Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-12-2010) 23-03-2011, n. 11651 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Genova dichiarò M.A. colpevole dei reati di cui: a) al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, per avere detenuto a fini di spaccio gr. 564,928 netti di hashish; b) di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per avere ceduto gr. 4,725 netti di hashish ad un soggetto e, concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla recidiva, e ritenuta la continuazione tra i due reati contestati, determinò la pena base per il reato di cui al capo A) in anni 6 e mesi 2 di reclusione ed Euro 27.000,00 di multa, aumentata per la continuazione ad anni 6 e mesi 3 di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa e ridotta per la diminuente del rito abbreviato ad anni 4 e mesi 2 di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa.

Il Procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Genova propone ricorso per cassazione deducendo che, essendo stata contestata la recidiva, ai sensi dell’art. 81 c.p., u.c. l’aumento per la continuazione non poteva essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, ossia ad 2 anni e un mese di reclusione ed Euro 9.000,00 di multa. Il Procuratore generale ricorrente rileva anche che la recidiva, per non dispiegare i suoi effetti, deve essere espressamente disapplicata o ritenuta minusvalente rispetto alle concesse attenuanti, mentre il giudizio di equivalenza non esclude l’avvenuta applicazione della recidiva.
Motivi della decisione

Il ricorso del Procuratore generale di Genova si fonda su una affermazione in diritto astrattamente esatta, in quanto all’imputato era stata contestata la recidiva reiterata specifica e l’art. 81 c.p., comma 4, dispone che, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave. Nella specie, quindi, l’aumento per la continuazione avrebbe dovuto essere di anni 2 e giorni 20 di reclusione ed Euro 9.000,00 di multa (da ridursi poi per il rito).

Tuttavia, deve anche rilevarsi che l’applicazione del suddetto aumento di pena presuppone la sussistenza di due condizioni: a) che effettivamente nel fatto contestato siano configurabili due reati uniti dal vincolo della continuazione e non un unico reato; b) che effettivamente non sia stata esclusa la recidiva.

Il ricorso del Procuratore generale, quindi, investe necessariamente anche i punti della sentenza impugnata relativi all’applicazione della continuazione ed all’applicazione della recidiva, e ad entrambi questi punti preliminari, pertanto, deve estendersi l’esame di questa Corte. Ed invero, qualora in ipotesi nel caso concreto non fosse ravvisabile la continuazione, questa Corte non potrebbe, accogliendo il ricorso del Procuratore generale, attribuirle effetto disponendo l’aumento della pena sulla base di un presupposto inesistente o illegittimamente ritenuto. Lo stesso avverrebbe qualora il giudice avesse in realtà escluso la recidiva.

Per quanto concerne la continuazione, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, " D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ha natura giuridica di norma a più fattispecie; ne consegue che deve escludersi il concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative previste dalla norma, poste in essere senza apprezzabile soluzione di continuità dal medesimo soggetto ed aventi come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente (Fattispecie in tema di acquisto, detenzione e trasporto di una stessa sostanza stupefacente nell’ambito di un unitario progetto di spaccio in località diversa dal luogo di deposito)" (Sez. 6^, 1 1.12.2009, n. 9477, m. 246404);

"il concorso formale tra i reati di illecita detenzione e cessione di sostanza stupefacente è escluso nel caso in cui le condotte abbiano come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente, siano contestuali e poste in essere dal medesimo soggetto o dai medesimi soggetti che ne rispondano a titolo di concorso, poichè, in tal caso, la condotta illecita minore perde la propria individualità per essere assorbita in quella più grave" (Sez. 3^, 26.11.2009, n. 8163, Merano, m. 246211; Sez. 4^, 26.6.2008, n. 36523, Baire, m. 242014).

Ora, risulta dalla sentenza impugnata che il fatto ritenuto a carico dell’imputato consiste nell’essere salito in un appartamento dove deteneva una certa quantità di hashish, di averne prelevato una dose, di essere poi sceso in strada e di averla venduta a tale M.S. che lo aspettava in auto. Le condotte della detenzione e della vendita sembrerebbero quindi riguardare la medesima sostanza stupefacente ed essersi svolte senza soluzione di continuità e comunque nell’ambito di un unitario progetto di spaccio. Sono invece irrilevanti a tal fine le circostanze evidenziate dal giudice di primo grado, e cioè che la detenzione in casa riguardava un quantitativo maggiore di quello venduto, che la detenzione era iniziata in un momento antecedente a quello della vendita e che continuava dopo la vendita stessa. Se fosse esatto l’assunto del giudice, infatti, i ricordati principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte non potrebbero mai trovare applicazione se non nella ipotesi, puramente astratta ed irrealizzabile nella pratica, di un soggetto che nello stesso tempo e nello stesso luogo contemporaneamente acquisti e venda la medesima quantità di sostanza stupefacente, giacchè altrimenti la detenzione necessariamente riguarderebbe una quantità diversa ed avrebbe una durata maggiore delle singole vendite. La motivazione della sentenza impugnata sulla sussistenza di due distinti reati anzichè di un reato unico, quindi, oltre a fondarsi su una erronea applicazione dei principi di diritto, pur richiamati, è anche meramente apparente, perchè non spiega le ragioni per le quali nel caso concreto detenzione e vendita non si sarebbero svolte nel medesimo arco di tempo e non avrebbero avuto ad oggetto la medesima sostanza stupefacente.

Ma la motivazione della sentenza impugnata è manifestamente illogica e perplessa anche in relazione al riconoscimento o alla esclusione della recidiva. Questa Corte ha infatti affermato che "Una volta contestata la recidiva nel reato, anche reiterata, purchè non ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 5, qualora essa sia stata esclusa dal giudice, non solo non ha luogo l’aggravamento della pena, ma non operano neanche gli ulteriori effetti commisurativi della sanzione costituiti dal divieto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, di cui all’art. 69 c.p., comma 4, dal limite minimo di aumento della pena per il cumulo formale di cui all’art. 81 c.p., comma 4, dall’inibizione all’accesso al cosiddetto "patteggiamento allargato" e alla relativa riduzione premiale di cui all’art. 444 c.p.p., comma 1-bis; effetti che si determinano integralmente qualora, invece, la recidiva stessa non sia stata esclusa, per essere stata ritenuta sintomo di maggiore colpevolezza e pericolosità" (Sez. Un., 27.5.2010, n. 35738, Calibe, m. 247839). Conseguentemente "L’aumento di pena per il concorso formale o la continuazione, se la contestata recidiva reiterata non è in concreto applicata, può ben essere inferiore al terzo della pena stabilita per il reato più grave" (Sez. 3^, 7.10.2009, n. 46449, Serali, m. 245609) nella specie, il giudice di primo grado ha accertato che l’imputato era stato condannato tre volte per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti per fatti commessi nel (OMISSIS), ed aveva riportato condanne per furto tentato, danneggiamento ed altro.

Il giudice ha quindi ritenuto giustificata la contestazione della recidiva, perchè il nuovo delitto appariva espressione della pericolosità specifica del M.. Sennonchè subito dopo il giudice ha esplicitamente ritenuto che non doveva essere applicato l’aumento di pena di cui all’art. 81 c.p., comma 4, perchè "la recidiva, pur ritenuta, non è stata in concreto applicata per la presenza di plurimi elementi favorevoli all’imputato, tutti significativi, che hanno portato a ritenere le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva contestata e a non applicare gli aumenti di pena stabiliti dall’art. 99". Non è quindi chiaro se il giudice in realtà abbia ritenuto esatta la sola contestazione della recidiva ma poi non l’abbia applicata e ne abbia escluso la rilevanza ai fini degli altri effetti penali pur valutandola equivalente alle attenuanti generiche ovvero, come ritiene il Procuratore generale ricorrente, compiendo il giudizio di equivalenza non l’abbia esclusa e l’abbia invece applicata, contrariamente a quanto affermato in motivazione. Si rende quindi necessaria una nuova valutazione sul punto.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata relativamente alla continuazione ed alla recidiva.

Trattandosi di sentenza non appellabile da parte del pubblico ministero ( art. 443 c.p.p., comma 3) il rinvio deve essere fatto al tribunale di Genova.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Genova.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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