Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-12-2010) 23-03-2011, n. 11649 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 22 ottobre 2009 ha confermato la decisione del Tribunale di Crema in data 14 novembre 2007, con la quale S.Y. veniva condannato alla pena di quattro anni di reclusioni e pene accessori, nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, per i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale continuata e lesioni, in danno della moglie R.V., in (OMISSIS) (per le lesioni con postumi fino al (OMISSIS)).

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi:

1. Omessa motivazione sul punto relativo alle spontanee dichiarazioni rese dal ricorrente nel dibattimento di appello dibattimento. Il ricorrente con le proprie spontanee dichiarazioni ha confessato i delitti di lesioni e maltrattamenti in famiglia, ma ha respinto l’accusa di violenza sessuale. Tali dichiarazioni non sarebbero state tenute in considerazione dalla Corte di appello, che non avrebbe neppure considerato la possibilità che la persona offesa abbia potuto avere un ricordo deformato degli eventi passati, per ragioni di rancore verso l’ex marito.

2. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche con riferimento al parametro valutativo ex art. 192 c.p. e art. 546 c.p., lett. e). I giudici di appello non avrebbero motivato sulle dichiarazioni del S. e non avrebbero considerato che il malanimo può deformare il ricordo: la R., proprio perchè vittima dei maltrattamenti potrebbe essere stata indotta a rivisitare fatti e rapporti del passato in chiave deformata, ritenendo di non aver prestato il consenso ai rapporti sessuali avuti con il marito.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso risultano infondati.

Come è noto compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cfr. S.U., n 930 del 20 gennaio 1996, Aponte, Rv. 203428). Per quanto attiene in particolare alla valutazione di attendibilità della persona offesa, posta in dubbio con i motivi di ricorso, la stessa può essere controllata unicamente sotto il profilo della tenuta logica del percorso argomentativo sviluppato dal giudice di merito. Di fatti, per giurisprudenza costante, il giudice può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo – circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016).

I giudici di appello hanno confermato la valutazione del primo giudice circa la piena attendibilità della persona offesa, attesa l’intrinseca coerenza del racconto, i riscontri forniti dai testimoni e l’entità delle lesioni. In riferimento al motivo di appello, concernente i due episodi contestati di violenza sessuale (commessi per aver costretto con calci e pugni la moglie a subire rapporti contro natura), i giudici hanno osservato come l’imputato non abbia contestato il verificarsi degli accadimenti, nè ne abbia fornito una versione alternativa. Non si vede quindi quale diffusa motivazione avrebbe dovuto far seguito alla mera proclamazione di non colpevolezza, posto che il ricorrente lungi da offrire prove a contrario, non ha neppure fornito argomenti ulteriori a quelli già sottoposti con i motivi di appello, ai quali la Corte di appello ha fornito congrua risposta. Infatti anche se le dichiarazioni spontanee rappresentano una delle manifestazioni delle dichiarazioni difensive che possono essere rese dall’imputato e che sono quindi rimesse al suo potere discrezionale, il giudice di appello non è tenuto a prendere in considerazione ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi le ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo (in tal senso, Sez. 5, n. 7588 del 11/6/1999, Duri e altri, Rv. 213630). Pertanto la Corte di appello, del tutto legittimamente, ha confermato la decisione del giudice di prime cure, visto che nel corso delle dichiarazioni spontanee non erano stati adotti specifici elementi, ma l’imputato si era limitato ad affermare l’insussistenza del delitto di violenza sessuale.

Nè appare percorribile l’adombrata testi di un rancore e malanimo che avrebbe reso la persona offesa, riconosciuta attendibile per i delitti di maltrattamenti in famiglia e lesioni, inaffidabile nel narrare gli episodi dei particolari rapporti sessuali contro natura imposti con violenza e sopraffazione dal marito. Tale tesi, oltre a non essere stata adeguatamente illustrata in grado di appello, risulta apertamente smentita dalla ricostruzione della vicenda all’esito del processo. La decisione impugnata ha confermato con motivazione diffusa, congrua e priva di smagliature logiche la responsabilità del S. per il reato di violenza sessuale, il solo sul quale si era incentrata l’impugnativa dell’appellante, uniformandosi alle valutazioni espresse in primo grado sulle dichiarazioni della parte offesa valutate intrinsecamente ed estrinsecamente attendibili, per cui i motivi di ricorso devono essere rigettati.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile costituita che vengono liquidate in 1600 Euro oltre accessori di legge.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida nella somma di milleseicento Euro oltre accessori di legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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