Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-11-2010) 23-03-2011, n. 11679

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza 4/6/2008, confermava la decisione 10/10/2006 del Tribunale di Cosenza, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva – tra l’altro – dichiarato C.L. e G.F. colpevoli dei reati di violenza e resistenza aggravate a pubblico ufficiale (capi A e C) e il primo anche del reato di lesioni volontarie aggravate (capo B) e li aveva condannati, in concorso dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 equivalente all’aggravate, a pene ritenute rispettivamente di giustizia.

Il Giudice distrettuale ricostruiva così i fatti: il giorno 11/7/2006, agenti della Polizia Penitenziaria, impegnati nel servizio scorta di alcuni detenuti presso l’Ospedale di (OMISSIS), erano stati minacciati e aggrediti fisicamente dagli imputati, che pretendevano di conoscere i nomi dei detenuti tradotti; l’aggressione posta in essere dal C., in particolare, aveva cagionato lesioni agli agenti; anche agenti della Polizia di Stato, intervenuti nell’immediatezza in ausilio di quelli della Polizia Penitenziaria, erano stati destinatari di minacce e di aggressione fisica ad opera degli imputati, che avevano intralciato e reso difficoltosa l’attività di servizio.

2- Hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati.

Il C. ha lamentato la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in ordine al formulato giudizio di responsabilità e alla ritenuta aggravante di cui all’art. 339 c.p., comma 1, assumendo di avere reagito al fatto che un agente della Polizia Penitenziaria, nel chiudere una porta, lo aveva colpito al braccio fratturato e di avere opposto una resistenza meramente passiva al successivo intervento della Polizia di Stato.

Il G. ha dedotto il vizio di motivazione sotto il profilo che la condotta addebitatagli doveva essere ritenuta "espressione di volgarità ingiuriosa e di un atteggiamento parolaio e genericamente minaccioso" e andava giuridicamente inquadrata nel paradigma dell’art. 594 c.p. e art. 612 c.p., comma 1, con conseguente proscioglimento per difetto di querela.

3- I ricorsi sono inammissibili, perchè inidonei ad attivare il sollecitato sindacato di legittimità.

La sentenza impugnata, facendo buon governo della legge penale, riposa su un apparato argomentativo che, in rigorosa aderenza alle risultanze probatorie, da conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che giustificano le conclusioni alle quali perviene:

l’atteggiamento minaccioso e violento assunto contemporaneamente dai due imputati verso gli agenti della Polizia Penitenziaria, per indurli a rivelare le generalità dei detenuti tradotti presso il nosocomio, e l’attiva resistenza opposta agli agenti della Polizia di Stato, intervenuti appositamente in soccorso degli operatori penitenziari, integrano i reati per come rispettivamente addebitati.

Il ricorso proposto nell’interesse del C. si muove nella prospettiva di accreditare una diversa ricostruzione dei fatti, sulla base – peraltro – di argomenti che non trovano alcun concreto riscontro nella realtà processuale e, anzi, sono smentiti dal materiale probatorio acquisito. La sollecitata operazione, quindi, non può trovare spazio in questa sede. Correttamente è stata ravvisata, in relazione ai reati di violenza e resistenza a p.u., l’aggravante delle "più persone riunite" di cui all’art. 339 c.p., comma 1, considerata l’azione congiunta dei due imputati percepita dagli agenti al momento della consumazione dei reati di minaccia e resistenza; è sufficiente, inoltre, a configurare l’aggravante la presenza di due persone. Manifestamente infondata è la tesi sostenuta dal C., secondo cui tale aggravante non sarebbe, nella specie, configurabile perchè i pubblici ufficiali ai quali gli imputati rivolsero minacce ed opposero resistenza erano più numerosi e, quindi, in grado di neutralizzare la forza intimidatrice dei due imputati: l’art. 339 c.p., comma 1 non richiede, per la configurazione dell’aggravante in esame, una simile comparazione numerica.

La doglianza articolata dal G. è generica ed assertiva; non analizza gli argomenti sviluppati nella sentenza impugnata, per evidenziarne passaggi carenti, contraddittori o manifestamente illogici; è, pertanto, inidonea ad attivare la sollecitata verifica di legittimità. 4- Alla declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che stimasi equa, di Euro 1.000,00 ciascuno.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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