Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 09-06-2011, n. 12538 Legittimazione attiva e passiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso depositato il 6 marzo 2006 B.M. ha adito il Tribunale di Bologna convenendo in giudizio il Ministero della Salute al fine di ottenere l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 sull’allegato presupposto di un danno irreversibile a seguito di emotrasfusione.

Si è costituito in giudizio il Ministero convenuto eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e contestando nel merito le domande avversarie.

Con sentenza n. 824/06 pronunciata all’udienza del 18 ottobre 2006 e depositata il 27 novembre dello stesso anno il Tribunale di Bologna ha condannato il Ministero a corrispondere alla B. l’indennizzo previsto dalla citata L. n. 210 con decorrenza dal 1 agosto 2001. 2. Avverso tale sentenza il Ministero ha proposto appello con ricorso depositato l’8 gennaio 2007.

Si sono costituiti gli eredi della B. nel frattempo deceduta.

Gli appellati hanno resistito all’appello ed hanno proposto appello incidentale condizionato.

Con sentenza del 6 maggio – 24 settembre 2008 la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto dal Ministero della Salute, dichiarando assorbito l’appello incidentale, e condannava il Ministero appellante alle spese di lite.

In particolare la Corte d’appello osservava, quanto al problema della legittimazione passiva, che il D.Lgs. n. 112 del 1998, nel prevedere un ampio decentramento in materia di tutela della salute trasferendo le relative funzioni alle Regioni, aveva tuttavia (all’art. 123) conservato allo Stato le funzioni in materia di ricorsi per la corresponsione degli indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati. Tale norma – osservava la Corte territoriale – non distingueva fra ricorsi amministrativi e ricorsi giurisdizionali talchè anche per questi ultimi doveva ritenersi la legittimazione passiva dello Stato. Nè questa disposizione, in quanto prevista da fonte normativa primaria, poteva ritenersi in alcun modo modificata da norme di fonte secondaria, quali erano quelle contenute nei successivi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia.

Pertanto il Ministero della Salute doveva essere considerato legittimato passivo in ordine alla domanda esercitata originariamente dalla B..

La parte intimata non si è costituita.

3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali con tre motivi illustrato anche con successiva memoria.

Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite, ad istanza dell’Avvocatura Generale dello Stato ricorrente che ha segnalato l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza in ordine alla legittimazione passiva del Ministero.
Motivi della decisione

1. Con il ricorso, articolato in tre motivi, l’Avvocatura dello Stato sostiene il difetto di legittimazione passiva del Ministero della salute in particolare prestando adesione all’orientamento di questa Corte (Cass., sez. lav., 23 novembre 2006, n. 24889) secondo cui, per effetto dei D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e D.P.C.M. 24 luglio 2003, sussiste ancora la legittimazione passiva del Ministero solo per le domande riguardanti l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, le cui istanze siano state trasmesse dalle A.S.L. al competente ministero (allora della sanità, ora della salute) fino al 21 febbraio 2001, con la conseguente attribuzione della legittimazione passiva alla Regione per le domande trasmesse dopo tale data.

L’Avvocatura dello Stato ritiene corretto questo arresto giurisprudenziale, che nella specie condurrebbe a dichiarare il difetto di legittimazione del Ministero della salute, e contesta invece l’opposto orientamento, successivamente espresso da questa Corte (Cass., sez. lav., 13 ottobre 2009, n. 21704), secondo cui in ogni caso – ossia sia prima che dopo la data suddetta – sussiste la legittimazione passiva del Ministero della salute, in relazione alle domande volte al conseguimento dell’indennizzo previsto in favore dei soggetti che hanno riportato danni irreversibili da epatiti post- trasfusionali.

Nel denunciare tale contrasto di giurisprudenza l’Avvocatura dello Stato ha chiesto – ed il Primo Presidente di questa Corte ha disposto – l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

2. Il ricorso i cui tre motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi – è infondato.

3. La questione portata all’esame delle sezioni unite di questa corte, ed in ordine alla quale è insorto il denunciato contrasto di giurisprudenza, consiste nell’individuazione del soggetto legittimato passivo (Ministero della salute o Regione) nelle controversie promosse da chi in sede amministrativa abbia chiesto, con esito negativo, l’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210 a favore dei danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati. In particolare ci si chiede se sulla legittimazione passiva nelle controversie aventi ad oggetto il riconoscimento della spettanza dell’indennizzo, che al momento dell’introduzione del beneficio ad opera della L. n. 210 del 1992 era certamente del Ministero della sanità, abbiano inciso i D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003 che, trasferendo l’onere economico di tale contenzioso alle Regioni, avrebbero in tesi comportato anche il trasferimento della legittimazione passiva in tali controversie.

4. In generale può premettersi che la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità di una situazione giuridica idonea ad abilitare un soggetto a promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale versato in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento; da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito l’esame d’ufficio, poichè la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata (ex plurimis Cass., sez. un., 15 novembre 2005, n. 23022; sez. 1^, 10 gennaio 2008, n. 355).

Quindi legittimato passivo in una controversia avente ad oggetto una prestazione di assistenza sociale è il soggetto che, in forza della disciplina (sostanziale) di tale prestazione, è tenuto a riconoscerla; ossia è il soggetto coinvolto nel lato passivo del rapporto obbligatorio che sorge al verificarsi di certi presupposti di spettanza del beneficio.

Questa coincidenza, quando si tratta della pubblica amministrazione in senso lato che si articola in una pluralità di enti pubblici e di centri di imputazione soggettiva, non è indefettibile nel senso che il legislatore potrebbe dettare una regola specifica di individuazione della legittimazione passiva distinguendo ad esempio il soggetto che riconosce il beneficio e quello che in concreto lo eroga. I moduli organizzativi dell’azione della pubblica amministrazione nella gestione delle prestazioni dello Stato sociale (quali la previdenza pubblica, l’assistenza sociale, l’assistenza sanitaria e farmaceutica) possono essere variamente articolati sì da avere anche ricadute nel processo in termini di individuazione della legittimazione passiva, ma possono anche accompagnarsi ad una disciplina speciale della stessa.

Va subito detto però che le regole del processo rientrano nella materia "norme processuali" di cui all’art. 117 Cost., comma 2, lett. l), e quindi una disciplina speciale della legittimazione passiva può essere posta solo con legge statale; ciò a maggior ragione è vero nel regime dell’art. 117 Cost., nel testo originario prima della riforma della titolo 5^ della seconda parte della Costituzione.

Questo vincolo derivante in ogni fattispecie dalla perdurante competenza della legge statale in materia di "norme processuali" prescinde dalla regola di competenza legislativa del rapporto sostanziale che può essere anch’essa di competenza esclusiva statale (previdenza sociale), o di competenza concorrente tra Stato e Regioni (tutela della salute, previdenza complementare e integrativa), o di competenza residuale delle regioni (assistenza sociale).

Rimane però pur sempre la regola generale, desumibile dal sistema processuale del codice di rito (e quindi da una legge dello Stato), che vuole che la legittimazione passiva segua la titolarità passiva del rapporto; sicchè una diversa disciplina di una prestazione di assistenza sociale, quale in ipotesi quella del decentramento della gestione del beneficio, potrebbe avere una ricaduta in termini processuali, perchè mediata dalla regola generale suddetta; ma una regola speciale e derogatoria della legittimazione passiva potrebbe ritrovarsi solo nella legge statale.

Nella fattispecie in esame il problema della legittimazione passiva sorge – e si pone in chiave problematica – proprio in ragione del decentramento della gestione del beneficio, che però è stato avviato in un contesto di riparto di competenze tra Stato e Regione che all’epoca vedeva la disciplina dell’indennizzo in esame, quale forma di assistenza sociale, rientrare nella competenza della legge statale, ed è proseguito nel mutato contesto della riforma dell’art. 117 Cost., che ha notevolmente ampliato le competenze del legislatore regionale.

5. In ordine a tale questione (della legittimazione passiva nelle controversie aventi ad oggetto la spettanza dell’indennizzo) si sono inizialmente registrati due orientamenti contrapposti.

5.1. Dapprima questa Corte (Cass., sez. lav., 23 novembre 2006, n. 24889; 8 maggio 2007, n. 10431) ha affermato che con riferimento al quadro normativo venutosi a determinare per effetto dei D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e D.P.C.M. 24 luglio 2003 (in tema di rideterminazione delle risorse finanziarie da trasferire alle regioni ed agli enti locali per l’esercizio delle funzioni conferite dal D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112, in materia di salute umana e sanità veterinaria), successivamente alla precedente previsione contenuta nel D.P.C.M. 26 maggio 2000, art. 3 sulla scorta della quale le funzioni di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 sono state trasferite alle regioni con decorrenza 1 gennaio 2001, deve ritenersi che la portata della norma contenuta nell’art. 2, quarto comma, di quest’ultimo D.P.C.M. è da intendersi nel senso che restano a carico dello Stato gli oneri derivanti dal contenzioso, instauratosi in sede esclusivamente giurisdizionale, relativo alle domande riguardanti l’indicato indennizzo le cui istanze siano state trasmesse dalle A.S.L. al competente Ministero (allora della sanità, ora della salute) fino al 21 febbraio 2001, con la conseguente attribuzione della legittimazione passiva in ordine a siffatte istanze in capo al suddetto ministero a cui carico si devono, perciò, considerare ancora accollati gli inerenti oneri.

Questo orientamento – in disparte la persuasività, o meno, della lettura del complesso quadro normativo (di cui ora si dirà) – presentava una duplice criticità: la legittimazione passiva veniva fatta dipendere, nel periodo transitorio, da un dato (le. la data della trasmissione delle istanze di indennizzo dalle A.S.L. al Ministero) che era interno all’Amministrazione e non noto a chi intendeva adire il giudice per promuovere una controversia al fine di vedersi riconosciuto l’indennizzo; inoltre l’eventuale inerzia della A.S.L. che non avesse trasmesso l’istanza – o comunque ne avesse ritardato la trasmissione – avrebbe avuto una ricaduta in termini processuali perchè avrebbe comportato il venir meno della legittimazione passiva del Ministero.

Ciò ha portato, nella sostanza, ad una rettifica di questo iniziale orientamento allorchè Cass., sez. lav., 1 luglio 2008, n. 17976 (conf. Cass., sez. lav., 4 aprile 2008, n. 28698/2008 r.g n. 5 ud. 9 novembre 2010 8809), pur nel dichiarare la sua adesione a Cass., sez. lav., 23 novembre 2006 n. 24889, cit., in realtà ha riformulato il principio di diritto in termini parzialmente diversi affermando che restano a carico dello Stato gli oneri derivanti dal contenzioso giurisdizionale relativo alle domande di indennizzo "presentate" fino al 21.2.2001 mentre per le istanze amministrative "presentate" dopo la predetta data la legittimazione appartiene alla Regione. In tal modo un inconveniente veniva risolto perchè la data dell’affermato passaggio della legittimazione passiva dal Ministero della salute alle regioni costituiva un dato non più interno all’Amministrazione, ma ben noto a chi intendeva instaurare un giudizio, ed inoltre non rilevava l’eventuale inerzia o ritardo dell’A.S.L. nel trasmettere l’istanza. Però si perdeva l’aggancio normativo ai D.P.C.M. cit. che – al fine del riparto dell’onere economico del contenzioso – facevano testuale riferimento a istanze "trasmesse" dalle A.S.L. al Ministero della sanità e alla data di trasmissione; non vi era invece menzione della data di "presentazione" dell’istanza, non rilevante a tal fine.

Peraltro, ove la data di presentazione dell’istanza avesse avuto questa rilevanza, essa, per il fatto di essere certamente precedente alla data di trasmissione della stessa al Ministero, avrebbe comportato anche – in questa diversa formulazione del principio di diritto e al di là della questione processuale della legittimazione passiva – una distribuzione dell’"onere" economico del contenzioso diverso da quello prefigurato dai cit. D.P.C.M. (più gravoso per le Regioni) che ne stabiliva invece il finanziamento considerando la data di "trasmissione" – e non già di "presentazione" – dell’istanza.

5.2. Questa diversa formulazione dell’orientamento giurisprudenziale che predicava il venir meno della legittimazione passiva del Ministero in riferimento alla data di "presentazione" dell’istanza di indennizzo era oggetto successivamente di un revirement da parte della sezione lavoro.

Infatti questa Corte, con due pronunce conformi (Cass., sez. lav., 13 ottobre 2009, n. 21703 e 21704), ha affermato che, anche dopo la data suddetta, sussiste la legittimazione passiva del Ministero della salute, in relazione alle domande volte al conseguimento dell’indennizzo previsto in favore dei soggetti che hanno riportato danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali. Ha osservato in particolare questa corte che, nonostante il trasferimento alle regioni dell’onere economico per la erogazione, la perdurante legittimazione del Ministero è prevista dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 123 secondo cui sono conservate allo Stato le funzioni in materia di ricorsi per la corresponsione degli indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati.

Questo orientamento è stato ulteriormente confermato dalla sezione lavoro (Cass., sez. lav., 13 ottobre 2009, n. 21706; 19 ottobre 2009, n. 22111; 20 ottobre 2009, n. 22166; 3 novembre 2009, nn. 23216 e 23217; 5 novembre 2009, n 23434; 6 novembre 2009, n. 23588).

Si andava quindi affermando come prevalente un orientamento che predicava la perdurante legittimazione passiva del Ministero della salute.

Più recentemente poi queste Sezioni unite sono state investite del contrasto giurisprudenziale in ordine all’esistenza, o no, di una soglia minima di indennizzabilità del danno permanente alla salute in caso di danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali (Cass., sez. un., 1 aprile 2010, nn. 8064 e 8065); questione questa che comunque implicava anche l’identificazione del soggetto avente la legittimazione passiva a stare in giudizio. In un caso la pronuncia della corte d’appello, che aveva affermato espressamente la legittimazione del Ministero della salute, non era stata impugnata sul punto (Cass., sez. un., 1 aprile 2010, n. 8064). Nell’altro caso, in cui parimenti la corte d’appello aveva ritenuto la legittimazione passiva del Ministero, quest’ultimo aveva inizialmente impugnato sul punto la pronuncia con ricorso incidentale sostenendo spettare la legittimazione passiva alla Regione, ma successivamente il Ministero aveva rinunciato al ricorso (Cass., sez. un., 1 aprile 2010, n. 8065).

5.3. Pur in questo contesto di sostanziale superamento dell’iniziale orientamento (in quella duplice formulazione sopra indicata) che aveva invece affermato in materia il venir meno della legittimazione passiva del Ministero e del trasferimento della stessa alle Regioni, il tema della legittimazione passiva va ora non di meno rivisitato per essere state queste sezioni unite specificamente investite della questione.

6. Nel richiamare il quadro normativo di riferimento già descritto e preso in considerazione da queste sezioni unite (Cass., sez. un., 1 aprile 2010, nn. 8064 e 8065, cit.), è sufficiente partire dalla considerazione che la L. 25 febbraio 1992, n. 210, facendo seguito ad una pronuncia di illegittimità costituzionale in materia (C. cost. n. 307 del 1990), ha introdotto un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie (art. 1, comma 1) o di emotrasfusioni e somministrazioni di emoderivati (art. 1, commi 2 e 3); indennizzo che si configura come diritto soggettivo ad una prestazione economica a carattere assistenziale (Cass., sez. un., 8 maggio 2006, n. 10418).

Plurime pronunce della Corte costituzionale in materia hanno indotto il legislatore ad intervenire ulteriormente, dapprima con il D.L. 23 ottobre 1996, n. 548, art. 7 convertito dalla L. 20 dicembre 1996, n. 641, art. 1, comma 1 e poi con la L. 25 luglio 1997, n. 238 (modificativa ed integrativa della L. 25 febbraio 1992, n. 210), prevedendo un assegno a compensazione del danno per il periodo precedente a conseguimento dell’indennizzo, fermo restando il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante da fatto illecito (cfr. anche la L. 29 ottobre 2005, n. 229, art. 1).

In epoca più recente il legislatore ha ritenuto meritevoli di indennizzo anche alcune ipotesi di vita malformata ( L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 363).

Questa normativa – che ha disegnato prestazioni di assistenza sociale — ha dato luogo a varie questioni riguardanti essenzialmente i presupposti del beneficio; la stessa viene ora in rilievo per un profilo processuale, quello della legittimazione passiva nel giudizio avente ad oggetto la domanda di riconoscimento della spettanza del beneficio.

7. Nel contesto di questa disciplina di settore, qui richiamata assai sommariamente (ma più diffusamente esaminata da Cass., sez. un., 1 aprile 2010, nn. 8064 e 8065, cit.), il ricorso che viene ora all’esame di queste sezioni unite pone una questione processuale molto puntuale, che sorge perchè, qualche anno dopo l’introduzione di questa prestazione di assistenza sociale, le funzioni ed i compiti in materia di indennizzo dei danni permanenti alla salute in caso di danni irreversibili da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, sono stati trasferiti alle Regioni e quindi ci si è chiesto se permanesse la legittimazione passiva del Ministero della sanità (poi della salute) o invece dovesse piuttosto affermarsi quella della Regione (e talvolta quella delle aziende sanitarie locali in caso di leggi regionali di ulteriore trasferimento delle funzioni amministrative a queste ultime).

Occorre partire dalla L. 15 marzo 1997, n. 59, che all’art. 1, comma 1, ha delegato il Governo a prevedere il "conferimento" alle regioni e agli enti locali, ai sensi degli artt. 5, 118 e 128 Cost., di "funzioni e compiti amministrativi", nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi contenuti nella legge stessa, intendendo per "conferimento" il trasferimento, la delega o l’attribuzione di funzioni e compiti.

A tale trasferimento di funzioni e compiti amministrativi, da attuarsi con normativa delegata, trasferimento che avrebbe realizzato un ampio decentramento dell’attività amministrativa con dislocazione di risorse e assegnazione di personale, si affiancava poi anche un parallelo (ed immediato) decentramento di competenze legislative che, a Costituzione invariata (all’epoca), non poteva che riguardare competenze meramente delegate atteso che l’originario art. 117 Cost., comma 1, che catalogava le competenze concorrenti del legislatore regionale, richiedeva una legge costituzionale per l’introduzione di ulteriori competenze e, al secondo comma, consentiva che le leggi ordinarie demandassero alla legge regionale (solo) "le norme per la loro attuazione".

Ed infatti la L. n. 59 del 1997, art. 2 da una parte si è mosso nel contesto di quella che all’epoca era la competenza legislativa concorrente delle regioni ed ha previsto che "la disciplina legislativa delle funzioni e dei compiti conferiti alle regioni ai sensi della presente legge spetta alle regioni quando è riconducibile alle materie di cui all’art. 117 Cost., comma 1.

D’altra parte ha operato con riferimento all’art. 117 Cost., comma 2 un decentramento legislativo in forma di legislazione regionale delegata giacchè ha previsto che "nelle restanti materie spetta alle regioni il potere di emanare norme attuative ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2".

In attuazione della delega di cui all’art. 1 cit. è stato emesso il D.Lgs. 31 marzo 1998,n. 112 recante appunto norme per il conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle regioni e agli enti locali.

Per quanto interessa la presente controversia c’è da considerare da una parte il D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 114, comma 1, che ha previsto in generale che sono conferiti alle regioni, secondo le modalità e le regole fissate dal medesimo decreto legislativo, tutte le funzioni e i compiti amministrativi in tema di salute umana e sanità veterinaria, salvo quelli espressamente mantenuti allo Stato.

Il cit. art. 114, comma 2 ha precisato poi che i conferimenti di competenze si intendevano come trasferimenti effettuati a titolo di delega.

D’altra parte però, in particolare, il D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 123 – con riferimento specifico al tema ora controverso – ha previsto che erano conservate allo Stato le funzioni in materia di ricorsi per la corresponsione degli indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati.

All’epoca la materia "assistenza sanitaria ed ospedaliera" (ex art. 117, comma 1, testo originario) segnava una tipica competenza concorrente delle regioni sicchè, in forza del trasferimento di competenze legislative di cui alla L. n. 59 del 1997, art. 2 doveva ritenersi trasferita alle regioni la competenza legislativa a disciplinare le funzioni ed i compiti relativi.

L’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, pur riguardando la "salute umana" ex art. 114, comma 1, non afferiva alla materia "assistenza sanitaria ed ospedaliera" ex art. 117 Cost., comma 1, (testo originario) trattandosi invece di assistenza sociale per il fatto di essere ad esso sottese regioni di solidarietà ( art. 2 Cost.) e di contrasto del bisogno ( art. 38 Cost., comma 2) che giustificavano – e giustificano – una parziale "socializzazione" del danno affinchè non gravi solo sul soggetto che si trova a subire un pregiudizio permanente alla sua integrità fisica, non altrimenti risarcibile, a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati. Trovava quindi applicazione la seconda parte dell’art. 2 cit., comma 1: la competenza legislativa trasferita in materia di indennizzo ex L. n. 210 del 1992 era quella meramente delegata, non già quella concorrente.

8. L’effettivo trasferimento di compiti e funzioni amministrative si è avuto con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri come previsto dalla L. n. 59 del 1997, art. 7 con normativa quindi subprimaria in quanto legittimata da quella primaria, ossia dalla legge ordinaria; la quale pertanto non poteva alterare il riparto di competenze Stato-Regioni.

Il primo D.P.C.M. del 26 maggio 2000 (in G.U. 11 ottobre 2000, n. 238) trasferiva alle regioni le risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative ed in particolare – alla lett. a) della tabella A) – trasferiva le funzioni in materia di indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni ed integrazioni nonchè di vaccinazione antipoliomelitica non obbligatoria di cui alla L. 14 ottobre 1999, n. 362, art. 3.

L’art. 2, comma 4, poi conteneva una specifica previsione relativa al contenzioso, che però, trattandosi di normativa subprimaria nello specifico campo delimitato dall’art. 7 cit., non poteva disciplinare la legittimazione a stare in giudizio. Ed infatti l’art. 2, comma 4, si limitava a prevedere che restavano a carico dello Stato gli eventuali oneri derivanti dal contenzioso riferito a fatti precedenti il trasferimento.

Seguono il D.P.C.M. 8 gennaio 2002 (in G.U. 26 marzo 2002, n. 72) ed il D.P.C.M. 24 luglio 2003 (in G.U. del 17 ottobre 2003, n. 242) che rideterminano le risorse finanziarie da trasferire alle regioni e agli enti locali per l’esercizio delle funzioni segnatamente in materia di indennizzo ex L. n. 210 del 1992. L’art. 3 di entrambi i D.P.C.M. prevede che restano a carico dello Stato, ai sensi del D.P.C.M. 26 maggio 2000, art. 2, comma 4, gli oneri a qualsiasi titolo derivanti dal contenzioso riferito a qualsiasi ricorso giurisdizionale concernenti le istanze di indennizzo trasmesse sino al 21 febbraio 2001 al Ministero della sanità, dalle aziende sanitarie locali.

Questi due D.P.C.M. intervengono nel mutato quadro costituzionale conseguente alla riforma di cui alla Legge Costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 che ha modificato il titolo 5^ della seconda parte della Costituzione.

Il nuovo art. 117 Cost. prevede (al comma 3) la materia della "tutela della salute" come competenza concorrente, mentre per la materia dell’assistenza sociale, in quanto non espressamente contemplata nei commi 2 e 3, deve ritenersi ricadere ora nella competenza residuale del legislatore regionale ( art. 117 Cost., comma 4); ciò che però non comportava certo l’illegittimità costituzionale sopravvenuta della norma, ricavatale dal previgente quadro normativo, che assegnava al Ministero della sanità la legittimazione passiva a stare in giudizio nelle controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del beneficio assistenziale dell’indennizzo suddetto.

Ma avrebbe consentito in astratto una innovazione normativa in tema di legittimazione passiva.

Ciò però non fanno i due cit. D.P.C.M., che pure intervengono quando la materia è divenuta di competenza regionale residuale. Ed infatti, pur in questo diverso contesto di ampliata competenza del legislatore regionale (del nuovo art. 117 Cost.), il Governo – con quella normativa subprimaria (i cit. D.P.C.M.) che continuava ad essere legittimata dalla L. n. 59 del 1997, art. 7 in quell’ambito limitato che all’epoca era possibile a Costituzione invariata – non avrebbe potuto trasferire alle regioni la legittimazione passiva a stare in giudizio per inidoneità della fonte. Ed a ben vedere non lo ha fatto perchè l’art. 3 di entrambi i D.P.C.M. si è limitato a regolare la ripartizione tra Stato e regioni solo degli "oneri" derivanti dal contenzioso.

Rimaneva invece vigente – pur nel mutato quadro costituzionale delle competenze legislative Stato-Regioni – il D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 123 che – come rilevato -prevedeva che sono conservate allo Stato le funzioni in materia di ricorsi per la corresponsione degli indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati.

Altresì rimaneva vigente la L. n. 210 del 1992, art. 5 che prevedeva che avverso la valutazione della commissione medico-ospedaliera di cui all’art. 4, è ammesso ricorso al Ministro della sanità entro trenta giorni dalla notifica o dalla piena conoscenza della valutazione stessa.

Successivamente la Conferenza permanente, con accordo del 23 settembre 2004, modificativo del precedente accordo del 1 agosto 2002, Stato-Regioni adottava le "linee guida per la gestione uniforme delle problematiche applicative della L. 25 febbraio 1992, n. 210" che, tra l’altro, prevedevano modalità di proposizione del ricorso al Ministero della salute, per il tramite della regione o dell’A.S.L., avverso il giudizio della commissione medico ospedaliera. Quindi nella sede in cui maggiormente si estrinseca la leale collaborazione, a livello normativo, tra Stato e Regioni, si prendeva atto, in sostanza, che nulla era mutato in tema di potere del Ministro della salute di decidere i ricorsi amministrativi in materia.

9. In sintesi, da questo complesso quadro normativo finora descritto emerge che: a) le disposizioni sul contenzioso contenute nei cit.

D.P.C.M. riguardano solo l’onere dello stesso, ma da esse non si ricava anche un regola processuale sulla legittimazione passiva, nè potrebbe ricavarsi per inidoneità della fonte a disciplinare tale aspetto pur in un mutato contesto costituzionale di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regione,che ora assegna alle regioni la competenza residuale in materia di assistenza sociale; b) la L. n. 210 del 1992, art. 5 continua ad assegnare al Ministro della salute la competenza a decidere il ricorso amministrativo avverso la valutazione della commissione medico-ospedaliera; c) questa competenza è stata fatta salva dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 123 e sopravvive anche nel mutato contesto di trasferimento alle regioni di compiti e funzioni in tema di indennizzo (ad opera dei cit.

D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003) e di attribuzione alle regioni della competenza legislativa residuale in materia di assistenza pubblica (ad opera dell’art. 117 Cost., comma 4, riformato). Di tale permanente vigenza c’è indiretta conferma nel menzionato accordo Stato-Regioni.

Può allora concludersi affermando che, come il Ministro della salute decide in sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale in esame, analogamente è nei suoi confronti che va proposta l’azione giudiziaria con cui il danneggiato rivendica l’indennizzo.

Va pertanto confermato l’orientamento giurisprudenziale da ultimo affermatosi nella Sezione Lavoro ribadendo, come principio di diritto ex art. 384 c.p.c., comma 1, che nelle controversie aventi ad oggetto l’indennizzo previsto dalla L. 25 febbraio 1992, n. 210, in favore dei soggetti che hanno riportato danni irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati e da questi ultimi proposte per l’accertamento del diritto al beneficio sussiste la legittimazione passiva del Ministero della salute.

10. Il ricorso – che non pone altre questioni oltre quella esaminata – è quindi infondato e va rigettato.

Non occorre provvedere a regolamentare le spese di questo giudizio di cassazione non avendo la parte intimata svolto alcuna difesa.
P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; nulla sulle spese di questo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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