Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-07-2010, n. 15784 OPERE PUBBLICHE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 9 aprile 1997 l’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di (OMISSIS) (poi divenuto Agenzia Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica, e che verrà in seguito indicato come ATER) citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la Setaf s.p.a e la Prof. Pietro Vecchiato s.p.a. (in prosieguo indicata solo come Vecchiato), nonchè l’Assicurazioni Generali s.p.a. (in prosieguo Generali). L’attore, premesso di aver appaltato alla Setaf lavori di manutenzione e risanamento di un complesso immobiliare in (OMISSIS), e premesso altresì che all’originaria appaltatrice era poi subentrata la Vecchiato, chiese il risarcimento dei danni per la cattiva esecuzione di tali lavori.

I convenuti si difesero e la Vecchiato chiese di essere garantita dalle Generali, con cui aveva stipulato una polizza di assicurazione.

Il tribunale accolse sia la domanda proposta dall’attore nei confronti della Vecchiato, che condannò al pagamento di L. 2.221.800.000 (oltre agli accessori), sia la domanda di manleva di quest’ultima nei confronti della Generali.

Investita dei gravami formulati dalle parti contrapposte, la Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica il 13 dicembre 2004, riformò la pronuncia di primo grado limitatamente alla domanda di manleva nei confronti dell’assicuratore, che rigettò, e confermò invece la condanna della Vecchiato al risarcimento dei danni in favore dell’ATER. A quest’ultimo riguardo detta corte ritenne che fondatamente il tribunale avesse condiviso le valutazioni del consulente d’ufficio in ordine all’esistenza dei vizi denunciati dalla committente, senza necessità di disporre ulteriori indagini tecniche, essendo tali vizi ascrivibili alla cattiva esecuzione dei lavori appaltati e non a pregressi difetti degli immobili, cui proprio con quei lavori si era inteso porre rimedio. Escluse, poi, che gli inconvenienti verificatisi potessero dipendere da difetti di progettazione imputabili alla committente, avendo quest’ultima operato le proprie scelte conformemente alle indicazioni di una società di consulenza, collegata all’appaltatrice, ed avendo la stessa appaltatrice redatto il progetto esecutivo senza formulare riserve di sorta, nemmeno in occasione della successiva denuncia di sinistro inoltrata all’assicuratore; escluse, infine, anche la rilevanza di un preteso concorso di colpa del direttore dei lavori al fine di liberare l’appaltatrice dalle proprie responsabilità.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Vecchiato, prospettando quattro motivi di censura, al primo dei quali – l’unico riferito alla domanda di manleva formulata nei confronti della Generali – ha però poi espressamente rinunciato.

Si è difesa con controricorso la ATER, mentre la Generali, dopo avere a propria volta depositato un controricorso, ha dichiarato di accettare la rinuncia al ricorso per la parte che la riguarda.

La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. L’intervenuta rinuncia al ricorso proposto nei confronti della Generali, così come espresso nel primo motivo, consente di dichiarare estinto il relativo procedimento.

Essendovi stata espressa accettazione della rinuncia non occorre, quanto al rapporto tra la Vecchiato e la Generali, provvedere sulle spese processuali.

2. Restano da esaminare il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso, che si riferiscono al rapporto tra la stessa Vecchiato e la ATER. La ricorrente denuncia, anzitutto, vizi di motivazione dell’impugnata sentenza, cui imputa di avere erroneamente fatto leva sulle conclusioni rassegnate dal consulente tecnico d’ufficio nominato nel corso del giudizio di primo grado senza tener conto delle obiezioni che a tali conclusioni aveva mosso la difesa della Vecchiato, la quale aveva chiesto il rinnovo della consulenza.

In secondo luogo, la medesima ricorrente si duole della violazione degli artt. 1321, 1372 e 1655 c.c. Nell’affermare l’irrilevanza di eventuali vizi di progettazione dell’opera imputabili alla committente, infatti, la corte d’appello ha posto in evidenza che quel progetto era frutto di una consulenza resa da una società "consociata" all’appaltatrice. Ma questo – obietta la ricorrente – non basta certo ad attribuire alla Vecchiato le conseguenze dell’operato di una società diversa, nè è stato spiegato quale sarebbe stata l’effettiva incidenza della suindicata consulenza sui vizi dell’opera.

Infine, la Vecchiato lamenta anche la violazione della L. n. 2284 del 1856, artt. 346 e 364 come attuati dal R.D. n. 350 del 1895 e dal D.P.R. n. 1063 del 1962, per avere la corte territoriale omesso di considerare che la disciplina dell’appalto pubblico è connotata da un elevato grado di vigilanza e controllo dell’amministrazione committente nella fase esecutiva e che, perciò, la colpa per omissione di vigilanza o per erronee disposizioni imputabile al direttore dei lavori designato dalla committente medesima è direttamente a quest’ultima riferibile, valendo ad escludere la concorrente responsabilità dell’appaltatore.

3. Nessuna di tali doglianze appare fondata.

3.1. Quanto alla prima di esse, occorre rilevare come la corte d’appello abbia esaurientemente spiegato le ragioni per le quali i difetti strutturali del complesso immobiliare cui l’appalto si riferisce – e sui quali insistono i rilievi critici riportati nel ricorso – non possono essere addotti a giustificazione del cattivo esito delle opere appaltate, che erano appunto volte a porre rimedio a quei precedenti difetti.

La sentenza impugnata, d’altronde, non manca di ricordare che alle osservazioni critiche formulate dalla difesa dell’odierna ricorrente era già stata data esauriente risposta dallo stesso consulente tecnico d’ufficio e che, proprio per questo, il tribunale aveva ritenuto superfluo rinnovare la consulenza. La mera riproposizione di tali critiche nel ricorso per cassazione, senza la specificazione dei passaggi della relazione del consulente tecnico relativi ai punti criticati, non basta quindi a sorreggere la denuncia di difetto di motivazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non essendo consentito a questa corte l’esame diretto delle risultanze del giudizio di merito e non potendosi perciò vagliare la pertinenza e la decisività dei rilievi formulati dalla ricorrente.

Nè può tacersi che la stessa impugnata sentenza ha tratto argomento anche dal fatto che il progetto esecutivo in base al quale i lavori in questione furono espletati era stato redatto senza riserve di sorta dall’appaltatrice -, i e che quest’ultima, nel denunciare poi il danno all’impresa di assicurazione, non aveva imputato l’accaduto a difetti di progettazione, bensì al tipo di collante adoperato.

Argomenti, questi, che la ricorrente non censura in modo specifico.

3.2. Non colgono nel segno, perchè privi di decisività, neanche i rilievi concernenti il ruolo svolto da una terza società, consociata dell’appaltatrice, nel fornire consulenza alla redazione del progetto da parte dell’amministrazione committente.

Chiarito, infatti, che non è all’anzidetto progetto che possono essere ascritte le cause del cattivo esito delle opere appaltate, è evidente che poco importa argomentare sui rapporti esistenti tra l’appaltatrice e la società che prestò la propria consulenza nella pregressa fase progettuale.

D’altronde, giova ripetere che la corte d’appello ha sottolineato – senza che ciò venga censurato dalla ricorrente – come l’appaltatrice non sollevò rilievi di sorta in ordine alle soluzioni prospettate nel progetto predisposto dall’amministrazione committente, ed anzi redasse essa stessa il conseguente progetto esecutivo. Il che conferma l’irrilevanza della doglianza contenuta nel terzo motivo di ricorso, in quanto vertente su un profilo secondario e non decisivo della motivazione dell’impugnata sentenza.

3.3. La doglianza concernente il mancato riconoscimento della corresponsabilità dell’amministrazione appaltante, per il tramite del direttore dei lavori, nella cattiva riuscita delle opere appaltate si scontra anzitutto con il principio, già altre volte affermato da questa corte, secondo cui l’appaltatore è tenuto a realizzare l’opera a regola d’arte, anche nel caso in cui il committente abbia predisposto il progetto e fornito indicazioni sulla relativa realizzazione, a meno che non sia ridotto a nudus minister, per essere direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico (cfr., ex multis, Cass. n. 12995 del 2006) ; nè ciò è escluso dal fatto che, in caso di appalto di opere pubbliche, il margine di autonomia di cui l’appaltatore gode è minore (cfr. tra le altre, Cass. n. 11356 del 2002).

E’ vero che, nel caso in esame, non si tratta di responsabilità nei confronti di terzi, bensì di responsabilità contrattuale dell’appaltatore verso la stessa amministrazione appaltante, ed è vero anche che al direttore dei lavori da quest’ultima nominato va riconosciuta la qualifica di organo tecnico straordinario e perciò la veste di agente dell’amministrazione stessa; ma questo non implica certo il trasferimento sulla committente delle responsabilità inerenti alla diligente esecuzione dell’opera.

Si potrebbe, al più, discutere di concorso di colpa del direttore dei lavori, e quindi dell’amministrazione committente, per farne discendere una riduzione del risarcimento, a norma dell’art. 1227 c.c., comma 1. Ciò implicherebbe, tuttavia, che fosse stata fornita dall’appaltatrice danneggiante la prova dell’asserito concorso di colpa imputabile al direttore dei lavori, cui nel ricorso si addebita di avere imprudentemente disposto la mancata applicazione di previsti ancoraggi meccanici (c.d. "ammorsature") e di aver manifestato la propria approvazione circa il modo di esecuzione delle opere in occasione del collaudo delle stesse.

Senonchè, mentre questo secondo elemento appare evidentemente privo di rilievo, in quanto successivo al compimento dell’opera poi manifestatasi difettosa, il primo resta del tutto ipotetico non risultando in alcun modo neppure dal ricorso che le risultanze di causa (ed in particolare la disposta consulenza tecnica) abbiano in tutto o in parte consentito di ricondurre l’eziologia dei vizi dell’opera alla mancata applicazione dei suaccennati ancoraggi meccanici.

Non potendosi, per il resto, ricollegare un ipotetico concorso di colpa ad un difetto di vigilanza solo genericamente enunciato, ne deriva l’inaccoglibilità anche di tale censura.

4. Al rigetto del ricorso fa seguito la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute dall’ATER , che vengono liquidate in Euro 12000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara estinto il giudizio nei confronti della Assicurazioni Generali s.p.a., rigetta il ricorso proposto nei confronti della Agenzia Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica della Provincia di Roma e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di detta Agenzia, liquidate in Euro 12.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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