto fatti specifici e circostanziati anche ai fini di consentire alla controparte l’effettivo esercizio del diritto di difesa), sia perché non può neppure invocarsi il c.d. principio acquisitivo, valevole nel caso do giudizio impugnatorio.

E certamente non può dirsi assolto con il rinvio alla citata dichiarazione di controparte l’onere probatorio gravante sulla ricorrente. E’ quest’ultima che – proprio perché rientranti nella propria disponibilità – avrebbe dovuto (non prospettare in via deduttiva, ma) comprovare ed esibire gli atti certificanti la revoca dell’aggiudicazione di gare, la estromissione da compagini associative, il recesso da contratti già sottoscritti… ecc. Ma nulla di tutto ciò è stato fatto e, pertanto, alcun onere probatorio può riconoscersi assolto.

Né, in alcun modo, persuade l’assunto, più volte ribadito negli scritti difensivi della ricorrente, che costei è stata allontanata dal mondo degli appalti fino al 2006 poiché la Prefettura "ha sempre negato l’informativa favorevole anche dopo l’adozione dei provvedimenti giudiziari di primo grado" (ved. pag.13 memoria del 05.1.2011). Ancora una volta si tratta di affermazioni, per un verso, prive di riscontro alcuno e, per altro verso, giuridicamente non apprezzabili. E difatti, una volta giurisdizionalmente demolite dai citati Tribunali le informative di Napoli e di Roma, nulla vietava alla ricorrente di partecipare a tutte le gare d’appalto indette dalle pp.aa.

La normativa (d.P.R. n.252 del 1998 cit.) disciplina negli artt. da 2 a 9 il rilascio della certificazione antimafia, specificando il periodo di utilizzabilità della stessa ed i soggetti ai quali deve riferirsi (art.2). La comunicazione scritta della Prefettura viene ad assumere natura residuale essendo ammessa quando i collegamenti telematici non sono attivati o funzionanti o se il certificato rilasciato dalla Camera di Commercio è privo della "dicitura antimafia" (art.3). In casi di urgenza è ammesso il ricorso all’autocertificazione (art.5) e le certificazioni rilasciate dalle Camere di Commercio, se riportanti la dicitura antimafia, sono equiparate alle certificazioni rilasciate dalla Prefettura (artt.6 e 9). Quanto poi alle informative prefettizie riguardanti "eventuali tentativi di infiltrazioni mafiose" queste devono essere rilasciate nel termine di 15 giorni dalla richiesta (che si elevano, nel caso di accertamenti complessi, a 30 giorni) e, fermo restando, che le Stazioni appaltanti possono procedere all’affidamento dei lavori o forniture senza attendere la citata informativa:

– sia nei casi di somma urgenza;

– sia una volta decorso il termine di giorni 45 dalla richiesta al Prefetto (artt.4 d.lgs. nr.490 del 1994 e 11 del d.P.R. nr. 252 del 1998).

Dunque, e contrariamente all’assunto della ricorrente, la mancata adozione di una "informativafavorevole", una volta annullati i provvedimenti interdittivi delle Prefetture di Roma e Napoli, non poteva certamente pregiudicare né la sua partecipazione a gare d’appalto, né l’aggiudicazione dei relativi lavori, né l’esecuzione dei connessi contratti.

IV)- Occorre ora procedere all’ulteriore scrutinio della domanda risarcitoria nei limiti, sopra perimetrati, del danno (correlato all’informativa della sola Prefettura di Napoli) che la stessa allega e prova.

Si impone, dunque, la valutazione dell’elemento soggettivo della colpa della p.a. E ciò in quanto, come già in precedenza anticipato, ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della pubblica amministrazione, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa, dovendo quindi verificarsi se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi; segue da ciò che in sede di accertamento della responsabilità della pubblica amministrazione per danno a privati conseguenti ad un atto illegittimo da essa adottato il Giudice amministrativo può affermare la responsabilità solo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negandola invece quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento ovvero allorchè le condizioni particolarmente gravose e complesse del procedimento ed altre circostanze concrete possano escludere qualsiasi responsabilità (giur.za pacifica, cfr., ex plurimis. Cons. St. nn. 2029 e 1467 del 2010).

La ricorrente nel ricorso introduttivo richiama il giudicato dei Giudici amministrativi quale fonte che "individua certamente una colpa grave negli organi periferici dell’interno" (pag. 14). Sottolinea poi che, dopo il primo annullamento giurisdizionale, il Prefetto di Roma, sulla base dei medesimi fatti, ha nuovamente negato la liberatoria violando così il dictum dell’Organo giurisdizionale ed i principi di buona fede, correttezza e buon andamento della p.a. (tesi difensiva, quest’ultima, che, oltre ad aver perso attualità a causa della mancata prova del danno correlato a tale informativa, è anche errata in fatto, poiché l’informativa del Prefetto di Roma del 07.1.2003 precedette e non seguì – come non correttamente prospetta la ricorrente- la sentenza del Tar NA che è stata pubblicata il 26.2.2003).

Nella memoria depositata l’1.10.2010 non vi sono puntuali ed innovative deduzioni volte a confortare la dedotta colpa grave della Prefettura partenopea con l’eccezione del fatto che, di seguito ad indagini istruttorie durate due anni, l’apposita Commissione prefettizia (che si qualifica "organo vicino al Prefetto ed appesantita dalla presenza di funzionari prefettizi": pag. 8), si sarebbe determinata in pochi minuti, ribaltando il giudizio formulato dagli organi investigativi che si erano pronunciati per la mancanza di cause ostative. Questo contegno viene poi ribadito nella memoria depositata il 05.1.2011.

Di tenore completamente opposto è la difesa della resistente che, oltre a cogliere l’erronea deduzione di parte attrice sulla elusione (ad opera del Prefetto di Roma) della sentenza del Tar partenopeo, rimarca come la complessità delle indagini effettuate trovi menzione e riscontro anche nelle sentenze annullatorie dei Giudici amministrativi e che l’errore commesso dall’amministrazione deve ritenersi scusabile; né vi è prova o deduzione anche solo indiziaria di una responsabilità colpevole da illecito o di un qualche errore inescusabile dell’amministrazione.

IV.1)- Il Collegio non ritiene che sia rinvenibile, nella condotta tenuta nel caso di specie dalla Prefettura di Napoli, l’elemento soggettivo della colpa grave, necessario a supportare la pretesa risarcitoria azionata dalla ricorrente. E tanto per le considerazioni che seguono.

IV.1.a)- Occorre ricordare che le fonti dalle quali il Prefetto può trarre il convincimento della possibilità di condizionamenti mafiosi in seno all’impresa sono enucleate nelle lettere "a", "b" e "c" del comma 7 dell’art.10 del d.P.R. n.252 del 1998 (del tutto diverse sono, infatti, le informative con le quali il Prefetto – ai sensi dell’art.1 septies del d.l. n.629 del 1982 (richiamato dal comma 9 dell’art.10 citato) – partecipa alle amministrazioni interessate "elementi di fatto ed altre indicazioni utili per la valutazione, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti per……..lo svolgimento di attività economiche": informative che, in quanto non raggiungono la soglia di gravità richiesta per integrare il tentativo di infiltrazione mafiosa, demandano all’amministrazione (recte: alla Stazione appaltante), nell’ambito della sua discrezionalità, la scelta di procedere o meno alla sottoscrizione del contratto ovvero di accordare o meno la concessione od autorizzazione richiesta).

Delle predette fonti, quelle collocate sotto le lettere a) e b) del comma 7 non impongono valutazioni di alcuno spessore ma una mera attività ricognitiva delle cause interdittive rappresentate da provvedimenti lato sensu giudiziari. Del tutto diversa è, invece, la previsione di cui alla lett. c) in base alla quale il Prefetto viene ad esercitare un potere di investigazione non tipizzato ed a esprimere le proprie valutazioni sulla base di un quadro nel quale assumono valore preponderante fatti e circostanze di varia natura da prendere in considerazione non isolatamente ma nella loro globalità (la norma dell’art.10 c.2 del d.P.R. nr. 252 del 1998 si esprime in termini di "elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa" che emergono a seguito delle verifiche disposte dal Prefetto e desunti, ex c. 7 lett. c) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno, ovvero richiesti ai prefetti competenti per quelli da effettuarsi in altra provincia).

La delicatezza e la complessità di tali indagini sono facilmente immaginabili.

Da tempo le organizzazioni mafiose hanno abbandonato la classica e tradizionale fisionomia di un tempo (che le vedeva impegnate in settori quali le estorsioni, il gioco d’azzardo, il contrabbando ecc), per diversificare i propri interventi. La mafia, da tempo, è divenuta "imprenditrice", sempre pronta a mimetizzarsi e ad adattarsi alle varie situazioni, cogliendo le occasioni di guadagno, infiltrandosi in tutti i settori (mercato azionario, appalti, lavori pubblici, gestione dei rifiuti ecc).

Lo Stato, non senza difficoltà, reagisce alla nuova dimensione del fenomeno mafioso. Ed uno degli strumenti più avanzati di difesa è rappresentato proprio dalle certificazioni antimafia e, soprattutto, dalle informative prefettizie mirate a combattere la penetrazione dell’organizzazione criminale nelle attività produttive del Paese, attraverso un mezzo di reazione flessibile e (che dovrebbe essere) tempestivo, volto a rilevare il contrasto di infiltrazioni mafiose anche in mancanza di fatti penalmente rilevanti (e di formali provvedimenti applicativi di misure di prevenzione).

Si tratta dunque di un potere di indagine che – in quanto nettamente differenziato dal sistema probatorio tipico del processo penale – mira a cogliere e valorizzare anche elementi costitutivi di semplici indizi del rischio di condizionamento, attraverso il tentativo di infiltrazione mafiosa, delle scelte e degli indirizzi delle imprese interessate.

Basta pensare – per poter apprezzare adeguatamente la delicatezza e complessità che possono assumere le indagini demandate al Prefetto – ai casi in cui vengono in considerazione rapporti di parentela con soggetti malativosi, alle dichiarazioni di pentiti, alle pressioni esercitabili ab externo sull’impresa, alla c.d. "contiguità compiacente", al socio occulto o di fatto, alle frequentazioni con pregiudicati ed alla difficoltà di poterle qualificare come occasionali od abituali, al rapporto commerciale, più o meno intenso, con impresa gestita da mafiosi, alla partecipazione di tali soggetti, formale o di fatto, negli assetti proprietari di un’impresa aggiudicatrice di un appalto, ecc.: elementi tutti che inducono a non condividere quell’orientamento, invero assolutamente minoritario, che richiede, quale condizione di legittimità dell’informativa interdittiva, la sussistenza di elementi di fatto obiettivamente rivelatori di concrete connessioni con l’associazione mafiosa e, per converso, inducono a privilegiare la più accreditata giurisprudenza che ha affermato:

– " E’ legittima una informativa antimafia che si fonda su di una serie di elementi che, se singolarmente considerati, possono ritenersi insufficienti a comprovare la sussistenza dei presupposti per l’adozione dei provvedimenti interdittivi in questione, ma che, qualora valutati nel loro insieme, consentono di tratteggiare un quadro invero preoccupante, sufficiente a giustificare la valutazione del Prefetto circa la sussistenza degli estremi per l’applicazione delle misure di carattere preventivo in concreto disposte" (C.g.a. nr.26 del 17.1.2011);

– " L’ampiezza dei poteri di accertamento, giustificata dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento, giustifica che il prefetto possa ravvisare l’emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell’assoluta certezza – quali una condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti – ma che, nel loro coacervo, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l’attività d’impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose".(Cons. St.nr. 5880 del 18.8.2010, n.7777 dell’11.12.2009, nr.4990 e nr. 2336 del 2009, nr.4737 del 2006);

– " l’esigenza di contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel modo più efficace, e dunque anche nel caso in cui sussistano semplici elementi indiziari, non esclude che la determinazione prefettizia disponga l’interruzione di rapporti tra P.A. e società " (Cons. St. nr. 3057 del 17.5.2010);

– " La giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente posto in rilievo che la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certo sull’esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari da cui emergano gli elementi di pericolo di dette evenienze e non necessita, quindi, di dimostrazione nell’attualità delle infiltrazioni mafiose" (Cons. St. n.3057 del 17.5.2010 che richiama Cons. St., Sez. VI^, n. 901 del 17 febbraio 2009; n. 364 del 30 gennaio 2007; Sez. V^, n. 2796 del 30 maggio 2005).

IV.2)- Alla luce delle sopra estese coordinate esegetiche e giurisprudenziali nonché (alla luce) dell’analitica esposizione contenuta nella parte narrativa (cui, per evitare di ripetersi, si rinvia), non pare al Collegio potersi dubitare che la complessità delle questioni emerse nel corso delle indagini ed il livello di difficoltà che ha richiesto la loro valutazione, escludano la condotta gravemente colposa che ad essa parte ricorrente addebita. Sorreggono tale conclusione i seguenti elementi di giudizio:

– l’informativa annullata è stata assunta dalla Prefettura di Napoli non sulla base di risultanze investigative già acquisite ma solo dopo una supplementare e impegnativa attività istruttoria mediata dall’apporto (ved. par. I della narrativa) di un’apposita Commissione Interforze, composta dal Questore di Napoli o suo delegato, dal Comandante Provinciale dei Carabinieri o suo delegato, dal Comandante Regionale della Guardia di Finanza o suo delegato, dal Dirigente della D.I.A. o suo delegato e dal Dirigente dell’Ispettorato Provinciale del Lavoro;

– il personale dipendente dalle citate autorità, cui venivano affidate le indagini, verbalizzava, nella riunione del 16.5.2001, di non aver evidenziato attuali elementi di fatto idonei a dimostrare condizionamenti da parte dell’organizzazione camorristica capeggiata da F.M. o di altre organizzazioni presenti sul territorio; ma tanto ad eccezione di quanto emerso e rappresentato nella…relazione (vgs. i rapporti commerciali e di subappalto intrattenuti con ditte di proprietà o comunque riconducibili a soggetti implicati in vicende giudiziarie di criminalità organizzata);

– è stata oggetto di disamina anche l’Ord. di custodia c.c. n.167/00 del 14.4.2000 dal contenuto della quale "emergono ripetutamente rapporti tra lo I. (ndr.: a.u. dell’I.p.a., Impresa Appalti Pubblici e cognato di N.E. affiliato al clan camorristico Fabbroncino) e la società C.E.B. e non si esclude che N.E. possa influenzare le scelte e gli indirizzi della società" (ved. relazione del Comando Provinciale CC del 15.1.2001);

– l’indagine è stata estesa anche in ordine all’elenco clienti e fornitori della C.E.B. negli anni dal 1995 al 2000, la cui disamina conferma i rapporti commerciali intrattenuti con le ditte "E.V.", " L.F." e "Ipa"; (ved. relazione Gico della G.d.F. del 4.1.2001);

– gli stessi Giudici amministrativi hanno sottolineato "la difficoltà e complessità dell’accertamento di cui trattasi" (così Tar Na, pag.10 della sent. n. 1821/2003) e la "vasta attività investigativa svolta dagli organi di polizia incaricati dal Prefetto, così come risultante dalla ponderosa relazione istruttoria resa dall’apposita Commissione Interforze" (così, Cons.St., alle pagg. 8 e 9 della sent. nr.2783/2004);

– l’istanza cautelare di sospensione interinale degli effetti dell’informativa avversata è stata, in primo grado, respinta (ved. pag. 8 ricorso introduttivo); e tanto a dimostrazione di una illegittimità (dell’informativa) non ravvisabile "prima facie";

– i Giudici amministrativi hanno ritenuto indebitamente valorizzati (dalla Prefettura) i rapporti commerciali (di sub appalto) intercorrenti tra la ricorrente e ditte legate al circuito camorristico atteso il loro "modesto livello quantitativo" (così Cons. St. sent. cit., pag.15): livello più puntualmente specificato nella sentenza del Tar Na (pag.7) in "solo tre miliardi…. su un fatturato complessivo per i lavori effettuati dall’impresa ricorrente nella Regione Campania nell’ultimo decennio pari a circa 500 miliardi di lire…". In realtà l’importo di detti lavori – (senza, assolutamente, volere, da parte di questo Giudice, entrare nel merito della valutazione comparativa attestata nelle predette decisioni) – ammontava a Lire8.861.000.000 circa come rilevato a pag. 17 della nota della Prefettura di Napoli del 17.3.2003 (all.nr.3 della produzione della resistente).

Tali elementi, nel loro complesso, se pur ritenuti, in sede processuale, inidonei a rendere concretamente plausibile la presenza di un collegamento tra l’impresa e la criminalità organizzata (l’espressione adoperata da Tar NA è "non può dirsi sufficientemente provato il giudizio di pericolosità espresso dalla Prefettura ai sensi della normativa antimafia"), autorizzavano la cautela adottata dall’amministrazione nella cui condotta (da valutare secondo il criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista, ex artt.1176 e 2236 del cod.civ., che tiene conto del grado di complessità delle questioni implicate nell’esecuzione della prestazione e che attenua la responsabilità del prestatore d’opera quando il livello di difficoltà risulti rilevante) non appare ravvisabile alcun serio e/o grave elemento colposo, dal che discende che il petitum risarcitorio deve essere certamente disatteso.

V)- Le spese di lite, attesa la peculiarità della controversia, possono essere compensate tra le parti in causa.
P.Q.M.

respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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