Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-07-2010, n. 15795 MATERNITA’ E INFANZIA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 22.2 – 26.6.2006 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza resa dal Tribunale di Roma il 28.10.2003, che rigettava l’opposizione proposta dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense avverso il decreto ingiuntivo emesso, su istanza di F.F.R., per la liquidazione dell’indennità di maternità D.Lgs. n. 151 del 2001, ex art. 70 nella misura dell’80% dei 5/12 del reddito percepito e denunciato nel secondo anno precedente la domanda. Osservava in sintesi la corte territoriale che, sulla base dell’inequivoca formulazione letterale della norma del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, l’indennità di maternità spettante alle libere professioniste doveva essere commisurata al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali, e non anche a quello contributivo, rilevante ai fini della determinazione del trattamento pensionistico, e che tale interpretazione risultava conforme alla funzione di tutela della maternità, costituzionalmente rilevante, ai sensi dell’art. 31 Cost., comma 2.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense con due motivi. Resiste con controricorso e memoria F.F.R..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, la Cassa ricorrente lamenta che l’interpretazione offerta dalla corte territoriale, sebbene conforme alla lettera della norma, risultava in contraddizione (pur nel testo anteriore alla riforma del 2003, che aveva introdotto un "tetto" alle indennità erogabili) con la sua logica e con il sistema della previdenza forense, che, per finalità sotidaristiche, rendeva irrilevanti, per la determinazione delle prestazioni previdenziali, ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 10 i redditi eccedenti il limite (del 10%) stabilito per la contribuzione obbligatoria. Con il secondo subordinato motivo, la ricorrente reitera la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 70 cit. in relazione agli artt. 3, 31 e 38 Cost., osservando come la mancata previsione di un "tetto" imponesse del tutto irragionevolmente agli enti previdenziali di categoria di erogare importi di notevole valore economico, equiparando categorie disomogenee (quali i lavoratori autonomi e quelli subordinati), senza che ciò fosse necessario ai fini di una effettiva tutela della maternità, per come dimostrava anche la modifica, ad opera della L. n. 289 del 2003, art. 1 del testo originario della norma.

La Cassa ricorrente ha depositato, in data 7.5.2010, atto di rinuncia al ricorso, notificato alla controparte, la quale, dichiarando di non accettare la rinuncia, ha insistito per la liquidazione delle spese.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato estinto, dovendosi ribadire il principio per cui la rinuncia al ricorso per cassazione produce l’estinzione del processo anche in assenza di accettazione, in quanto tale atto non ha carattere "accettizio" (non richiede, cioè, l’accettazione di controparte per essere produttivo di effetti processuali) e, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione (v. da ultimo Cass. (ord) n. 21894/2009; Cass. (ord) n. 23840/2008; SU n. 3876/2010, la quale ultima sottolinea, comunque, la necessità della notificazione o comunicazione dell’atto di rinuncia alle parti costituite). Le spese vanno poste a carico della parte rinunciante.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara estinto il giudizio e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 15,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 11 maggio 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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