Cass. civ. Sez. V, Sent., 10-06-2011, n. 12799 Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 89/2/05 della Commissione Regionale delle Marche dep. il 26/09/2005 che aveva confermato, respingendo l’appello dell’Ufficio, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Ancona che aveva accolto il ricorso di A.M. quale legale rappresentante della s.a.s.

Ristorante Tabano di Falcetelli Angelica e dei soci B. M. e P.D. avverso l’avviso di accertamento Ilor e Irpef per l’anno 1996 e 1997.

Analogo ricorso l’Agenzia ha proposto avverso la sentenza n. 91/2/05 della medesima Commissione Regionale dep. lo stesso giorno che aveva confermato, respingendo l’appello dell’Ufficio, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Ancona che aveva accolto il ricorso di B.M. e P.D. soci della s.a.s. Ristorante Tabano di Falcetelli Angelica avverso l’avviso di accertamento e Irpef per l’anno 1996 e 1997.

Si duole la ricorrente,con tre motivi, di violazione di legge e di vizio motivazionale.

La società e i soci hanno resistito con controricorsi.

La causa veniva rimessa alla decisione in pubblica udienza.
Motivi della decisione

Devono essere riuniti i due ricorsi per la esistenza di un litisconsorzio necessario tra soci e società di persone nelle controversie relative ai redditi della società e ai redditi personali dei soci.

Le SS.UU. (sent. n. 14815 del 4/06/2008) hanno ritenuto, in generale, che, in materia tributaria, l’unità dell’ accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1996, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica da uno dei soci o dalla società, riguarda inscindibilmente sia la società sia tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali – sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria dei o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un litisconsorzio necessario originario.

Conseguentemente – affermano – il ricorso proposto anche da uno solo dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) e il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche d’ufficio.

Questa Corte ritiene però, nel caso in esame, di dare seguito e conferma all’indirizzo seguito da Cass. n. 2122/10 che ha osservato che i superiori principi devono essere necessariamente coordinati con quelli affermati da Cass. SS.UU. n. 26373 del 2008 secondo il quale il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare ed impedire comportamenti che siano d’ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in una inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da effettive garanzie della difesa ( art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità ( art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti.

La Corte, pertanto, nella fattispecie colà esaminata, caratterizzata dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto sia dell’atto impositivo notificato alle altre parti che delle difese processuali svolte dalle stesse, nonchè della identità oggettiva – quanto a causa petendi – dei ricorsi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento e quindi della identità delle difese, ha osservato che la declaratoria di nullità di tutti i processi per violazione del litisconsorzio necessario originario non poteva essere pronunciata perchè avrebbe portato unicamente alla celebrazione(allo stato puramente formale) di un simultaneus processus, ma nella sostanza avrebbe comportato un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l’osservanza di formalità realmente superflue, perchè non giustificate dalla necessità di salvaguardare nessuno dei princìpi, dei diritti e degli effetti che sottostanno ad entrambe le pronunzie delle SS.UU. sopra richiamate.

Analogo indirizzo è stato seguito da Cass. n. 9760/2010, n. 3830/2010, n. 2907/2019 e n. 3420/2009.

Orbene nel caso in esame ricorrono le medesime condizioni (le parti sono state rappresentate dal medesimo difensore, le sentenze sono state emesse dal medesimo collegio e nella medesima udienza, i motivi del ricorso, sia dei soci sia della società, si fondano sulla stessa questione sostanziale) che renderebbero, anche nella fattispecie in esame, di rilievo solamente formale e irrispettosa dei principi come sopra coordinati, la declaratoria di nullità dello intero processo.

Occorre ora passare ad esaminare i motivi dei ricorsi.

I motivi fondati sulla omessa e insufficiente motivazione devono essere trattati congiuntamente con quello con cui si denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), artt. 2727 e 2729 c.c., in quanto il corretto iter motivazionale è connesso alla questione relativa ai poteri dell’Ufficio conferiti dalla superiore normativa.

Assume in particolare che l’Ufficio aveva proceduto ad accertamento analitico induttivo e che pertanto il punto decisivo era la sussistenza di presunzioni con i requisiti della gravità, precisione e concordanza, su cui v’era vizio motivazionale.

Questa Corte ha sul punto rilevato che le incongruenze rilevate "abilitano l’Ufficio a procedere ad una valutazione di tutti gli elementi certi e concordanti, su cui poi si fonda la presunzione, che fa risalire dal fatto noto… al fatto ignoto (volume di affari e reddito imponibile). Va puntualizzato che i coefficienti presuntivi di reddito rappresentano un valore minimale nella determinazione del volume di affari, che si pone alla base dell’accertamento del reddito in una ottica statistica, non astratta, bensì riferita al singolo settore economico. Si verte, ovviamente, nell’ambito di una presunzione legale relativa, come tale superabile con la prova contraria, diretta a dimostrare fatti e circostanze specifiche che concretamente rivelano il conseguimento di un inferiore ammontare di ricavi". (Cass. n. 3223/07).

Questa Corte (Cass. n. 17408/2010) in ipotesi simile a quella in esame ha osservato che "nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità. Pertanto, in tema di accertamento presuntivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), è legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati, costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, (quindi, il numero di questi un fatto noto capace, anche di per sè solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati (pur dovendosi, del pari, ragionevolmente, sottrarre dal totale i tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci e dei dipendenti, l’uso da parte dei camerieri e simili)".

Cfr., tra le altre, Cass. sentt. nn. 51 del 1999 in tema di materia prima per produrre prodotti di ristorazione, 6465 e 9884 del 2002, 15808/06 in tema di consumo di tovaglioli, e, in altro settore, consumo guanti monouso in odontoiatria).

Si è pertanto rilevato che "l’elemento de quo (acqua minerale) può anch’esso costituire valido elemento per la ricostruzione presuntiva del volume di affari della società intimata, esercente la medesima attività, in quanto il consumo dell’acqua minerale deve ritenersi un ingrediente fondamentale, se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni effettuate sia nel settore del ristorante che della pizzeria, più degli altri elementi indicati dalla parte ricorrente (gas, elettricità, tovaglie e tovaglioli o dal numero di coperti disponibili, dal personale dipendente e dai prezzi praticati)".

Non può non osservarsi poi che la facoltà per l’Amministrazione Finanziaria di procedere ad accertamento induttivo, non solo quando la dichiarazione del contribuente non sia congrua con gli studi di settore, ma quando "gli accertamenti…, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività".

La Corte osserva inoltre che "occorre, inoltre, rilevare che la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento proprio nell’art. 53 Cost., non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta (confronto che può essere anche vincente per gli strumenti presuntivi allorchè i dati forniti dal contribuente risultino inattendibili)".

E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che l’Amministrazione può procedere ad accertamento induttivo (Cass. n. 6311/2008, n. 11459/2001, n. 7045/1999) o a rettifica (Cass. n. 13486/2008) utilizzando documenti reperiti presso terzi e da costoro elaborati, purchè fornisca la prova anche mediante presunzioni, della veridicità di tale documentazione e, conseguentemente, della inattendibilità della documentazione elaborata dal contribuente.

Ciò premesso e ritornando al caso in esame, la CTR (sent. n. 89 del 2005) dopo avere esposto i fatti e le deduzioni delle parti, limita la motivazione alle seguenti osservazioni: "le argomentazioni della parte ricorrente non sono state avversate e confutate dall’Ufficio.

Nulla si è detto sul metodo approssimativo per la costruzione dei ricavi. Nulla si è osservato sulla mancata effettuazione del sopralluogo auspicato dalla circolare Ministeriale. Si conclude pertanto che i ricavi come ricostruiti e accertati dall’Ufficio non sono stati determinati in modo certo e inequivocabile".

Anche la sentenza n. 91 del 2005 la CTR si limita a dire che l’Ufficio "ha dato luogo ad un accertamento dei ricavi approssimativo basato solo sulla quantità di carne e farina del tutto inadeguato a determinare l’entità dei pasti del 96 e non si è tenuto conto che l’attività del ristorante è iniziata nel maggio del 96 dopo che la gestione precedente del 95, di altra società, era terminata in perdita".

Fa poi richiamo alla sentenza della CTR che aveva annullato l’accertamento nei confronti della società.

Questa Corte (Cass. n. 24985 del 24/11/2006) ha chiarito che il vizio di omessa motivazione si può manifestare nella mancanza assoluta della motivazione stessa (con conseguente nullità della pronuncia per difetto di un requisito di forma indispensabile) ovvero nel suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la "ratio decidendi" – c.d. motivazione apparente.

Orbene nel caso in ispecie, dalla trascrizione testuale delle motivazioni delle sentenze impugnate, emerge che la stessa è del tutto insufficiente, limitandosi la CTR ad affermazioni vaghe ed apodittiche,del tutto pretermettendo l’iter logico argomentativo imposto dalle superiori sentenze di questa Corte che imponeva la individuazione e la valutazione degli elementi dedotti dall’Ufficio (rapporto tra acquisto di materie prime e prodotti finiti) al fine di individuare lo scarto significativo tra il dichiarato e i dati desumibili da massime di esperienza o dati parametrici o di studi di settore, facendo riferimento ad una apodittica necessità di "certezza e inequivocabilità".

Priva di ogni delibazione è la questione accennata nella parte descrittiva della sentenza 89/02/05 tra il contrasto (o l’omessa valutazione) tra i fattori di produzione valutati (carne e farina) e altri fattori di produzione (vino, bevande e tovaglioli) che avrebbe potuto incidere sia sulla valutazione dei quadro presuntivo iniziale sia sulla valutazione del quantum dell’accertamento.

L’accoglimento dei ricorsi impone la cassazione con rinvio ad altra Sezione della CTR delle Marche perchè riesamini i gravami e motivi adeguatamente e provveda sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce il ricorso n. 31538/06 a quello n. 31534/06. Decidendo sulle cause riunite, accoglie i ricorsi, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla CTR delle Marche che provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

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