Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-01-2011) 23-03-2011, n. 11600 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.A., soprannominato H., con sentenza in data 13.1.2009 del G.U.P. del Tribunale di Cagliari veniva condannato, con il rito abbreviato, alla pena complessiva di anni 30 di reclusione per i seguenti delitti, unificati dal vincolo della continuazione: – omicidio, in concorso con B.K., aggravato ai sensi dell’art. 576 c.p., n. 1 (al fine di eseguire la rapina) e art. 577 c.p., n. 4 (aver agito con crudeltà) in danno di Ba.Al., di anni ottanta, deceduta per difficoltà respiratorie e/o alterazioni cardiocircolatorie, commesso imbavagliando la vittima, immobilizzandola, legando tra loro gli arti superiori e inferiori e ricoprendo il corpo di materiali vari contenuti in sacchetti di plastica; in (OMISSIS);

– rapina aggravata ai sensi dell’art. 110 c.p., art. 628 c.p., commi 1 e 3, in concorso e riunito con B.K., per aver usato violenza alla Ba., imbavagliandola onde impedirle di chiedere aiuto, legandola e coprendola di sacchetti, al fine di impossessarsi del denaro posseduto dalla donna, fatto aggravato perchè commesso da due persone riunite e ponendo la persona offesa in stato di incapacità di intendere e di volere, nelle circostanze di cui al precedente capo;

– furto continuato e aggravato (artt. 81 capv. e 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 2) per l’uso di mezzo fraudolento, consistito nel somministrare alla vittima bevande contenenti sostanze soporifere, per essersi impossessato in date comprese fra il gennaio e l’ottobre 2007 di circa tremila Euro che sottraeva alla Ba. la quale teneva il denaro sulla sua persona.

B.K., imputato dei suddetti reati di omicidio e di rapina in concorso con G.A., veniva giudicato separatamente dalla Corte d’assise di Cagliari che, con sentenza in data 11.9.2009, lo condannava – riuniti i predetti delitti dal vincolo della continuazione e riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate – alla pena di anni 28 di reclusione. Davanti alla Corte d’assise d’appello di Cagliari i due processi venivano riuniti e detta Corte, con sentenza in data 8 aprile 2010, confermava la sentenza appellata da G. A. e, in parziale riforma della menzionata sentenza appellata da B.K., riconosciuta la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, riduceva la pena ad anni 21 di reclusione.

Il giudice d’appello ha ricostruito i fatti tenendo conto dei seguenti dati probatori emersi nei suddetti processi.

G., extracomunitario non munito di permesso di soggiorno e senza un’attività lavorativa, dall’inizio dell’anno 2007 frequentava la casa della Ba., persona che viveva in condizioni molto misere ma che riusciva a risparmiare piccole somme dalla sua pensione di 550 Euro mensili; il predetto, che chiamava la Ba. mamma, somministrandole in varie occasioni sostanze soporifere, le aveva sottratto del denaro che la donna nascondeva sulla sua persona; la Ba. si era però accorta di questi furti e ne aveva parlato con C.A., persona che la aiutava in piccole incombenze, manifestando i suoi sospetti sul giovane extracomunitario che la chiamava mamma, anche per il fatto che lo stesso era in possesso della chiave del suo appartamento. In data 28.8.2007 erano sbarcati in Sardegna M.N., con la sua fidanzata S.S., e B.K.. I primi due erano andati a vivere in una casa diroccata sita a (OMISSIS), già occupata da B.M.S. e da un certo M. oltre che da G. A.; B. viveva anche lui a Cagliari e si era adattato a dormire sotto un ponte. In data 14 settembre 2007, a seguito di un controllo eseguito dalla Polizia Locale, i predetti S., M. e N. erano stati condotti al Centro di permanenza di Bari, mentre S.S. e G.A. erano stati lasciati a Cagliari, sia pure con il foglio di via del Questore. Nella suddetta casa erano quindi rimasti la S. e G., i quali avevano invitato a trasferirvisi B.K., che aveva accettato l’invito.

La sera del 12.10.2007, nell’appartamento sito in (OMISSIS) dove viveva la Ba., veniva scoperto il cadavere della predetta, in avanzato stato di decomposizione. Attraverso gli accertamenti svolti, l’uccisione della stessa veniva collocata nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 2007 e si appurava altresì che la mattina del 5 ottobre, alle ore cinque, G., B. e S. erano partiti in autobus per Olbia e lì si erano imbarcati sulla nave per Civitavecchia. Venivano attivate delle intercettazioni telefoniche sulle utenze cellulari di G. e della S., attraverso le quali si accertava la presenza di G. e di B. a Napoli.

Veniva altresì accertato che il 15 ottobre, dopo che era ormai stato reso noto anche attraverso la stampa il ritrovamento del cadavere della B. e che dalle intercettazioni risultava che diversi connazionali li avevano esortati ad allontanarsi in quanto i sospetti erano indirizzati su di loro, i predetti G. e B. avevano cercato di raggiungere (insieme ad altri extracomunitari) la Svizzera attraverso la frontiera di Ponte Chiasso, dove però erano stati respinti. Tornati a Napoli, erano stati posti in stato di fermo in data 19 ottobre 2007.

Nell’interrogatorio di garanzia, reso in sede di convalida, G. si avvaleva della facoltà di non rispondere. Interrogato nuovamente in data 10.11.2007, respingeva l’addebito, sostenendo di essere partito da Cagliari per Olbia il 3.10.2007 per andare a lavorare con un tunisino che però non aveva trovato. Sentito ancora in data 29.7.2008, dopo la chiusura delle indagini preliminari, sosteneva che con alcuni amici, tra i quali anche S. il quale sapeva che la Ba. aveva dei soldi, aveva organizzato di compiere una rapina in danno della predetta, facendo anche una sorta di prova filmata sul suo telefonino; il 4 ottobre, con K. e S., avevano deciso di fare ugualmente la rapina, benchè fossero rimasti solo loro tre; S. era rimasta in Piazza Yenne con il compito di avvertire del rientro a casa della Ba., mentre lui e K. si erano nascosti nella casa della predetta, di cui egli G. aveva le chiavi; verso le 23,15 S. aveva inviato un messaggio senza testo al cellulare di G. per avvisarli che la Ba. stava rientrando; si erano nascosti in camera da letto e, allorchè la donna era entrata in camera, K. l’aveva stesa per terra tappandole bocca ed occhi, mentre lui le aveva legato le gambe e braccia; non le avevano chiuso la bocca con lo scotch che avevano portato con loro, poichè la donna era svenuta; si erano impossessati di 1.150 Euro che la donna aveva addosso e, mentre stavano andando via, K. le aveva messo lo scotch sulla bocca; avevano lasciato la donna con la schiena appoggiata all’armadio, lasciando la porta di ingresso aperta affinchè qualcuno potesse sentirla e prestarle soccorso; si erano diretti verso la stazione, dove avevano trovato S. che fino a poco tempo prima era rimasta in compagnia di un loro amico, certo K.; erano poi partiti tutti e tre per Olbia, dopo essere passati a trovare K. che stava sotto un ponte con altri tre algerini; a tutti aveva consegnato dieci Euro e un pacchetto di sigarette e quindi aveva diviso il provento della rapina con K..

B.K. nell’interrogatorio di garanzia respingeva l’addebito, dicendo di non sapere nulla dei fatti di cui veniva accusato; interrogato, su richiesta del suo difensore, in data 19.6.2008 dichiarava che G., dopo il trasferimento di N. a Bari, aveva iniziato una relazione con S.; la mattina del 5 ottobre lo stesso, mentre egli B. e S. si trovavano a casa, era rientrato verso le tre di notte, proponendo prima a S. e poi anche a lui di recarsi tutti insieme a Roma, assicurando che aveva i soldi per tutti e tre; solo dopo che si erano ricongiunti ai ragazzi che erano stati nel frattempo rilasciati dal Centro di Bari aveva chiesto a G. dove avesse preso i soldi e costui gli aveva risposto di averli rubati alla signora anziana di Cagliari che lui chiamava mamma.

In data 27.11.2007 venivano sentiti, in qualità di testimoni e con incidente probatorio, S.S., B.M.S. e M.N..

In data 2.7.2008 veniva sentito dal P.M. a sommarie informazioni testimoniali T.K., persona che – secondo quanto dichiarato da S.S. – la notte del fatto aveva aspettato con lei fino alle due in Piazza Matteotti l’arrivo di K..

Nel corso del processo ordinario nei confronti di B.K. (rinviato a giudizio dal GUP con decreto del 9.10.2008) veniva disposta la trascrizione con perizia delle conversazioni intercettate – tra il 16 e il 22 ottobre 2007 – sulle utenze cellulari in uso a G.A. e a S.S.; venivano acquisiti i tabulati del traffico telefonico delle predette utenze cellulari nonchè dell’utenza in uso a B.M.S.; veniva acquisito, ex art. 512 c.p.p., il verbale di S.I.T. reso il 2.7.2008 da T.K.; venivano esaminati sia G.A. (udienza del 18.3.2009) sia B.K. (udienza del 23.3.2009).

La discussione, nell’udienza del 9 luglio 2009, veniva interrotta per sentire a chiarimenti S.S. e B.M.S..

Alla stregua delle prove raccolte, la Corte di assise di appello di Cagliari riteneva che gli autori del fatto fossero i due imputati, i quali avevano agito con l’intenzione di uccidere, consci del fatto che non si poteva lasciare in vita la vittima che conosceva bene G. ma anche B., il quale aveva ammesso di averla incontrata almeno due volte.

Dalle dichiarazioni di H.B.Y., di K., di S., di S. e della C. era risultato che G. aveva sottratto in più occasioni del denaro alla B. dopo averle messo del sonnifero nell’aranciata e che la predetta era intenzionata a denunciarlo, per cui la rapina della notte del 4 ottobre 2007 era l’ultima possibilità per G. di portare via alla Ba. tutto quello che aveva e poi sparire. Il fatto che gli autori del fatto avessero portato con loro nastro adesivo e guanti per non lasciare impronte era altamente significativo della volontà non solo di rapinare bensì anche di non lasciare in vita la vittima che certamente, conoscendoli, li avrebbe denunciati.

La Corte di assise di appello riteneva non concedibili le attenuanti generiche a G. per l’intensità del dolo, avendo l’imputato accuratamente preparato il delitto; per aver approfittato della sfortunata esperienza familiare della donna, che chiamava mamma, al fine di acquistare la sua fiducia e farsi consegnare le chiavi di casa; per la vita disordinata che conduceva in Italia, dove era venuto irregolarmente per delinquere e vivere di attività illecite.

Sebbene avesse sostanzialmente confessato, l’aveva fatto non già spontaneamente ma solo quando non poteva più negare; aveva però mentito su diversi particolari, il che toglieva gran parte del pregio alla confessione e alla chiamata in correità che erano apparse meramente strumentali, al fine di ottenere benefici. Solo dopo che le indagini avevano smentito la sua iniziale versione su tutta la linea, dopo aver cambiato difensore (fino a quel momento comune con B.), aveva reso una parziale confessione, che non poteva dirsi nè completa nè tanto meno ispirata da sincero ravvedimento.

Dovevano inoltre essere valutati diversi elementi sfavorevoli all’imputato, quali la gravità del fatto, l’approfittamento altamente spregiudicato e spregevole di persone deboli come la vittima ma anche come K. e la fuga dopo il fatto.

La Corte di assise di appello riteneva che la Corte di assise avesse rispettato l’art. 512 c.p.p., dando lettura, per sopravvenuta impossibilità di ripetizione, delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da T.K.. La condizione di cittadino extracomunitario privo di permesso di soggiorno non era sufficiente a rendere prevedibile l’allontanamento del predetto e l’impossibilità di sentirlo in dibattimento. Con una valutazione ex ante, nel 2008 non era prevedibile che si sarebbe reso irreperibile, pur se clandestino, poichè apparteneva ad una comunità che aveva referenti e pianta stabile a Cagliari; era pronto a tutto pur di rimanere in questa città, dove fra l’altro lavorava e da cui non voleva muoversi; era rimasto a Cagliari a distanza di otto mesi dall’omicidio e aveva risposto alle domande degli inquirenti, dimostrando piena disponibilità verso la giustizia.

Nè si poteva ritenere che le dichiarazioni di K. fossero la base esclusiva della condanna o che avessero contribuito in materia determinante ad essa, in quanto costituivano solo uno dei tanti riscontri ad uno dei tanti indizi che erano stati raccolti a carico di B..

Neppure poteva rilevare la circostanza che K. fosse stato condannato nel frattempo per violazione del provvedimento di espulsione, essendo ben noto che le espulsioni coattive in Sardegna non avvengono per indisponibilità del vettore e comunque la Polizia era informata della sua posizione di testimone dell’accusa nel processo Ba..

A carico di B. vi era in primo luogo la chiamata in correità da parte del G.. La scarsa moralità ed affidabilità del G. era già stata messa in luce dal primo giudice, che però non aveva escluso la rilevanza della prova diretta, bensì ne aveva soltanto sottolineato la criticità. Osservava la Corte di assise di appello che la frazionalità della prova al fine di scindere verità da menzogna era ammessa e costituiva un procedimento ordinario e necessario diretto a scegliere i motivi per cui il chiamante in correità poteva aver mentito su un certo aspetto e detto il vero su un altro. Nelle dichiarazioni di G. non si ravvisava alcun motivo per collocare calunniosamente K. sul luogo del fatto poichè non facilitava la sua posizione se non relativamente al collocamento del nastro adesivo sulla bocca della vittima. Peraltro la presenza del secondo uomo era comunque suggerita dalle emergenze obiettive e imposta da argomenti logici, in quanto l’esecuzione del piano esigeva la presenza di due persone impegnate nelle azioni bilaterali e sincrone di legatura degli arti superiori ed inferiori della vittima.

L’unico punto critico della veridicità delle dichiarazioni di G. era costituito dalla partecipazione anche di S. al delitto, smentita dalla mancata presenza nel tabulato telefonico del cellulare di G. di un sms dal cellulare di S., ma non si poteva escludere che la predetta fosse preventivamente a conoscenza della ideazione generica della rapina alla quale però non aveva voluto partecipare, per cui il coinvolgimento di S. poteva considerarsi una modesta forzatura di elementi veri, da inquadrare nel rancore provato da G. dopo aver scoperto che S., da lui beneficata, lo aveva accusato. Ritenuta credibile la chiamata in correità nei confronti di B., la Corte di assise di appello ha esaminato i riscontri, tra i quali ha indicato la fuga, subito dopo la commissione del delitto, e il tentativo di passare in Svizzera, compiuti dagli imputati sempre insieme, in un patto di solidarietà che non poteva avere altra spiegazione al di fuori di una partecipazione comune all’omicidio. Altro elemento di riscontro era rappresentato dal possesso di denaro da parte di K., dopo l’omicidio, denaro che il predetto non aveva mai avuto e che non poteva trovare spiegazione diversa dalla divisione del provento della rapina; K. era stato in grado di dare a N. 50 Euro e aveva persino acquistato un telefonino che non aveva mai avuto e che gli era stato sequestrato al momento del fermo.

G., manifestando apprezzamento per come si era comportato B., aveva mostrato come fosse in grado, sfruttando la semplicità di K., di coinvolgerlo in attività criminali solleticandone l’orgoglio.

Ulteriori elementi a carico di B. si desumevano dalle dichiarazioni rese da S., S. e N., anche se le dichiarazioni dei predetti non apparivano limpide e concordanti a distanza di tempo, essendo comunque rimasto fermo il fatto che S. aveva udito parlare G. con B. delle modalità dell’omicidio prima ancora che venisse scoperto e che il colloquio riferito da S. li coinvolgeva entrambi in un comune segreto.

Ai suddetti elementi dovevano essere aggiunte le risultanze delle intercettazioni telefoniche che, pur se da sole non decisive, offrivano però una chiave di lettura ancora più chiara degli altri elementi acquisiti.

Nella sentenza impugnata si metteva in evidenza che G., in una conversazione con lo zio H. del 17.10.2007 alle ore 18,39, aveva proclamato la sua innocenza, facendo presente che c’era anche S. con loro e che la stessa non li avrebbe certo seguiti se avesse saputo che avevano commesso il fatto; di fronte al commento dello zio "si eravate sempre voi tre, tu, S. e K.", aveva precisato "Sarah non c’entra niente". In altra conversazione, proveniente da una utenza di Cagliari, intercettata sull’utenza della S. il 16.10.2007 alle ore 19,30, M. aveva detto a N.:

"Aspetta, cosa dovevo dirti? Ah, dicono che l’hanno legata e gli hanno messo una cosa in bocca e che la mano destra era legata con il piede sinistro e che l’hanno buttata nell’immondizia". In data 19.10.2007 (giorno nel quale gli imputati erano stati fermati a Napoli) in una telefonata delle ore 21,02 N., parlando con un interlocutore non identificato che affermava di trovarsi in Sardegna, aveva detto "adesso non la passeranno liscia" e poi "l’ho già detto a K. che si pentirà e sarà anche già pentito veramente".

Ancora N., parlando il 20.10.2007 alle ore 17,20 con un interlocutore sconosciuto, commentando la condotta degli imputati aveva detto: "…ma lo vedi fratello mio… lei mi ha detto N. l’hanno legata e K. mi ha detto che hanno preso 1.400 Euro o una cifra del genere". La Corte, esaminando in particolare i motivi d’appello presentati dalla difesa di B., riteneva che le dichiarazioni rese da S.S. in dibattimento non potevano essere considerate una smentita delle precedenti dichiarazioni; la prova era rappresentata dalle dichiarazioni cristallizzate nell’incidente probatorio; che poi a distanza di tempo la predetta avesse dimenticato parte dei fatti o li avesse riportati in modo parzialmente diverso non rilevava, poichè il nucleo del racconto era rimasto fermo ed era comprensibile che la teste avesse perso memoria di dettagli e di singoli episodi; tra l’altro la predetta non aveva mai avuto ragioni di astio nei confronti di K. ed anzi era stata sempre gentile con lui; non poteva costituire un buon motivo per dubitare dell’attendibilità della teste nè la pretesa relazione, dalla stessa negata, con G. n.l.r.s.

v.a.C.i.c.l.s.l.t.a.s.

c.i.n.a.p.d.q.p.a.O.(.

d.t.g.i.c.c.l.p.a.

n.t.l.c.d.f.o.n.r.c.i.

m.r.d.t.a.Nabil l.m.d.5.o.

-.e.d.c.d.Ghiloubi -.p.g.c.u.

c.r.i.m.a.c.u.m.l.t.e.

c.d.d.r.d.Saber e.d.Nabil n. d.c.i.c.d.c.i.d.a.a.

p.d.Sarah e.p.d.d.i.l.m.

d.n.e.i.m.d.Sarah n.i.

r.a.c.Khaled a.p.l.n.d.

s.p.d.q.i.a.p.c.r.m.

n.p.d.s.e.c.a.c.c.Khaled .

p.a.a.s.s.d.l.d.d.d.i.

r.d.Kamel ,.a.a.i.s.i.o.u.

p.r.c.d.t.p.d.u.

c.p.r.s.s.c.a.o.2.d.

5.I.e.a.i.d.s.d.

To.Ka., il quale tra l’altro era anche amico di K..

Ugualmente inconsistente era il motivo d’appello riguardante le pretese contraddizioni fra S. e N., in quanto dalle intercettazioni si ricavava che i due avevano ricevuto confidenze direttamente dai due imputati, integranti vere e proprie confessioni stragiudiziali.

Infine, la chiamata in correità nei confronti di B. non poteva essere considerata falsa solo perchè tardiva e per alcune contraddizioni su dettagli, in quanto il nucleo essenziale del racconto di G. era rimasto sempre fermo e lo stesso non aveva alcun motivo di calunniare K., il quale peraltro era colpito da prove autonome imponenti e già da sole idonee a determinare l’affermazione di responsabilità dello stesso.

Non poteva essere accolta neppure la richiesta subordinata di riconoscere l’attenuante di cui all’art. 114 c.p., poichè non si poteva sostenere che B. avesse svolto nella vicenda un ruolo assolutamente marginale.

Hanno proposto ricorso per cassazione sia il difensore di G. A. che il difensore di B.K..

Il primo ha denunciato inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p..

Sulla intensità del dolo il giudice di secondo grado aveva confuso il dolo della rapina con quello dell’omicidio, in quanto i preparativi indicati in sentenza potevano essere riferiti solo alla rapina.

Sulla personalità del G. non si era considerato che lo stesso era assolutamente immune da precedenti penali; la sua situazione di emarginazione sociale; la confessione resa; il comportamento tenuto in carcere, essendosi data prova che lavorava, studiava e spediva ai familiari in Africa la misera mercede che riceveva per il lavoro svolto.

La sentenza era anche contraddittoria nel motivare il diniego delle attenuanti generiche nonostante la confessione resa dall’imputato.

Da un lato, aveva considerato detta confessione non spontanea, incompleta e strumentale all’ottenimento di benefici non meglio precisati.

D’altro lato, per quanto attiene alla prova della responsabilità di B.K., aveva ritenuto la stessa confessione veritiera e utile per l’accertamento della verità.

Non risultavano proporzionate, infine, le pene inflitte agli imputati: a G., che aveva confessato, scelto il rito abbreviato e chiamato in correità il complice, erano stati inflitti 30 anni di reclusione; a B., che non aveva confessato e che aveva optato per il giudizio ordinario, era stata irrogata una pena di ben nove anni inferiore.

Il difensore di B.K. ha dedotto numerosi motivi per inosservanza di norme processuali, per inosservanza o erronea applicazione della legge penale e per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza della Corte d’Assise D’Appello di Cagliari che si possono riassumere nei termini seguenti. La Corte d’Assise di Cagliari, con ordinanza in data 11.6.2009, aveva illegittimamente acquisito, ex art. 512 c.p.p., il verbale di sommarie informazioni rese al P.M. in data 2.7.2008 da T.K., in quanto non era affatto imprevedibile, all’atto in cui il predetto era stato sentito, che lo stesso si sarebbe reso irreperibile o comunque che non sarebbe stato possibile esaminarlo in dibattimento.

Lo stesso P.M. nella sua requisitoria aveva ammesso che era stato difficile reperire T.K. e che non aveva richiesto l’incidente probatorio soltanto perchè mancava una settimana al termine fissato per la conclusione delle indagini preliminari.

Il T., oltre ad essere clandestino, aveva dichiarato come suo domicilio una casa abbandonata, non era stato in grado di fornire un recapito telefonico e non aveva indicato il luogo dove svolgeva un’attività lavorava. A seguito della acquisizione del certificato penale, era inoltre risultato che in data 10.6.2008, quindi circa un mese prima della sua escussione da parte del P.M., era stato condannato dal Tribunale di Cagliari alla pena di mesi dieci di reclusione per il delitto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter e per false dichiarazioni sull’identità personale, reati commessi in data 6.5.2008. La sentenza impugnata, oltre a non aver risposto a tutti i motivi dedotti sul punto nell’atto di impugnazione, aveva arbitrariamente ritenuto che T.K. fosse pronto a tutto pur di rimanere a Cagliari e che lo stesso svolgesse, seppure in nero, una qualche attività lavorativa.

Illogicamente, poi, aveva affermato che non rilevava la circostanza che T. fosse stato condannato per violazione del provvedimento di espulsione, poichè non aveva considerato che il predetto avrebbe potuto decidere di andare via – così come aveva fatto – in conseguenza della condanna subita. La Corte d’Assise d’Appello erroneamente aveva ritenuto che il primo giudice avesse dato una qualche attendibilità alla chiamata in correità di G., in quanto a pagine 104 e 105 della sentenza di primo grado si poteva leggere che l’applicazione dei parametri di legge conduceva alla negativa valutazione della credibilità intrinseca del G…. la sua confessione – resa al termine delle indagini preliminari e perciò in esito alla completa conoscenza degli elementi d’accusa a suo carico – risultava parziale e utilitaristica; nell’ammettere infatti di aver voluto compiere la sola rapina, aveva attribuito la responsabilità dell’omicidio al B. e non aveva esitato a chiamare in causa la S. e gli altri occupanti della casa di (OMISSIS) attribuendo loro la condivisione del progetto criminoso in danno della Ba. in tempi non sospetti; neppure era risultato credibile nella descrizione della compiuta rapina, fornendone una versione del tutto in linea con il tentativo di dar minor peso alla propria responsabilità. Il prima giudice aveva concluso che i suddetti elementi (la personalità negativa del G., le sue dichiarazioni mendaci e sfornite di riscontro ovvero smentite dai testimoni) tracciavano un quadro complessivo che impediva categoricamente di attribuire patente di credibilità ai coimputato, con conseguente svilimento della portata accusatoria della chiamata in correità.

La sentenza impugnata illogicamente aveva sostenuto che G. non aveva alcun interesse ad accusare B., perchè era evidente che nella sua squallida elaborazione concettuale si riprometteva un’attenuazione di pena sia riducendo le proprie responsabilità sia fornendo un determinante contributo alle indagini e alla ricostruzione del fatto.

G., contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, aveva un forte motivo di rancore nei confronti di B., perchè il predetto, prima ancora della conclusione delle indagini, aveva parlato con gli inquirenti, nonostante lo stesso G. gli avesse intimato di non farlo.

Illogicamente poi la sentenza aveva ritenuto che G. potesse aver avuto motivi di rancore nei confronti di S.S., coinvolgendola nella rapina, in quanto la stessa – pur beneficiata con regali ed attenzioni – l’aveva accusato, e non ne avesse avuti nei confronti di B., sebbene questi avesse contravvenuto al suo ordine di non parlare e l’avesse anche lui accusato.

Contraddittoriamente con la ritenuta sostanziale attendibilità del G., aveva messo in evidenza, nel negargli le attenuanti generiche, che la confessione era intervenuta quando lo stesso non poteva più negare l’evidenza e che aveva mentito su diversi particolari, togliendo così gran parte del pregio alla confessione e alla chiamata in correità che erano apparse meramente strumentali.

Erroneamente e contraddittoriamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che B. avesse avuto disponibilità di denaro dopo la commissione dei fatti, a riscontro della di lui partecipazione alla rapina.

Non era vero che avesse acquistato un telefonino, come sostenuto nella sentenza impugnata. La stessa sentenza a pag. 118, nel ritenere le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, aveva riconosciuto che il telefonino di cui l’imputato era stato trovato in possesso al momento del fermo gli era stato regalato da G..

Non era vero che avesse regalato 50 Euro a N., perchè risultava che questa somma l’aveva invece appena ricevuta da G. affinchè la consegnasse al predetto N..

Per contro era risultato che B., dopo i fatti per cui è processo, aveva viaggiato in treno senza pagare il biglietto e che al momento del fermo non aveva con sè denaro.

Non era vero che G. avesse detto a N. che B. fosse il suo braccio destro, con riferimento al di lui comportamento in occasione dell’omicidio. N. aveva spiegato che la suddetta frase era stata pronunciata in risposta alla sua esortazione a trattare bene K..

La Corte aveva utilizzato, a riscontro della partecipazione di B. alla rapina e all’omicidio di cui trattasi, le dichiarazioni rese da S.S., ritenendola testimone attendibile, mentre risultava che la stessa si era contraddetta più volte e aveva inspiegabilmente mutato parti essenziali del suo racconto. La teste aveva reso differenti versioni sulle circostanze, sui tempi e sui luoghi nei quali avrebbe sentito gli imputati riferirsi all’omicidio della Ba.. In particolare, con riferimento a quanto avrebbe sentito ad Olbia la mattina del 5 ottobre, oltre ad aver precisato che dal bagno in cui era chiusa aveva sentito solo la voce di G., non aveva trovato riscontro nei tabulati che quella stessa mattina avesse telefonato a S. e N. per informarli di quanto aveva udito.

Inspiegabile era il mutamento di versione della teste su un punto essenziale nella ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata: la S. aveva ribadito più volte che i due imputati quella notte erano giunti a casa, dove lei si trovava, alle tre di notte; da ultimo, invece, dopo aver chiesto durante l’udienza il permesso di parlare con il Pubblico Ministero, aveva dichiarato di aver incontrato il solo K. in Piazza Matteotti verso le 2 – 2,30, mentre essa S. era in compagnia di T.K., dopo aver ricevuto poco prima una telefonata sul suo cellulare (risultata effettuata da una cabina pubblica alle ore 2,12 del 5.10.2007), telefonata che, secondo il ricorrente, era logico che avesse effettuato G. e non B..

Sarah aveva mentito anche sul fatto di non aver avuto una relazione sentimentale con G. – relazione di cui aveva parlato nel corso delle indagini preliminari B. e che aveva trovato conferma nelle dichiarazioni di H. – e questa menzogna, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, doveva essere diversamente valutata per riconsiderare parti essenziali del racconto della predetta teste, e in particolare la sua estraneità alla commissione della rapina in danno della Ba., e quindi la credibilità complessiva della stessa teste.

Contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, apparivano non affidabili anche le dichiarazioni rese al P.M. da T.K., innanzi tutto perchè questi nell’immediatezza dei fatti aveva dato una diversa versione ad H., con il quale aveva parlato a lungo della vicenda, e poi perchè T. aveva dichiarato di aver effettuato la sera dell’omicidio una telefonata sul cellulare di G., che non aveva trovato riscontro nei tabulati di detto cellulare.

La Corte di assise di appello aveva utilizzato come riscontro il contenuto delle conversazioni intercettate, senza però tenere conto delle obiezioni contenute nei motivi d’appello sul valore probatorio di dette conversazioni, in quanto avvenute tra soggetti che sapevano di essere intercettati e che erano state utilizzate dagli interlocutori nordafricani per legittimare quanto avevano pianificato di dire nel corso del procedimento.

Nei motivi d’appello si era dimostrato che il delitto ben poteva essere stato commesso da una sola persona, ma la sentenza impugnata, con una errata e illogica interpretazione del motivo d’appello, aveva attribuito al difensore un’ipotesi alternativa, quella della tecnica del sonnifero per porre in stato di incapacità la vittima, mentre nei motivi non si era prospettata l’effettiva utilizzazione della predetta tecnica, ma si era ipotizzato che l’incoscienza fosse derivata da un mero svenimento, dopo che l’omicida le aveva messo una mano sulla bocca, per la paura dell’anziana donna per quanto le stava accadendo.

La sentenza impugnata non aveva tenuto conto che dalle dichiarazioni rese dal S. si evinceva chiaramente che allo stesso il G. aveva confidato di aver commesso l’omicidio da solo.

Pertanto, il ricorrente ha chiesto l’annullamento della sentenza, in quanto dalla stessa non emergevano profili di responsabilità penale a carico di B.K..

Comunque la sentenza appariva emessa in violazione di legge nonchè del tutto illogica anche laddove aveva ritenuta non integrata l’attenuante di cui all’art. 114 c.p., non aveva fissato la pena nel minimo edittale e non aveva applicato nella massima estensione la riduzione di pena per le riconosciute attenuanti generiche, perchè nella stessa sentenza aveva riconosciuto che B. era stato soggiogato dal più scaltro G. e che si era limitato a fare tutto ciò che il coimputato gli diceva di fare.
Motivi della decisione

Il ricorso presentato dal difensore di G.A. è inammissibile, poichè deduce solo motivi di fatto o manifestamente infondati.

Il giudice di secondo grado ha, con ampia motivazione, giustificato i motivi per i quali ha ritenuto di non concedere le attenuanti generiche al suddetto imputato.

Il potere discrezionale del giudice di merito di concedere o negare le suddette attenuanti è insindacabile in questa sede, se esercitato, come nel caso in esame, con adeguata motivazione, immune da vizi logici.

Il ricorrente ha rappresentato altri elementi, quali l’incensuratezza, la situazione di emarginazione sociale e il comportamento in carcere che avrebbero potuto giustificare il riconoscimento delle attenuanti generiche.

Il giudice di merito, però, non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli dedotti dalla difesa, essendo sufficiente che indichi quelli rilevanti e ritenuti decisivi ai fini del diniego di tali attenuanti.

Non vi è alcuna contraddizione nell’aver ritenuto la confessione non spontanea, incompleta, strumentale e nell’aver utilizzato la chiamata in correità al fine di pervenire, insieme ad altri elementi, alla responsabilità penale del chiamato. Neppure può proporsi un paragone tra la pena inflitta al G. e quella inflitta al B., essendo profondamente diversi i ruoli e le personalità dei suddetti imputati.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 2000), al versamento della somma alla Cassa delle Ammende indicata nel dispositivo, ritenuta congrua da questa Corte.

E’ infondato il ricorso del difensore di B.K. nella parte in cui sostiene che non dovevano essere acquisite ex art. 512 c.p.p. le dichiarazioni di T.K..

La sopravvenuta impossibilità, per fatti o circostanze imprevedibili, della ripetizione di atti assunti nel corso delle indagini preliminari deve essere liberamente apprezzata dal giudice di merito, la cui valutazione, se adeguatamente motivata, non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità.

La sentenza impugnata ha indicato, con congrua e logica motivazione, le ragioni per le quali si è ritenuto che, nel momento in cui T. K. è stato sentito dal P.M., non fosse prevedibile che lo stesso si sarebbe reso irreperibile e che non sarebbe stato possibile esaminarlo in dibattimento.

Alla suddetta motivata valutazione il ricorrente ha opposto che non corrisponderebbero al vero alcune affermazioni della sentenza impugnata, senza però indicare e allegare gli elementi in atti che contraddirebbero le suddette affermazioni.

Appare, invece, fondato il ricorso nella parte in cui sostiene che non poteva essere utilizzata la chiamata in correità da parte di G. come elemento di base per affermare la responsabilità penale di B.K.. La sentenza impugnata, in effetti, sostiene che l’accusa rivolta da G. a B., di aver partecipato con lui ai delitti commessi in danno di Ba.

A., sia nel suo nucleo essenziale credibile e più che adeguatamente riscontrata, al punto che l’insieme dei riscontri potrebbero autonomamente bastare ad affermare la responsabilità del predetto.

Le dichiarazioni rese dal coimputato nel medesimo reato possono costituire prova a carico, seppure alle condizioni previste dall’art. 192 c.p.p., comma 3, soltanto quando ne sia accertata la credibilità, che deve essere stabilita mediante i consolidati indici approntati dalla giurisprudenza.

La sentenza impugnata, in punto credibilità del chiamante, non ha tratto le logiche conseguenze dalle stesse risultanze esposte, ritenendo di poter giungere a un giudizio di attendibilità del nucleo centrale della chiamata, richiamando la giurisprudenza di questa Corte sulla liceità della valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie.

Si deve rimarcare che le dichiarazioni di G. dovevano apparire sospette e poco attendibili, almeno nella parte in cui ha accusato altri, anche alla stregua di quanto accertato nella stessa sentenza: G. si era deciso a confessare solo dopo essersi reso conto che non poteva più negare di aver partecipato al fatto contestato; non ha mai ammesso la volontarietà dell’omicidio – ritenuta in sentenza con motivazione del tutto convincente – ed ha attribuito proprio a B. la diretta responsabilità di aver soffocato la Ba., mettendole un cerotto sulla bocca prima di abbandonare la scena del delitto; ha descritto la dinamica del fatto in modi che non hanno trovato riscontro nelle risultanze obiettive;

ha accusato anche altri di aver programmato il delitto e S. S. di avervi partecipato, attribuendole un ruolo che è stato smentito dall’esame dei tabulati telefonici.

In questo quadro, non è logicamente possibile attribuire alcuna attendibilità alla chiamata di correo, tanto più che la stessa risulta provenire da persona che ha sempre condotto una vita disordinata ed era attirata da facili guadagni, che non ha mai svolto una lecita attività lavorativa e che ha mostrato di essere capace di mentire, soprattutto coinvolgendo altri – che sono risultati estranei al delitto – nelle sue responsabilità.

Correttamente il ricorrente ha fatto rilevare che non poteva logicamente sostenersi che G. ingiustamente e per rancore avesse accusato S.S., perchè la stessa aveva reso dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti, e che invece non avesse motivi di rancore nei confronti di B.K., che aveva anche lui reso dichiarazioni (in data 19.6.2008) accusatorie nei suoi confronti.

La valutazione frazionata è ammessa solo quando, alla stregua dei noti criteri, si perviene a un giudizio di attendibilità intrinseca del dichiarante, ma si individua una parte ben determinata delle sue dichiarazioni che per vari motivi – ad esempio il tempo trascorso, la molteplicità dei reati commessi, la non diretta partecipazione al fatto narrato, uno specifico interesse a coprire una determinata persona – è risultata smentita dalle prove raccolte.

La valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie provenienti da chiamante in correità in tanto è ammissibile in quanto non esista un’interferenza fattuale e logica fra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti che siano intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate (V. ex multis Cass. Sez. 6^ sent. Del 2.2.2004 Rv. 228660).

La sentenza impugnata, avendo basato il giudizio di responsabilità di B. anche sulla chiamata in correità di G., deve essere pertanto annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Cagliari per nuovo giudizio nei confronti di B.K., nel quale non si potrà tenere conto, ai fini della eventuale responsabilità, della chiamata in correità di G. e si dovrà rivalutare il restante compendio probatorio – siccome già acquisito o eventualmente rinnovato e arricchito – al fine di accertare le responsabilità di B.K. in ordine ai delitti ascrittigli.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.K. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Cagliari. Dichiara inammissibile il ricorso di G. A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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