Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-12-2010) 23-03-2011, n. 11650

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

I Sergio, Avv. SANTARELLI Guglielmo e Avv. VENTURI Francesco.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 24 aprile 2009, la Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza emessa in data 27 febbraio 2006 dal Tribunale di Orvieto, appellata dall’imputato MA.Ma.An. e dal Procuratore della Repubblica del Tribunale di Orvieto, dichiarava C.S. e M.S. – già assolti dal Tribunale di Orvieto – colpevoli del reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, lett. b) (attività di stoccaggio e recupero di rifiuti pericolosi senza la prescritta autorizzazione della P.A.) in esso assorbito il reato di cui al capo b) (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, lett. a) e b)) Fatti accertati in (OMISSIS) e, concesse ai medesimi le circostanze attenuanti generiche prevalenti, condannava ciascuno di essi alla pena – condizionalmente sospesa e con l’ulteriore beneficio della non menzione – di mesi quattro di arresto ed Euro 1.800,00 di ammenda oltre alle spese del doppio grado di giudizio. Dichiarava, poi, non doversi procedere nei confronti dei predetti imputati e nei confronti anche di MA. M.A. in ordine alla imputazione di cui al capo a) (reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, lett. a, accertato nel medesimo luogo e tempo) perchè estinto il reato per intervenuta oblazione e confermava, nel resto la sentenza impugnata, con condanna dell’appellante MA.An. alle spese del grado.

Avverso la detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione tutti gli imputati personalmente e a mezzo dei rispettivi difensori.

In particolare il ricorrente MA. articolava sei distinti motivi.

Con il primo, deduceva contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonchè travisamento della prova e erronea applicazione della legge penale.

In particolare veniva prospettata una ipotesi di cd.

"contraddittorietà processuale" tra la motivazione e le opposte (o contrarie) risultanze processuali consistente in un vero e proprio travisamento delle risultanze probatorie che avrebbero condotto la Corte territoriale a ritenere l’imputato colpevole di una condotta in realtà integrante diversa ipotesi di reato, peraltro mai contestata.

A riprova di tale argomentazione, il ricorrente ha specificamente sostenuto che la eco-piazzola all’interno della quale sarebbero stati stoccati rifiuti pericolosi e non, in realtà non costituiva affatto un centro di deposito contenente rifiuti di provenienza non urbana (cd. "rifiuti domestici") come tale gestito dai Sindaci dell’epoca e dai funzionari tecnici di grado apicale del Comune.

Il ricorrente, nel contestare la provenienza extraurbana di tali rifiuti (si trattava di batterie esauste al piombo per telefonini e parchimetri e di accumulatori, anch’essi al piombo) ha sostenuto che nel caso in esame la cd. "eco-piazzola" altro non fosse che un deposito comunale contenente rifiuti urbani, comunque inquadratole sotto lo schema normativo di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma 1, lett. m), penalmente neutro.

Con il secondo motivo veniva dedotto analogo vizio motivazionale nella misura in cui la Corte territoriale aveva ritenuto compresi in quel sito rifiuti pericolosi di origine non comunale contrariamente alle risultanze probatorie emerse in dibattimento.

Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto analogo vizio di motivazione nella misura in cui la Corte di Appello aveva ritenuto ascrivibile sul piano soggettivo la condotta ad esso imputato, nonostante fosse stata riconosciuta la carenza di potere decisionale in merito alle scelte affidate in realtà a soggetti politici, tanto da evidenziare una sostanziale disparità di trattamento pur nella omogeneità delle posizioni funzionali rispetto a soggetti rivestenti analoga qualifica e funzione, ma non oggetto di indagini penali, censurando ancora una omessa motivazione in punto di differenziazione (esistente, ma non operata) nella ripartizione delle funzioni tra organi "politici" (il sindaco) ed organi "tecnici" (dirigente tecnico), dovendosi pertanto riconoscere una inconfigurabilità in termini di rapporto di causalità tra la condotta e l’evento, ascrivibile solo ad eventuali scelte politiche e dunque a soggetti istituzionalmente a ciò preposti.

Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo illogicità di motivazione ed errata applicazione di norma penale (artt. 42, 43 e 5 c.p.), ha sostenuto la ricorrenza dell’errore di fatto scusabile, in realtà non rilevato dalla Corte territoriale che sul punto avrebbe sostanzialmente omesso di motivare in merito all’elemento soggettivo del reato, del tutto insussistente.

Con il quinto motivo il ricorrente deduceva erronea e falsa applicazione della legge penale (D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 31 e ss.) per essere la Corte pervenuta alla illegittima conclusione di una responsabilità penale anche per il reato sub b), previo assorbimento della relativa condotta nel reato di cui al capo c).

Rilevava, al riguardo l’inapplicabilità nel caso in esame della L.R. n. 14 del 2002, art. 19, comma 3 emanata dalla regione Umbria, posto che l’attività non era ancora iniziata. Censurava – ancora una volta – le argomentazioni della Corte che avrebbe omesso di motivare sul punto relativo alla legittimità della cd. "isola ecologica" di Orvieto per effetto di disposizioni transitorie amministrative valevoli per le stazioni ecologiche già in esercizio che legittimavano la prosecuzione della loro permanenza ed attività.

Con il sesto, ed ultimo, motivo, il ricorrente ha dedotto contraddittorietà della motivazione ed erronea e/o falsa applicazione della legge penale – in particolare art. 54 c.p. – nella parte in cui ha ritenuto insussistente il dedotto stato di necessità non motivando alcunchè sul punto. I ricorrenti C. e M., già assolti in primo grado, e la cui posizione può essere trattata congiuntamente attesa la sostanziale identità di posizione (diversificata esclusivamente sul piano temporale) hanno articolato paralleli sei motivi, sostanzialmente analoghi a quelli sviluppati dal ricorrente MA..

Unica differenza – per quanto riguarda il motivo sub 3) – è da rinvenire nel fatto che, in modo del tutto incoerente e difforme rispetto alle risultanze processuali, la Corte territoriale avrebbe individuato responsabilità in capo ai due imputati nonostante l’assenza assoluta di rapporto di causalità tra la condotta, in realtà ascrivibile al solo MA. nella sua specifica qualità di organo tecnico, e l’evento, omettendo di motivare sul punto ed anzi travisando le prove (documentali e dichiarative) emerse.

Con memorie depositate in data 6 dicembre 2010 i difensori dei ricorrenti ribadendo le ragioni addotte con i motivi di ricorso, rilevavano l’intervenuta prescrizione dei reati maturata – anche sulla base di quanto affermato nella sentenza impugnata nelle more tra la data del deposito della sentenza di appello e la data di fissazione dell’udienza dinnanzi a questa Corte, invocando in via subordinata la relativa declaratoria di improcedibilità. Nessuno dei motivi contenuti nel ricorso principale – pur estremamente articolati – appare fondato.

Va premesso che la complessa vicenda giudiziaria che vede protagonisti i tre ricorrenti nelle rispettive vesti, i primi due ( C. e M.) di Sindaco del Comune di Orvieto e il terzo ( MA.) di Dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale di detta città, trae origine da un sopralluogo effettuato in data 24 febbraio 2005 da militari dell’Arma dei carabinieri appartenenti al Nucleo Operativo Ecologico di Perugia, in occasione del quale si aveva modo di accertare che la stazione ecologica del Comune di Orvieto sita in località "(OMISSIS)" era costituita da una superficie di circa 3000 mq. distinta in due zone, la prima delle quali utilizzata per attività di rimessaggio dei mezzi adibiti per la raccolta dei rifiuti urbani e la secondo utilizzata per la raccolta differenziata dei rifiuti.

Prescindendo dal fatto che i rifiuti ammassati erano di natura mista (urbani e non) oltre in parte pericolosi (essendo stata constatata la presenza di batterie al piombo e batterie esauste provenienti dai parchimetri comunali), i militari avevano accertato che la raccolta differenziata dei rifiuti era effettuata in assenza della prescritta autorizzazione prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 27 e 28 e quindi in violazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, commi 1 e 3, in quanto sebbene fosse stato comunicato sin dal 13 novembre 2001 da parte del Comune interessato l’inizio della attività di smaltimento, la Provincia di Terni aveva opposto un diniego all’inizio di tale attività per inidoneità dell’area in cui essa era stata localizzata.

La constatata irregolarità aveva determinato il sequestro preventivo dell’area revocato soltanto a seguito dell’autorizzazione postuma rilasciata dalla provincia di Terni per l’esercizio di una stazione ecologica adibita anche alla raccolta di rifiuti pericolosi.

Muovendo dalla premessa che le piazzole ecologiche essere qualificate come centri di stoccaggio come tali assoggettati a regime autorizzatorio preventivo da parte della Provincia, il Tribunale di Orvieto aveva comunque assolto il C. e il M. dai reati sub b) e c) per difetto dell’elemento soggettivo del reato, rilevando come una volta impartiti gli atti di indirizzo e posto in condizione gli uffici di operare, il conferimento di apposita delega delle rispettive competenze in favore del dirigente responsabile dell’ufficio tecnico comunale per il settore ambiente, Ing. MA. li esimesse da responsabilità.

Quanto al MA. la sua responsabilità derivava dal fatto che lo stesso, nella sua specifica qualità di Dirigente dell’UTC preposto al settore ambiente, pur munito di apposita delega sindacale e pur informato delle varie procedure da osservare aveva omesso di attivarsi per richiedere una nuova istanza onde risolvere il problema della temporanea inidoneità dell’area e non aveva nemmeno attivato i poteri contingibili ed urgenti del Sindaco.

Avverso la condanna proponevano appello sia il MA. – quanto alla sua statuizione di condanna – che il Procuratore della Repubblica – con riferimento alla assoluzione degli imputati C. e M..

Il relativo giudizio di appello veniva definito con la sentenza oggi impugnata da tutti gli imputati.

Ciò posto e passando ad esaminare le censure dei ricorrenti C. e M., la cui posizione può essere trattata congiuntamente attesa la sostanziale identità di posizione (diversificata esclusivamente sul piano temporale), con il primo motivo si sostiene una sorta di contraddittorietà definita "processuale" in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa travisando la prova.

Viene contestata l’affermazione – ritenuta apodittica – della Corte secondo la quale nell’area interessata sarebbero confluiti rifiuti speciali pericolosi non urbani che, in quanto tali, non potevano neanche essere riversati in quel sito in quanto non idoneo a quella utilizzazione: affermazione apodittica in quanto nessun elemento acquisito al processo autorizzava tale conclusione.

In ultima analisi a dire dei ricorrenti la condotta contestata (esercizio di una attività di recupero e stoccaggio di rifiuti pericolosi in una stazione ecologica senza autorizzazione) è stata invece ritenuta dalla Corte in concreto come una vera e propria attività di traffico di rifiuti pericolosi.

Così prospettata la questione va subito osservato che la Corte ha esattamente qualificato l’attività esercitata come attività di stoccaggio di rifiuti convogliati in un’area (la cd. "isola o piazzola ecologica", da ritenersi pacificamente centro di stoccaggio dei rifiuti necessitante per la sua attivazione della prevista autorizzazione, in quanto in essa si svolge una fase preliminare alle attività di smaltimento o di recupero dei rifiuti – v. sul punto Cass. Sez. 3A 15.1.2008 n. 9103; Cass. Sez. 3A 27.6.2005 n. 34665) e con motivazione esente da vizi logici ed ancorata a dati fattuali, ha correttamente attribuito natura di rifiuti speciali pericolosi non urbani alle batterie provenienti dai parchimetri comunali, non certo smaltiti o smaltibili dai singoli cittadini ed agli accumulatori di piombo esausti.

E a completamento di tale giudizio in modo altrettanto esaustivo la Corte ha chiarito che ragioni di ordine temporale (con riferimento ai tempi di accumulazione) e quantitativo (con riferimento esplicito alle quantità addotte nel sito) ostassero alla provenienza urbana di tali rifiuti che per la loro specifica natura non potevano che provenire da attività commerciali (v. pag. 15 della sentenza impugnata).

Da qui la rilevanza penale della condotta esattamente inquadrata dalla Corte nell’alveo della norma mcriminatrice vigente all’epoca del fatto (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51 rispetto al quale il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 si pone in termini di continuità normativa senza alcun effetto abrogativo o derogatorio.

Nè muta la qualificazione data dalla Corte alla condotta contestata in relazione alla circostanza dedotta dai ricorrenti che quell’isola abbia funzionato come deposito temporaneo dei rifiuti prodotti dal Comune, da ricondursi nell’ambito previsionale di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma 1, lett. m).

Perchè possa parlarsi di deposito temporaneo e controllato disciplinato dall’art. 6 citato, lett. m) occorre, infatti, il rispetto di tutte le condizioni dettate dalla norma sopra citata ed, in particolare, il raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione (e tale non era certamente l’area de qua) ed il rispetto dei tempi di giacenza (indicati dalla Corte, sulla base delle emergenze fattuali in due settimane) riferiti alla natura e quantità dei rifiuti (anche questi indicati nel caso di specie nel loro esatto quantitativo): con la conseguenza che in caso di mancato rispetto di tali indefettibili condizioni si deve parlare non più di deposito temporaneo ma di deposito preliminare o di stoccaggio, attività per le quali è necessaria una preventiva autorizzazione (v. sul punto, tra le tante, Cass. Sez. 3A 28.5.2002 n. 20780; Cass. Sez. 3A 22.6.2004 n. 37879;

Cass. Sez. 3A 25.2.2004 n. 21024).

Conseguentemente – e con riferimento, stavolta, al secondo motivo di ricorso – è inesatto quanto sostenuto dai ricorrenti circa la natura di deposito comunale temporaneo assoggettabile al regime più favorevole, ex art. 2 c.p., comma 2 previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. cc) come integrato dal successivo D.M. 8 aprile 2008 che contempla sotto tale voce i cd. "centri di raccolta" dettandone la specifica disciplina, proprio perchè – come esattamente osservato dalla Corte – i centri di raccolta si riferiscono ad attività di raggruppamento di rifiuti urbani omogenei, mentre, nel caso in esame, la eterogeneità dei rifiuti esclude che possano definirsi gli stessi omogenei e soprattutto di origine unicamente urbana.

Quanto alla dedotta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato conferimento di specifica delega da parte dei due imputati – ciascuno in relazione al tempo di espletamento delle proprie funzioni di Sindaco – all’Ing. MA., osserva la Corte che il rilievo non può essere accolto.

In sostanza secondo la prospettazione difensiva, avendo la Corte affermato che il MA. era sprovvisto di apposita delega, per poi individuare un profilo di responsabilità nel MA. in quanto a conoscenza di tutti i problemi inerenti alla gestione della eco- piazzola, vi sarebbe una contraddizione tra le due proposizioni.

Tale contraddizione, però, non sussiste in quanto la Corte di Appello ha individuato la responsabilità del C. e del M. nella realizzazione e gestione della discarica considerata come una vera e propria scelta programmatica e di indirizzo politico rientrante nelle prerogative del Sindaco: in parallelo è stata individuata una (corresponsabilità del MA. non già perchè investito di determinati compiti delegatigli dal Sindaco di turno ma perchè il funzionario in posizione apicale del settore tecnico che materialmente aveva coordinato l’attività di gestione materiale della discarica coordinando l’azione di altri dipendenti ed interloquendo con i funzionari e tecnici della Provincia di Terni. Ne deriva che quella ipotizzata contraddizione non solo non può configurarsi in riferimento alle diverse aree di responsabilità in cui operavano il Sindaco e il capo dell’Ufficio Tecnico ma neanche all’interno della posizione del MA. in sè considerata posto che egli viene chiamato in causa, indipendentemente dal conferimento o meno di una delega (conferimento mai avvenuto), esclusivamente perchè coinvolto in senso materiale nella gestione della discarica e ben consapevole di tutti i problemi insorti con la Provincia di Terni a causa del mancato rilascio della autorizzazione all’attivazione della discarica, il cui inizio, peraltro, era stato comunicato dal Sindaco nell’ambito di quegli interventi di indirizzo politico di cui si è dianzi detto.

Affermare allora che la condotta del Sindaco non si pone in rapporto di causalità con l’evento è inesatto, così come incongruo appare il richiamo ad una precedente sentenza di questa stessa Corte (Cass. Sez. 3A 1.7.2004 nr. 28674) la quale nell’indicare il discrimine tra attività di indirizzo programmatico-politico (rientrante nei compiti istituzionali del Sindaco) e attività materiale di gestione tecnico- amministrativa (rientrante nei compiti del dirigente amministrativo (o tecnico) del settore, ha attribuito a ciascuno dei due soggetti responsabilità specifiche che, se non assolte convenientemente, implicano una responsabilità individuale a titolo diretto.

Quanto alla asserita violazione della legge penale per non avere la Corte tenuto conto dei possibili equivoci interpretativi derivanti dalla congerie di accordi ed iniziative locali succedutesi in quel periodo (il riferimento è ad un accordo di programma intercorso tra le Province di Perugia e Terni nel corso del 2001 in base al quale non tutte le isole ecologiche erano assoggettate ad autorizzazione preventiva ma solo quelle in cui era prevista la cernita ed il raggruppamento su particolari tipologie di rifiuti; ad una Determinazione Regionale che aveva inizialmente ammesso a finanziamento comunitario il progetto elaborato dal Comune; alla L.R. 31 luglio 2002, n. 14 concernente la sospensione delle cd. "procedure semplificate" in attesa della individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti nei termini indicati all’art. 19 stessa Legge Regionale, comma 2, lett. d); alla Delib. Provincia Regionale Terni 15 dicembre 2003 avente per oggetto la individuazione delle aree non idonee e il consenso ad una prosecuzione delle attività per quelle imprese (o Enti) che avessero prima di allora iniziato l’attività di recupero dei rifiuti), la Corte di Appello ha non solo ritenuto che i soggetti interessati (i due Sindaci e il tecnico) versassero in colpa (già in sè idonea a far configurare il reato) ma addirittura che si profilasse un vero e proprio contegno doloso posto che sia i due Sindaci, sia il MA. erano ben consapevoli delle varie irregolarità in cui versava l’isola ecologica in quanto ritenuta inidonea ed ancor prima, proprio per effetto della sospensione imposta dalla Provincia di Terni: così come i detti soggetti erano perfettamente consapevoli della necessità della preventiva autorizzazione senza che potessero profilarsi quei dubbi interpretativi indicati dalla difesa.

Ciò impedisce di riconoscere ingresso all’errore scusabile invocato dai ricorrenti in ordine alla cui irrilevanza la Corte ha comunque – sia pure per implicito – motivato laddove ha fatto cenno della normativa di riferimento e ciò nonostante della precisa intenzione dei soggetti di proseguire in una attività da interrompersi in quanto divenuta illegittima. Per ciò che concerne il motivo riguardante l’erronea e falsa applicazione della legge (L.R. Regione Umbria n. 14 del 2002, art. 19 relativa alla sospensione delle procedura semplificate per le quali fosse stato comunicato l’inizio delle attività senza che l’attività stessa fosse stata intrapresa), il rilievo non appare fondato avendo correttamente la Corte evidenziato come l’intervento negativo della Provincia di Terni volto proprio ad impedire che il Comune di Orvieto era inibito ad avviare l’attività recupero dei rifiuti è la riprova eloquente del pieno rispetto della Legge Regionale che imponeva una sospensione proprio nei confronti di attività di smaltimento non ancora avviate intendendosi per tali quelle materialmente messe in esercizio e non rilevando a tale fine la circostanza che inizialmente il progetto presentato dal Comune alla regione fosse stato ammesso al finanziamento.

Anche la tesi dell’invocato stato di necessità non rileva in quanto oltre a non essere stata dimostrata, in ogni caso non risulta da alcuna circostanza in atti che tale supposto stato di necessità legittimasse l’iniziativa del Comune: e comunque nessuno dei due Sindaci interessati non risulta che abbia invocato tale specifica situazione, sicchè nessuna censura può essere mossa alla Corte su tale particolare aspetto del problema.

Conclusivamente deve dirsi che stante l’infondatezza dei motivi di ricorso questi dovrebbero essere rigettati.

Tuttavia proprio perchè nessuno dei motivi addotti a sostegno del ricorso appare manifestamente infondato, l’intervenuto decorso del termine prescrizionale nonostante le sospensioni del corso della prescrizione già segnalate nella sentenza impugnata (v. pag. 21 della sentenza) impongono l’annullamento senza rinvio della sentenza per essersi i reati sub a), b) e c) estinti per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essersi i reati estinti per intervenuta.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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