Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-07-2010, n. 15799 ASSICURAZIONE – INVALIDI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con ricorso, depositato il 4.05.2004 G.A., dirigente della ALLEANZA ASSICURAZIONI S.p.A fino al 31.12.1998, data di risoluzione del rapporto e di collocamento in pensione, conveniva in giudizio tale società per sentirsi riconoscere il diritto alla liquidazione del capitale assicurato, previsto dall’assicurazione collettiva – cui aveva aderito – riguardante il caso di invalidità totale e permanente, con condanna della convenuta al pagamento di L. 1.280.075.000 (pari ad Euro 661.103.56). La società costituendosi contestava la domanda, sostenendo l’inapplicabilità della polizza al G., dichiarato invalido dopo la cessazione del rapporto, laddove l’operatività della copertura assicurativa dopo la cessazione era stata concordemente prevista tra le parti soltanto in caso di morte.

La stessa convenuta eccepiva l’operatività dell’assicurazione soltanto in relazione all’invalidità che avesse determinato la cessazione del rapporto di lavoro.

All’esito il Tribunale di Milano con sentenza n. 3063 del 2004 respingeva la domanda, ritenendo che non sussistessero i requisiti previsti dalla polizza, non essendo "totale" l’invalidità riscontratola carico del G., ma soltanto parziale al 75%, tale decisione, appellata dal G., è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 462 del 2006, che ha ribadito l’insussistenza del requisito dell’invalidità totale, con la puntualizzazione che l’invalidità non era stata la causa di cessazione del rapporto.

La stessa Corte ha ritenuto infondato il rilievo del G. circa la violazione della L. n. 636 del 1939, ai fini della definizione del concetto di "invalidità", osservando che la clausola collettiva fa riferimento non solo a tale legge, ma anche alle sue successive modificazioni, come quelle introdotte dalla L. n. 222 del 1984, che ha previsto la pensione di inabilità solo per i soggetti con incapacità al lavoro al 100% ed il solo assegno di invalidità per coloro che hanno una riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo.

Il G. ricorre per Cassazione con tre motivi, illustrati con memoria. L’Alleanza Assicurazioni resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento all’errata interpretazione degli artt. 2 e 6 delle condizioni particolari di polizza assicurativa in relazione alle norme civilistiche inerenti ai criteri di ermeneutica contrattuale ex art. 1362 c.c. e segg., nonchè contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Il G., in particolare sostiene che la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei criteri legali nell’interpretazione delle intese contrattuali (vengono richiamati gli artt. 2 e 6 di polizza) e quindi nella ricostruzione della comune intenzione delle parti, quale si desumeva anche dalle stesse pattuizioni (in particolare art. 4 della polizza) e da quelle successivamente intervenute circa l’estensione della coperture assicurativa fino al 65 anno di età, come pure dalla comunicazione del 17.12.1998, con la quale la compagnia di assicurazione precisava che i capitali assicurati sarebbero rimasti in vigore fino al 1 giugno 2004. In sostanza il ricorrente afferma che alla stregua delle richiamate pattuizioni ed intese intervenute tra le parti la cessazione del rapporto di lavoro non avrebbe potuto essere considerata ostativa all’operatività della polizza.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento all’errata applicazione della normativa in materia di invalidità di cui alla L. n. 636 del 1939 e successive modificazioni, errata applicazione dei principi in tema di interpretazione del contratto con riferimento al concetto di invalidità totale, nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione su un punto essenziale della controversia sulla rilevanza del richiamo alla L. n. 636 del 1939 operato dall’art. 6 della polizza.

Le esposte doglianze, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono prive di pregio e vanno disattese.

Secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale l’interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione in ordine alla portata e all’estensione del rischio assicurato, come pure con riguardo all’estensione temporale, rientra tra i compiti del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se rispettosa sei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed assistita da congrua motivazione (cfr Cass. n. 16376 del 18 luglio 2006 ed altre precedenti e successive conformi). In sostanza all’interpretazione che il giudice di merito da d elle clausole contrattuali la parte ricorrente in sede di legittimità non può contrapporre assiomaticamente una diversa tesi interpretativa, dovendo specificamente denunziare gli eventuali errori logici o giuridici nei quali il giudice sia incorso (cfr. Cass. n. 4832 del 13 maggio 1998).

Orbene alla stregua degli evidenziati principi può ritenersi che la sentenza impugnata sia immune da vizi logici e giuridici, avendo proceduto ad una disamina delle clausole contrattuali in particolare dell’art. 6, ed interpretato l’invalidità nel senso della totalità e permanenza, in correlazione con l’art. 2 della stessa polizza;

invalidità siffatta ritenuta non sussistente in capo al G..

A tale lettura il ricorrente ne oppone una diversa nel senso che le parti avrebbero convenuto per l’ampliamento della portata del rischio assicurato, oltre che con riguardo all’evento morte, anche a quello dell’invalidità, da intendersi anche in misura parziale e non totale.

Tale diversa interpretazione, che si traduce in una diversa costruzione della volontà delle parti, non è consentita in questa sede, in quanto, come già si è evidenziato in precedenza, il sindacato di legittimità può avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, ma soltanto l’individuazione dei criteri ermeneutici dei quali il giudice di merito si sia avvalso per assolvere alla funzione a lui riservata.

Alla stregua di quanto precisato va evidenziato che neppure con riferimento al richiamo, operato dalla polizza alla L. n. 636 del 1939, si ravvisano vizi nel ragionamento od errori di diritto, avendo il giudice di appello inteso il riferimento a tale legge come comprensivo anche delle successive modificazioni introdotte con la L. n. 222 del 1984. Dal che lo stesso giudice ha dedotto in maniera coerente che la copertura assicurativa riguardasse soltanto l’invalidità totale e non quella parziale al 75%. 2. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 23,00 oltre Euro 5000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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