Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-07-2010, n. 15787 COMUNITA’ EUROPEA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con decreto emesso il 16 marzo 2005 la Corte d’appello di Roma rigettò il ricorso col quale il sig. L.S. aveva chiesto il riconoscimento di un equo indennizzo per l’eccessiva durata di un giudizio da lui promosso dinanzi alla Corte dei conti.

Reputò la corte d’appello che, pur avendo detto giudizio ecceduto di circa quattro anni il limite di ragionevole durata, l’indennizzo non fosse dovuto: poichè il ricorrente non aveva fornito prova alcuna di aver sofferto danni, nè ciò poteva presumersi, atteso sia il ritardo con cui l’azione era stata promossa dinanzi al giudice contabile, rispetto al momento il cui era sorto il diritto azionato, sia la verosimile consapevolezza della mancanza di fondamento della pretesa fatta valere in quel giudizio alla stregua della prevalente giurisprudenza in materia.

Per la cassazione di tale provvedimento il sig. L. ha proposto ricorso, articolato in tre motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese in questa sede.

Il Procuratore generale, avendo reputato il ricorso manifestamente fondato, ne ha chiesto l’accoglimento previa trattazione con rito camerale.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo: sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione – il giudice che abbia accertato l’eccessiva durata ragionevole del processo deve riconoscere alla parte il diritto all’equa riparazione ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che vi sia stato un pregiudizio per il ricorrente.

In tal senso si è ripetute volte espressa questa corte, la quale ha altresì escluso che, a questi fini, possa rilevare un’asserita consapevolezza da parte dell’istante della scarsa probabilità di successo dell’iniziativa giudiziaria, ove facciano difetto positivi elementi di riscontro in tal senso (cfr., tra le altre, Cass. n. 24269 del 2008). Ed, infatti, la circostanza che la causa di merito abbia avuto esito negativo, sia pure prevedibile, è irrilevante ai fini del riconoscimento del danno non patrimoniale, giacchè l’esito favorevole della lite non condiziona il diritto alla ragionevole durata del p A processo, nè incide di per sè sulla pretesa indennitaria, della parte che abbia dovuto sopportare l’eccessivo protrarsi della causa, salvo che essa si sia resa responsabile di lite temeraria o, comunque, di un vero e proprio abuso del processo (Cass. n. 24107 del 2009).

Le circostanze a tal riguardo evidenziate nell’impugnato decreto non appaiono, però, logicamente idonee a sorreggere l’ipotesi che, nel caso in esame, il ricorrente avesse promosso l’azione dinanzi alla Corte dei conti con piena coscienza dell’infondatezza della sua pretesa (la stessa corte territoriale, d’altronde, si limita a parlare di "probabile infondatezza"). Del tutto ininfluente, rispetto ad una valutazione siffatta, è il maggiore o minor tempo intercorso tra il momento in cui detta pretesa avrebbe potuto essere azionata e quello in cui è stata in effetti assunta l’iniziativa giudiziaria;

nè certo la generica affermazione dell’esistenza di un indirizzo giurisprudenziale in prevalenza contrario alla tesi sostenuta in causa dalla parte basta a dimostrare la temerarietà della pretesa.

Il ricorso va perciò accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato.

Essendo stato già accertato che il giudizio dinanzi alla Corte dei conti ha ecceduto di quattro anni il limite di ragionevole durata, è senz’altro possibile decidere sin d’ora la causa nel merito, facendo applicazione in via equitativa dei criteri di liquidazione adoperati in casi, analoghi dalla giurisprudenza europea, così come da quella nazionale, alla stregua dei quali il danno non patrimoniale sofferto dal ricorrente nel presente caso è quantificabile in complessivi Euro 3.500,00.

L’amministrazione intimata va perciò condannata al pagamento della somma sopra indicata, con interessi legali dalla data della domanda.

La medesima amministrazione dovrà altresì rimborsare al ricorrente le spese processuali.

Tali spese, con riferimento al giudizio di merito, vengono liquidate in Euro 878,00 (di cui 450,00 per onorari e 378,00 per diritti) e per il giudizio di legittimità in Euro 655,00 (di cui 555,00 per onorari), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa l’impugnato decreto e, decidendo nel merito, condanna l’amministrazione intimata a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 3.500,00, con interessi legali dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 878,00 per il giudizio di merito ed in complessivi Euro 655,00 per quello di legittimità, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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