Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-07-2010, n. 15780 SEPARAZIONE DEI CONIUGI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con citazione del 15 luglio 1998 – 24 febbraio 1999, d.R. S.M.C. ha chiesto al Tribunale di Roma di dichiarare la nullità di due accordi, l’uno intervenuto col coniuge S. R. in pendenza del giudizio di separazione personale con addebito al predetto da essa introdotto con atto (OMISSIS), e l’altro, in data 23 settembre 1995, col predetto coniuge e il suocero S.C..

Col primo accordo, denominato "condizioni della separazione", trasfuso nel verbale di separazione consensuale, il coniuge si era impegnato a trasferire la nuda proprietà della casa coniugale sita in (OMISSIS) in favore della loro figlia I.M. con costituzione di usufrutto a suo favore. Con l’altro, denominato "scrittura privata", cui aveva partecipato il suocero, il coniuge aveva assunto analogo impegno con riguardo ad altro immobile ubicato in (OMISSIS), formalmente a lui intestato, ma in realtà di proprietà di suo padre. Questi peraltro si era impegnato a versare in favore della nipotina un contributo mensile di L. 1.500.000.

In cambio di tali attribuzioni, ella aveva rinunciato all’assegno di mantenimento ed ai diritti spettanti sugli immobili acquistati in regime di comunione legale. Sennonchè, nessuno dei due impegni era stato onorato. La casa coniugale peraltro era risultata assegnata dalla cooperativa Santa Rita ad S.O., sorella del marito.

Deducendo che la falsa rappresentazione dei benefici promessi dai convenuti concretava errore essenziale dolosamente indotto sulla titolarità degli immobili, che aveva inficiato il suo consenso, ha chiesto l’annullamento delle clausole del verbale di separazione personale (OMISSIS), e della clausola n. 4 della scrittura privata (OMISSIS), e di conseguenza riaffermata la comunione legale dei beni acquistati in costanza di matrimonio, lo scioglimento di essa e della comunione de residuo, il riconoscimento dell’assegno di mantenimento in L. 3.000.000 mensili, e la condanna di S.R. al pagamento di L. 800.000.000 ed al risarcimento dei danni subiti in L. 30.000.000. In subordine ha chiesto sentenza costitutiva, di trasferimento dell’immobile di via (OMISSIS) in favore della figlia I.M., oltre al risarcimento dei danni.

I convenuti, ritualmente costituiti hanno chiesto il rigetto delle domande. S.C., in riconvenzionale, ha chiesto dichiararsi la nullità ovvero l’inefficacia dell’accordo di liberalità (OMISSIS) in quanto determinato dall’unico motivo, smentito nei fatti, di poter frequentare la nipotina, per ingratitudine ed inadempimento dell’attrice.

Il Tribunale, accertato a mezzo c.t.u. che non vi era discordanza tra l’immobile oggetto dell’impegno di trasferimento e quello assegnato a S.R., ha respinto la domanda principale. Ha accolto invece la riconvenzionale dichiarando la nullità per difetto di forma della donazione, avendo in tali termini qualificato l’accordo intervenuto tra S.C. e la nuora. La Corte d’appello di Roma, innanzi alla quale d.R.S.M.C. ha proposto gravame, con sentenza n. 2722, depositata il 15 giugno 2005, ha confermato la precedente statuizione.

Avverso questa decisione d.R.S.M.C. ha proposto il presente ricorso per Cassazione affidandolo a cinque mezzi.

Entrambi gli intimati hanno resistito con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 156, 158 e 160 c.c. e vizio di motivazione. Pone la questione se sia ammessa la rinuncia al diritto al contributo di mantenimento in sede di separazione personale in contrasto con gli inderogabili principi di solidarietà tra i coniugi, quanto meno con diritto minimo agli alimenti. Assume che poichè la sua rinuncia all’assegno di mantenimento è stata incondizionata ed ha investito anche l’obbligazione alimentare, non trova applicazione il principio che l’ammette nell’ipotesi in cui detto contributo sia stata sostituito con attribuzione patrimoniale definitiva". La statuizione impugnata è errata laddove ha affermato la validità della rinuncia, in quanto avente ad oggetto diritto derogabile e sol perchè espressa nell’ambito di una più ampia regolamentazione dei rapporti patrimoniali, rilevando tra l’altro che la rinuncia non le aveva precluso l’assegno di divorzio, ottenuto in Euro 1.000,00 mensili;

che inoltre si pone in contrasto con la disposizione contenuta nell’art. 160 c.c. che osta all’ammissibilità di deroghe convenzionali al diritto al mantenimento, ed al corrispondente dovere di contribuzione previsto dall’art. 143 c.c..

Formula conclusivo quesito di diritto, ancorchè non doveroso data l’inapplicabilità, avuto riguardo alla data di pubblicazione della sentenza impugnata anteriore al 2 marzo 2006, del disposto dell’art. 366 bis c.p.c.. I resistenti deducono infondatezza della censura che estrapola la condizione n. 3 dal più ampio contesto delle condizioni della separazione. Precisando in fatto che la d.R. dichiarò di essere autosufficiente, riconoscendo che non vi erano le condizioni per la concessione dell’assegno ai sensi art. 156 c.c., comma 1, assumono che non è prospettabile la rinuncia a tale diritto, a meno della prova che suddetta dichiarazione non fosse veritiera, non acquisita agli atti. Deducono altresì che la questione riguardante gli alimenti è nuova e perciò inammissibile, e che è destituita di fondamento in punto di fatto, risultando provato in causa che la ricorrente proviene da famiglia agiata, e che non è inoltre prospettabile essendo venuto meno l’interesse a coltivarla, poichè alla ricorrente è stato attribuito assegno di divorzio.

2.- Col secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 177 e 179 c.c. e correlato vizio di motivazione. Si pone la questione se sia possibile sottrarre alla comunione legale i beni acquistati in costanza di matrimonio per effetto di rinuncia. Sull’assunto che tale regime ha natura pubblicistica ed è inderogabile, si deduce che la decisione impugnata sarebbe errata in duplice profilo, perchè collega la rinuncia all’acquisto dei beni effettuato in costanza di matrimonio da S.R. – terreno di (OMISSIS) ed appartamento in (OMISSIS) – alla promessa d’attribuzione della nuda proprietà alla figlia I. e dell’usufrutto alla stessa ricorrente, con ciò ipotizzando un rapporto sinallagmatico, e comunque perchè aveva un oggetto inesistente, considerato che l’immobile era già stato impegnato nei sensi indicati.

I resistenti replicano assumendo che la dichiarazione in parola ha valore di dichiarazione di scienza idonea a dimostrare che gli immobili non ricadevano nel regime della comunione legale perchè acquistati con denaro del solo coniuge acquirente.

3.- Il terzo motivo con riferimento agli artt. 150, 156, 158 e 1262 c.c. denuncia errore di diritto consistito nell’aver attribuito alla convenzione, intervenuta con la partecipazione anche di S. C., autonomia rispetto all’accordo di separazione. Tale conclusione sarebbe frutto di errata interpretazione dell’atto da parte della Corte d’appello che avrebbe ignorato, incorrendo peraltro in vizio di contraddittoria motivazione, il collegamento negoziale fra le due scritture, di cui la seconda integra la prima e ne condivide la natura transattiva, essendo analogamente finalizzata a chiudere la causa di separazione intentata dalla ricorrente con addebito al marito, alle condizioni complessivamente stabilite.

I resistenti replicano deducendo inammissibilità della censura, sia perchè generica, sia perchè tesa a controllo nel merito dell’interpretazione dell’atto fornita dalla Corte territoriale.

Comunque ne rilevano l’infondatezza, perchè le due scritture non manifestano unico intento volitivo.

4.- Col quarto motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.c. e dell’art. 177 c.c. e segg. e motivazione contraddittoria, laddove si afferma in sentenza che sarebbe valido il riconoscimento dell’estraneità dell’immobile di (OMISSIS) alla comunione legale, contenuto nel verbale di separazione, e nel contempo si afferma che tale immobile è di proprietà esclusiva di S.R. quale bene oggetto di donazione indiretta proveniente dal padre, quindi desumendo la nullità della promessa di quest’ultimo di trasferimento dei diritti reali su tale bene, senza tener conto del fatto che anche il marito aveva sottoscritto l’impegno.

I controricorrenti deducono l’infondatezza della censura, e rilevano che la stessa ricorrente riconobbe negli atti in parola che l’acquisto dell’immobile era avvenuto con somme rinvenienti da disponibilità personali del marito, procurategli dal padre. La costruzione esegetica offerta dalla Corte territoriale è pertanto immune da errore.

5.- Il quinto ed ultimo motivo denuncia analogo vizio, lamentando che la Corte territoriale non avrebbe statuito in ordine al mancato trasferimento della casa coniugale, nè sulla sua richiesta di risarcimento del danno dalle denunciate nullità.

I resistenti rilevano l’inammissibilità della censura siccome non presenta attualità.

I primi quattro motivi sono logicamente connessi e devono pertanto essere esaminati congiuntamente. Muovono infatti da unico presupposto, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato il contenuto delle due riferite scritture, che consacrarono l’accordo di separazione intervenuto col coniuge S.R., chiudendo la questione dell’addebito a suo carico chiesto con la domanda di separazione giudiziale, definendolo in termini ben precisi, secondo cui la rinuncia di essa ricorrente d.R. all’assegno di mantenimento era bilanciata dall’acquisto dei diritti reali, così come concordati, sui due immobili considerati, riconosciuti entrambi di proprietà esclusiva del solo marito. Ed ancora, che la Corte di merito avrebbe esaminato disgiuntamente i due atti senza coglierne il senso effettivo, siccome erano sottesi ad attuare un unico complessivo assetto negoziale, configurabile nei termini prospettati.

Le censure, fondate sui rilievi sopra riferiti, meritano accoglimento nei sensi che seguono.

La sentenza impugnata, letta in relazione alle censure dedotte:

1.- Ha escluso la dedotta nullità della clausola n. 3 del verbale di separazione consensuale, nella parte in cui non prevede l’assegno di mantenimento perchè la d.R. si era dichiarata economicamente autosufficiente, in ragione del fatto che tale rinuncia si è inserita in un’articolata disciplina dei rapporti patrimoniali e come tale è valida. Il principio inderogabile di solidarietà tra i coniugi, ancorchè separati, vieta solo la rinuncia preventiva alla richiesta, in presenza di giusti motivi, di eventuali modifiche del regime concordato, come pure di accordi preventivi sui rapporti patrimoniali in vista del futuro divorzio, che rappresentano ipotesi diversa da quella di specie. La d.R., peraltro, ha promosso giudizio di revisione ai sensi dell’art. 710 c.p.c. finalizzato ad ottenere il contributo di mantenimento, e la sua richiesta è stata rigettata. Indi alla stessa è stato attribuito l’assegno di divorzio.

2.- Ha ritenuto valido l’accordo consacrato nella clausola n. 7 del verbale (OMISSIS), con cui la predetta ha riconosciuto che la piena proprietà, sia della casa coniugale che degli altri due immobili acquistati in costanza di matrimonio, spettasse al marito, e tale riconoscimento, inserito nel verbale di separazione, ha assunto valore di atto pubblico, e dopo l’omologazione rappresenta titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c..

3.- Di ben diverso tenore letterale, l’altra scrittura, alla cui stesura partecipò anche l’Avv. S.C., non integra nè si correla all’altro accordo, in quanto mira a regolare il rapporto tra nonno e nipote. Il fine, dichiarato, è nel senso di riconoscere che l’immobile di (OMISSIS) è di proprietà dell’Avv. S.C., perchè acquistato con denari suoi e non già del figlio R. che ne risulta intestatario, sicchè è estraneo al regime di comunione legale dovendosi ritenere pervenuto a quest’ultimo per effetto di atto di liberalità del padre. L’impegno assunto da questo "a far trasferire alla nipote" l’immobile in discussione, qualificabile come promessa del fatto del terzo, vale a dire di S.R., esclusivo proprietario del cespite, ha ad oggetto una donazione, da padre a figlio, ed è perciò nulla, confliggendo con la stessa natura dell’atto promesso.

Questo articolato tessuto argomentativo si presta alle critiche mosse dalla ricorrente con riferimento al vizio di motivazione:

1.- La decisione è insufficientemente e contraddittoriamente motivata nella parte in cui interpreta il tenore delle scritture esaminate asserendone l’autonomia negoziale, e quindi escludendone il collegamento negoziale, pur riscontrandone l’identica e condivisa finalità di definire il quadro delle intese regolatrici delle condizioni economiche della separazione, in un contesto temporale sostanzialmente coevo ed immediatamente prossimo alla celebrazione della prima udienza di separazione. Premesso il comune presupposto rappresentato dalla separazione, la Corte territoriale ha apprezzato le convenzioni distintamente e non già unitariamente e coerentemente, senza indagare adeguatamente sullo scopo che pur ha individuato nel riferito intento di regolare il contenuto patrimoniale della concordata separazione e le modalità di adempimento dell’obbligo, a carico dello S.R., di provvedere al mantenimento della moglie e della figlia. La concorrenza delle convenzioni nell’anzidetta condivisa cornice di fatto non si coordina logicamente con la loro asserita autonomia, affidata unicamente alla riscontrata diversità della causa giuridica individuata in ciascuna di esse. Tale elemento non è ex se sufficiente a sorreggerne l’atomistica interpretazione in un contesto in cui, come afferma lo stesso organo giudicante, tanto l’accordo consacrato nel verbale di separazione che quello, concluso sempre fra i coniugi ma con la partecipazione anche dell’Avv. S. C., si riferiscono congiuntamente all’esecuzione dell’obbligo legale di mantenimento "causalizzato" dalla funzione solutoria che ne rappresenta appunto la causa soggettiva e concreta, della cui validità, almeno in linea di principio, non è dato dubitare – Cass. n. 4306/97 -. E’ invero in potere dei coniugi, nell’esercizio della propria autonomia, e fatti salvi i diritti inderogabili della prole, determinare la misura dell’obbligo di mantenimento nonchè il modo di adempierlo, e parimenti è indiscusso che sono valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno dei coniugi la proprietà esclusiva di beni immobili, ovvero ne operino il trasferimento ad uno di essi per assicurarne il mantenimento – Cass. citata n. 4306/1997, n. b7470/1992 n. 11342/2004, n. 9863/2007, n. 23801/2006, v. n. 7437/2003 -. Allo stesso modo sono valide altre, atipiche forme di accordo che, pur con la partecipazione di un terzo, abbiano la medesima causa solutoria – Cass. n. 23801/2006 cit..

La dichiarazione di autosufficienza economica resa dalla d.R. nella scrittura trasfusa nel verbale di omologazione, interpretata dai giudici di merito in senso ormai inoppugnabile quale rinuncia all’assegno di mantenimento, così come l’ammissione circa la proprietà esclusiva in capo al coniuge dei due immobili acquistati in costanza di matrimonio in regime di comunione legale, secondo la ricostruzione dei fatti esposta in sentenza sono collegate all’impegno assunto in ambedue gli atti dall’altro coniuge di concorrere al mantenimento, tanto della moglie separata quanto della figlia minore, con costituzione a loro favore dei diritti reali indicati. Il che non vale ad affermare la sussistenza di un rapporto di sinallagmaticità tra rinunce ed attribuzioni, non configurabile in ragione della natura legale dell’obbligo di mantenimento della figlia minore che, ineludibile quanto al suo adempimento, può essere regolamentato solo con riguardo alle sue modalità – Cass. nn. 5741/2004, 11342/2004 -. Potrebbe invece valere a ritenere indiscusso lo spirito di sistemazione, solutoria ma altresì compensativa dei rapporti in occasione della separazione, che permea le previste attribuzioni patrimoniali, escludendo che possa configurarsi una controprestazione ovvero un corrispettivo delle attribuzioni ovvero delle rinunce, e parimenti i tratti tipici della donazione. Suddetto intento, in quanto più ampio e complessivo, include infatti i possibili rapporti aventi significato patrimoniale, assorbendoli, sicchè pertinentemente rientrano nel suo contenuto le pattuizioni attinenti al godimento ed alla proprietà dei beni, ritenuto dai coniugi necessario in relazione all’accordo di separazione. Ciò potrebbe rendere plausibile l’affermazione dell’esistenza dell’accordo solutorio di cui si è detto e che la ricorrente ha invocato, scandito in due atti, distinti ma connessi perchè funzionali alla regolamentazione, seppur in termini differenti, dell’assetto dei rapporti patrimoniali, unitario perchè unitaria ne è la causa concreta, correlata alla regolamentazione degli anzidetti profili della separazione.

La Corte di merito, apprezzando i fatti in diversa frazionata prospettivai non si è posta affatto il problema se le ragioni delle abdicazioni ai diritti patrimoniali fossero effettivamente giustificate dalla dichiarata autosufficienza dei mezzi di sostentamento, ovvero fossero state indotte dall’impegno anzidetto, assunto dallo S.R. e dal padre di questo. Non ha per l’effetto verificato se le parti avessero inteso realizzare l’accordo solutorio, come tale concretante il contratto atipico di cui si è detto. E’ evidente perciò che è insufficiente ed evasivo il percorso motivazionale ed argomentativo da essa coltivato che, pur dando conto della specificità del contesto problematico in cui sono maturate le attribuzioni controverse per effetto della separazione personale, e quindi pur ritenendo collegata ad esse la rinuncia all’assegno di mantenimento, non offre qualificazione compiuta agli accordi, ma ne verifica la sola causa astratta, enucleandoli dallo stesso ambito nel quale li ha collocati.

2.- Ancora contraddittoria è la motivazione nella parte in cui, esaminando la scrittura alla quale partecipò l’Avv. S. C., assume che l’immobile di (OMISSIS) è escluso dalla comunione legale in quanto deve ritenersi acquistato dal figlio R. per effetto di atto di liberalità del padre, così smentendo la precedente affermata validità della rinuncia, formalizzata dalla d.R. nella clausola n. 7 della scrittura trasfusa nel verbale di separazione, alla comunione legale sul bene in parola nonchè sul fondo sito all'(OMISSIS). La facoltà della ricorrente di abdicare agli effetti del regime legale di comunione non può configurarsi in relazione all’immobile conteso se, come si afferma nel prosieguo della motivazione, esso è di proprietà esclusiva del coniuge per le ragioni ampiamente illustrate nei successivi passaggi. Delle due l’una: o l’appartamento è di proprietà esclusiva dello S. figlio, e quindi la promessa del terzo, il padre Avv. S.C., farlo donare alla minore, è nulla per le ragioni illustrate nel prosieguo della motivazione; o ricade nella comunione legale, e dunque la rinuncia espressa nella convenzione intervenuta fra i soli coniugi deve essere valutata nel contesto del complessivo quadro degli accordi fra loro intervenuti. Non è insomma logicamente possibile ritenere da un lato che la casa di (OMISSIS) è entrata in comunione legale e che quindi la rinuncia della moglie è valida, e dall’altro che detto immobile fu oggetto di donazione indiretta dal padre del coniuge.

Tale assurdo logico è stato reso possibile solo dalla valutazione separata dei due atti. Al contrario l’esistenza nei due atti di clausole relative a quell’immobile apparentemente incompatibili imponeva una loro lettura coordinata e prima ancora evidenziava il collegamento negoziale tra gli stessi.

E’ peraltro insufficiente la motivazione laddove non prende in considerazione nè il fatto che entrambi gli atti furono sottoscritti da S.R., nè le ragioni logiche e giuridiche del complicato procedimento, adottato per attribuire la nuda proprietà dell’immobile alla minore e l’usufrutto alla d.R. che già ne era comproprietaria, risultato più semplicemente raggiungibile con la cessione dei diritti del padre sulla metà in favore della figlia.

Le censure espresse nei motivi esaminati devono pertanto essere accolte con riferimento al solo rilevato vizio di motivazione. Nel resto, introducono inammissibile questione sull’invalidità della scrittura (OMISSIS) per violazione dell’obbligo alimentare che, come eccepito dai resistenti, è stata prospettata per la prima volta in questa sede.

Il quinto ed ultimo motivo in parte è inammissibile, in quanto introduce questione priva di rilievo.

La Corte territoriale ha respinto le doglianze della ricorrente rilevando che la casa coniugale, nella quale ella continuava a risiedere con la figlia minore, corrisponde all’interno n. (OMISSIS), la cui assegnazione allo S. da parte della cooperativa che lo ha realizzato è stata regolarizzata. Non configurandosi in punto di fatto il denunciato inadempimento del coniuge all’impegno assunto, non è ipotizzabile alcun danno procurato nè alla minore nè alla stessa ricorrente.

In un primo profilo, il motivo lamenta il rigetto della domanda di risarcimento dei danni collegati all’errata individuazione dell’appartamento, dunque non coglie il senso della sentenza impugnata, che, come riferito, ha escluso lo spesso postulato della domanda di danni.

In parte qua il motivo è perciò inammissibile.

L’altro profilo, con cui si lamenta rigetto della domanda di danni derivante dalla nullità della scrittura privata (OMISSIS), è assorbito.

Tutto ciò premesso, con accoglimento dei primi quattro motivi del ricorso, si deve cassare la sentenza impugnata e disporre la prosecuzione della causa in sede di rinvio, innanzi ad altra Sezione della medesima Corte d’appello, che provvederà anche in ordine alla pronuncia sulle spese di questa fase processuale.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie i primi quattro motivi del ricorso, e dichiara assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolta, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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