T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 22-03-2011, n. 2547 Associazioni mafiose Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 18 febbraio 2010, depositato il successivo 19 febbraio, la società A., operante nel settore dell’allevamento e sfruttamento del bestiame, ha impugnato il provvedimento n. 248 del 4 febbraio 2010 del Commissariato di Governo per l’emergenza brucellosi negli allevamenti bufalini in provincia di Caserta e zone limitrofe ( ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2007, n. 3634), con il quale viene data comunicazione della mancata liquidazione degli indennizzi riconosciuti e riconoscendi alla società per l’abbattimento di capi bufalini brucellotici. Ciò sulla scorta dell’informativa della Prefettura di Caserta trasmessa in data 12 gennaio 2010, che ha comunicato la sussistenza nei confronti della ricorrente delle cause interdittive di cui all’art. 4 del d. lgs.8 agosto 1994, n. 490.

L’impugnazione è stata estesa alla citata informativa prefettizia, e alle note e relazioni ivi richiamate, nonché al Piano operativo predisposto per fronteggiare il rischio sanitario di cui trattasi, approvato con decreto commissariale n. 4 del 2008, per la parte in cui subordina l’erogazione dell’indennizzo alla insussistenza delle predette cause interdittive.

Avverso i gravati provvedimenti parte ricorrente ha dedotto tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo (violazione falsa applicazione dell’art. 4 del d. lgs. 490/94, dell’art. 1, lett. d) del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252; eccesso di potere) la ricorrente ha esposto che la normativa di cui all’art. 4 del d. lgs. 490/94 circoscrive tassativamente l’effetto interdittivo delle informazioni antimafia alle fattispecie costituite dalla stipula di un contratto o subcontratto in cui sia parte una pubblica amministrazione, o dalla concessione di contributi, finanziamenti, mutui agevolati o erogazioni dello stesso tipo. La norma non troverebbe, quindi, applicazione nella fattispecie, nella quale trattasi dell’erogazione di un mero indennizzo, volto non ad incentivare l’attività imprenditoriale, bensì a compensare il sacrificio di un diritto sopportato secundum jus, nell’interesse della collettività, per una prioritaria esigenza sanitaria, di talchè sarebbe illegittima sia la previsione del Piano operativo commissariale nella parte in cui subordina l’indennizzo alla insussistenza delle cause interdittive in argomento, sia il relativo provvedimento attuativo. In ogni caso, parte ricorrente ritiene che, quand’anche l’erogazione in argomento potesse essere qualificata come non ristorativa, il d.p.r. 252/98, art. 1, lett. d), esclude dall’ambito di applicazione della normativa antimafia l’esercizio di attività agricola ed artigiana.

Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1 dell’ o.p.c.m. 3634/07) parte ricorrente denunzia che tra i poteri conferiti al Commissario straordinario con l’ o.p.c.m. 3634/07 non vi è quello di disporre la necessità di acquisire la normativa antimafia prima di procedere all’erogazione materiale dell’indennizzo.

Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del d. lgs. 490/94, del d.p.r. 252/98, delle circolari del Ministero dell’interno n. 559/94, dell’8 gennaio 1996 e n. 559 del 18 dicembre 1998; carenza assoluta di presupposti, illogicità, travisamento, contraddittorietà, difetto di motivazione) si sostiene che nella specie, nella quale la ditta ricorrente svolge da oltre dieci anni attività di allevamento senza alcuna contestazione o rilievo, ed anzi vedendosi riconosciuti numerosi finanziamenti, e nella quale la titolare è immune da qualunque pregiudizio di carattere penale, non può non dubitarsi dell’attendibilità degli accertamenti effettuati e della loro rilevanza ai fini dell’emissione del provvedimento interdittivo.

Alla domanda demolitoria parte ricorrente ha fatto seguire domanda di risarcimento del danno.

Preso atto della documentazione versata dall’amministrazione in fascicolo di causa, a mezzo di motivi aggiunti notificati l’8 aprile 2010 e depositati il successivo 10 aprile parte ricorrente ha precisato le censure avverso l’informativa prefettizia già impugnata (n. 1660/12b.16/ANT/AREA 1^ del 12 gennaio 2010) e gli atti in essa richiamati, ed ha altresì impugnato il precedente provvedimento interdittivo adottato dalla stessa Prefettura n. 706/12.b.16/ANT/AREA1^, del 3 febbraio 2006.

In particolare, con i mezzi aggiunti la ricorrente ha dedotto gli stessi motivi di gravame di cui al ricorso, ed ha soggiunto che gli elementi posti a sostegno dell’ultima informativa, ovvero desumibili dalle relazioni dei rappresentanti delle forze dell’ordine preposte alle verifiche, riuniti nel Gruppo Ispettivo Antimafia, nulla evidenziano rispetto a valutazioni già operate nella precedente informativa del 2006 (in relazione alla quale pende impugnativa), le quali non evidenziano i presupposti per l’adozione di provvedimenti interdettivi.

Si sono costituite in resistenza le intimate amministrazioni che, evocata pregiudizialmente la carenza di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei ministri, hanno sostenuto la infondatezza del gravame, domandandone il rigetto.

Parte ricorrente ha affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.

La causa è stata, indi, trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 1° dicembre 2010.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Per quanto qui di interesse, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 agosto 2007, adottato ai sensi dell’art. 5, comma 1, della l. 24 febbraio 1992, n. 225, "Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile", per fronteggiare il rischio sanitario connesso alla elevata diffusione della brucellosi negli allevamenti bufalini nel territorio della provincia di Caserta e zone limitrofe, è stato ivi dichiarato lo stato di emergenza.

Con ordinanza 21 dicembre 2007, n. 3634, il Presidente del Consiglio dei ministri, nominato il Commissario delegato, ha deliberato gli interventi urgenti di protezione civile volti al superamento dello stato di criticità in parola.

In particolare, l’art. 1, comma 4, lett. c) dell’ordinanza n. 3634 del 2007 ha conferito al Commissario straordinario, nei casi previsti dall’ordinanza del Ministro della salute del 14 novembre 2006, il potere di emanare ordinanze per l’abbattimento dei capi bufalini.

Al contempo, la successiva lett. f) ha previsto la corresponsione degli indennizzi di cui all’art. 3 della stessa ordinanza 3634/07.

L’art. 3 in argomento, al comma 1, recita:

"Il Commissario delegato, in coerenza con gli orientamenti comunitari in materia di aiuti di stato in agricoltura, a favore dei titolari delle aziende zootecniche bufaline presenti sul territorio della provincia di Caserta, così come indicato dal Piano straordinario, regolarmente iscritte nella Banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica, i cui capi siano stati abbattuti in conseguenza di riscontrata positività ai test per la brucellosi ed in conformità alle disposizioni vigenti e nei limiti delle risorse di cui all’art. 7, è autorizzato ad erogare:

a) entro novanta giorni dall’acquisizione del diritto del beneficiario, gli indennizzi previsti dalla legge 9 giugno 1964, n. 615 e successive modifiche ed integrazioni, riconosciuti agli aventi diritto per gli abbattimenti disposti ed effettuati in attuazione dell’ordinanza del Ministro della salute del 14 novembre 2006, ed al netto dei proventi derivanti dalla vendita della carne. A tale fine il Commissario delegato, in deroga alle vigenti disposizioni, si avvale delle pertinenti risorse finanziarie del Fondo sanitario nazionale trasferite dalla regione alle ASL competenti per territorio;

b) un ulteriore indennizzo considerando il valore di mercato alla data di emanazione della presente ordinanza, desunto dal Bollettino ISMEA, al netto di indennizzi percepiti ai sensi della legge 9 giugno 1964, n. 615, e successive modifiche ed integrazioni, nonchè dei proventi derivanti dalla vendita della carne;

c) gli indennizzi per la perdita di reddito dovuta ad obblighi di quarantena e difficoltà di ripopolamento. Gli importi sono quantificati in misura delle unità bovine adulte (UBA) abbattute ed è corrisposto per un periodo massimo di dodici mesi. L’erogazione dell’indennizzo è subordinata alla effettiva ricostituzione del patrimonio zootecnico aziendale".

L’art. 7 dell’ordinanza in parola quantifica l’onere derivante dall’attuazione dell’art. 3, comma 1, lettere a) e b), in Euro 37.000.000,00. Quanto all’onere derivante dall’attuazione della lett. c), l’art. 7 ha previsto un primo stanziamento pari ad Euro 4.600.000,00.

3. Parte ricorrente presentava istanze di indennizzo ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), b) e c) dell’ordinanza 3634/07.

Effettuata la conseguente istruttoria, otteneva parte degli indennizzi e restava in attesa della liquidazione del restante.

In applicazione delle pertinenti disposizioni del Piano operativo approvato con decreto del Commissario straordinario n. 4 del 6 maggio 2008, la struttura commissariale richiedeva alla Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Caserta, le informazioni antimafia nei confronti della titolare della società, ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 490/94.

L’amministrazione prefettizia interpellata, con nota n. 1660/12b.16/ANT/AREA 1^ del 12 gennaio 2010, comunicava la sussistenza delle cause interdittive di cui all’art. 4 del d. lgs. 490/94 pur in assenza delle cause di cui all’art. 10 della l. 575/65 n. 575, richiamando, tra altro, anche un proprio precedente provvedimento interdittivo (706/12.b.16/ANT/AREA1^, del 3 febbraio 2006).

L’Ufficio commissariale adottava indi il provvedimento n. 248 del 4 febbraio 2010, con il quale dava comunicazione della mancata liquidazione degli indennizzi riconosciuti e riconoscendi alla società per l’abbattimento di capi bufalini brucellotici, sulla scorta dell’informativa prefettizia del gennaio 2010.

Oggetto dell’odierna impugnativa sono la predetta comunicazione, il Piano operativo commissariale, nella parte in cui subordina l’erogazione di cui trattasi alla insussistenza delle cause interdittive, le due informative prefettizie rese dalla Prefettura di Caserta e le note e le relazioni ivi richiamate.

4. Prima di affrontare la disamina delle questioni introdotte dalla parte ricorrente, è d’uopo esaminare l’eccezione pregiudiziale di carenza di legittimazione passiva spiegata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, che invoca all’uopo l’art. 1 dell’ o.p.c.m. 19 gennaio 2010, n. 3841, che, cessato lo stato di emergenza in parola alla data del 31 gennaio 2009, ha affidato al Commissario delegato, in regime ordinario, esclusivamente il completamento delle iniziative programmate e in corso, da effettuarsi entro e non oltre il 31 dicembre 2010.

4.1. L’eccezione non è fondata.

Il Commissario delegato di cui l’ apparato statale si avvale per lo svolgimento dei compiti di cui alla legge n. 225 del 1992 in materia di protezione civile ha infatti veste di organo straordinario e temporaneo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ovvero dell’autorità amministrativa delegante.

Ne consegue che l’Ufficio commissariale fa capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Nulla muta considerando che l’organo straordinario delegato è dotato, rispetto al delegante, di indubbia autonomia amministrativa: essa, invero, unitamente alla possibilità di essere destinatario, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, di poteri derogatori ad ogni disposizione vigente (art. 5, comma 2, l. 225/92), è finalizzata strettamente ed esclusivamente al raggiungimento degli obiettivi conferitigli per il superamento dello stato emergenziale alle condizioni e nei termini, anche temporali, da prevedersi ai sensi dell’art. 5, commi 1 e 2, della l. 225/92.

Gli atti assunti nell’esercizio delle funzioni delegate sono, pertanto, riferibili alla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri, organo che riveste nei confronti del commissario delegato carattere di supervisione e di indirizzo (in termini, C. Stato, sez. IV, 28 aprile 2004, n. 2576).

Ancora nulla muta considerando che, esauriti gli effetti derivanti dalla dichiarazione dello stato di emergenza e degli atti ad essa conseguenti, la competenza ordinaria sulla materia investita dall’intervento straordinario emergenziale è destinata a riespandersi: tale conseguenza non è, invero, che un effetto naturale della straordinarietà e della temporaneità delle attribuzioni commesse all’ufficio straordinario.

5. Può passarsi, quindi, al merito della controversia.

6. Avverso il provvedimento assunto in sede di autotutela dall’Ufficio commissariale, con il quale, alla luce del tenore dell’informativa antimafia acquisita, è stato comunicata l’impossibilità di procedere all’ulteriore erogazione degli indennizzi, sono stati dedotti due motivi di ricorso.

In particolare, parte ricorrente (denunziando violazione falsa applicazione dell’art. 4 del d. lgs. 490/94, dell’art. 1, lett. d) del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252 ed eccesso di potere) ha esposto che la normativa di cui all’art. 4 del d. lgs. 490/94 circoscrive tassativamente l’effetto interdittivo delle informazioni antimafia alle fattispecie costituite dalla stipula di un contratto o subcontratto in cui sia parte una pubblica amministrazione, o dalla concessione di contributi, finanziamenti, mutui agevolati o erogazioni dello stesso tipo. Secondo parte ricorrente, la norma non troverebbe, quindi, applicazione nella fattispecie, nella quale trattasi dell’erogazione di un mero indennizzo, volto non ad incentivare l’attività imprenditoriale, bensì a compensare il sacrificio di un diritto sopportato dal privato secundum jus, nell’interesse della collettività, per una prioritaria esigenza sanitaria, di talchè sarebbero illegittimi sia il provvedimento adottato in sede di autotutela, sia la previsione del Piano operativo commissariale nella parte in cui subordina l’indennizzo alla insussistenza delle cause interdittive in argomento. In ogni caso, parte ricorrente ritiene che, quand’anche l’erogazione in parola potesse essere qualificata come non ristorativa, il d.p.r. 252/98, art. 1, lett. d), esclude dall’ambito di applicazione della normativa antimafia l’esercizio di attività agricola ed artigiana.

Parte ricorrente, inoltre (deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 dell’ordinanza 3634/07) lamenta che tra i poteri conferiti al Commissario straordinario con l’ o.p.c.m. 3634/07 non vi è quello di disporre l’acquisizione della normativa antimafia prima di procedere all’erogazione materiale dell’indennizzo.

6.1. Tra i piani in cui si articolano le descritte doglianze, viene in prioritaria evidenza, attinendo al profilo assorbente della competenza, quello con cui parte ricorrente denunzia che tra i poteri conferiti al Commissario straordinario con l’ o.p.c.m. 3634/07 non vi è quello di disporre la necessità di acquisire la normativa antimafia prima di procedere all’erogazione dell’indennizzo.

La censura deve essere respinta.

Infatti, qualora dovesse concludersi, seguendo l’impostazione dell’Ufficio commissariale – e la questione forma oggetto della doglianza principale, di cui in seguito – che per l’erogazione dell’indennizzo in parola vi è obbligo dell’acquisizione dell’informativa antimafia, non può versarsi in alcun dubbio che essa si porrebbe come attività necessitata e direttamente strumentale all’attuazione degli interventi affidati al Commissario delegato dall’art. 1 dell’ordinanza n. 3634 del 2007, tra cui l’emanazione delle ordinanze per l’abbattimento dei capi bufalini e la corresponsione dei conseguenti indennizzi di cui all’art. 3 della stessa ordinanza.

E ciò anche in disparte la apposita previsione del Commissario straordinario contenuta nel Piano operativo commissariale.

Invero quest’ultima, sempre nell’ipotesi, si configurerebbe non, come sembra evocare parte ricorrente, quale disposizione a carattere discrezionale recante le condizioni per procedere alla erogazione dell’indennizzo, bensì quale mera specificazione di un obbligo inderogabile che l’Ufficio è chiamato comunque ad adempiere, in virtù della superiore disposizione normativa di ordine pubblico. Così come una informativa cd. tipica, ricognitiva di cause di per se interdittive ai sensi del comma 4 dell’art. 4 del d.lgs. 490/94 (sussistenza di cause di divieto o di sospensione, tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte della società o dell’impresa), non lascerebbe all’amministrazione destinataria della stessa alcun margine di apprezzamento.

6.2. Anche le argomentazioni ricorsuali attinenti al punto saliente della questione controversa, ad avviso del Collegio, non meritano condivisione.

L’art. 4 d.lgs. 490/1994 stabilisce al comma 4 che il Prefetto trasmette alle amministrazioni richiedenti le informazioni concernenti le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate ed al comma 6 che, quando, a seguito delle verifiche disposte a norma del comma 4, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni dal Prefetto non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni.

Tale previsione è ribadita nell’art. 10, comma 2 del d.p.r. 252/1998 – regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia – che, al successivo comma 7, sancisce come le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa sono desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli artt. 629, 644, 648 bis e 648 ter del codice penale, o dall’art. 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale; b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di cui agli artt. 2 bis, 2 ter, 3 bis e 3 quater della l. 575/1965; c) dagli accertamenti disposti dal Prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno, ovvero richiesti ai Prefetti competenti per quelli da effettuarsi in altra provincia.

Di talché, quando la causa interdittiva consiste nella presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa desunti da provvedimenti o proposte di provvedimenti ai sensi dell’art. 10, comma 7, lett. a) e b), ovvero da accertamenti prefettizi ex art. 10, comma 7, lett. c) del d.p.r. 252/1998, l’attività amministrativa è vincolata nell’adozione dell’atto, ma è discrezionale nella valutazione dei presupposti.

La discrezionalità nella valutazione dei presupposti a base dell’atto è di latitudine maggiore nell’ipotesi di accertamenti prefettizi in quanto le "infiltrazioni" possono essere dedotte anche da parametri non predeterminati normativamente; in tal caso, infatti, rientra nel potere discrezionale del Prefetto ogni valutazione dei fatti e delle circostanze emergenti dall’attività investigativa demandata agli organi di polizia (Tar Lazio, Roma, I, 9 luglio 2008, n. 6487).

L’intento del legislatore nella materia de qua è quello di accostare alle misure di prevenzione antimafia un altro significativo strumento di contrasto della criminalità organizzata, consistente nell’esclusione dell’imprenditore, che sia sospettato di legami o condizionamento da infiltrazioni mafiose, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l’utilizzo di risorse della collettività (C. Stato,VI, 24 ottobre 2000, n. 5710).

In particolare, il collegamento con la disciplina delle misure di prevenzione – che, come detto, partecipano della medesima ratio di quelle in esame, intesa a combattere le associazioni mafiose con l’efficace aggressione dei loro interessi economici – testimonia del fatto che le preclusioni dettate dalle richiamate norme di legge costituiscono una difesa molto avanzata dell’autorità pubblica contro il fenomeno mafioso in quanto gli istituti de quibus si basano su un accertamento di grado inferiore e ben diverso da quello richiesto per l’accertamento della responsabilità penale e l’applicazione delle conseguenti sanzioni.

In altri termini, le informative prefettizie in materia di lotta antimafia possono essere fondate su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e mirano alla prevenzione di infiltrazioni mafiose e criminali nel tessuto economico imprenditoriale, anche a prescindere dal concreto accertamento in sede penale di reati e dalle rilevanze probatorie tipiche del diritto penale (C. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5780; 29 febbraio 2008, n. 756).

L’art. 4 d. lgs. 490/1994, pertanto, deve intendersi come costituente una misura di tipo preventivo volta a contrastare l’azione del crimine organizzato in quanto dà rilievo ai fini ostativi della contrattazione degli appalti di opere pubbliche e delle pubbliche erogazioni anche ad elementi che costituiscono solo indizi, che comunque non devono costituire semplici sospetti o congetture privi di riscontri fattuali, del rischio di coinvolgimento associativo con la criminalità organizzata delle imprese interessate alle erogazioni pubbliche.

Il campo di applicazione della disposizioni di cui alle norme appena descritte va individuato, per quanto concerne le concessioni e le erogazioni, ai sensi dell’allegato 3 del d. lgs. 490/1994, il quale vi ricomprende, alla lett. f), "i contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali".

Il richiamo alle "altre erogazioni dello stesso tipo" fa emergere che le contribuzioni elencate espressamente nella disposizione in parola hanno un valore meramente esemplificativo, e non esauriscono il novero delle utilità contemplate dalla legge.

Diversamente opinando, invero, la clausola di salvaguardia non avrebbe alcuna ragion d’essere.

In ogni caso, poi, siffatta conclusione, anche al di là della portata lessicale della norma, è confortata dalla detta ratio dell’intervento normativo, che risponde alla peculiare esigenza della pubblica amministrazione di mantenere un atteggiamento intransigente contro i rischi di infiltrazione mafiosa per contrastare un eventuale utilizzo distorto delle risorse pubbliche (C. Stato, VI, 7 marzo 2007, n. 1056).

In altre parole, la disciplina delle informazioni antimafia partecipa della medesima ratio delle misure di prevenzione, ed è intesa a combattere le associazioni mafiose con l’efficace aggressione dei loro interessi economici (C. Stato, VI, 14 gennaio 2002, n. 149; V, 24 ottobre 2000, n. 5710); esse, pertanto, costituiscono degli strumenti, con funzione spiccatamente cautelare e preventivo, di contrasto della criminalità organizzata e di conseguenza, con particolare riguardo alle informazioni relative alla sussistenza di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e degli indirizzi di una società o di un’impresa, devono ritenersi di applicazione rigorosa ma generale, ogni qual volta l’impresa sospettata abbia un contatto con le pubbliche amministrazioni necessario per lo svolgimento della propria attività, salvo che la legge non disponga diversamente (Tar Campania, Napoli, I, 26 febbraio 2009, n. 1113).

Applicando alla fattispecie tali chiari principi, ed in considerazione dell’avanzato fronte di difesa dalla criminalità organizzata rappresentato dallo strumento interdittivo previsto dalla norma in esame, nonché ulteriormente considerata la primaria rilevanza del bene pubblico che lo stesso intende tutelare, il Collegio non ravvisa valide ragioni per aderire all’impostazione ricorsuale, e statuire la non applicabilità alla fattispecie erogativi in parola dell’art. 4 del d. lgs. 490/94.

E ciò neanche avuto riguardo alla circostanza che la contribuzione di cui trattasi trova condizione nell’abbattimento di animali infetti causato da emergenza sanitaria, come sottolineato dalla parte ricorrente, quando invoca la natura puramente risarcitoria o, comunque, indennitaria dell’intervento.

Invero, l’art. 1 dell’ordinanza 3634/07 dispone che la contribuzione, erogata secondo il regime proprio degli aiuti di stato in agricoltura, può essere erogata soltanto "nei limiti delle risorse di cui all’art. 7".

Elemento che fa escludere di per sé che, ai fini per cui è causa, il regime della erogazione di cui trattasi possa essere assimilato sic et simpliciter a quello avente causa puramente risarcitoria.

La conclusione trova, poi, piena conferma nel chiaro indirizzo giurisprudenziale formatosi sul modello legale originario dell’intervento, richiamato anche dall’ordinanza 3634/07, all’art. 3, lettere a) e b), costituito dalla l. 9 giugno 1964, n. 615, "Bonifica sanitaria degli allevamenti dalla tubercolosi e dalla brucellosi", modificata dalla l. 23 gennaio 1968, n. 33 (Cass. SS. UU., 1° aprile 1993, n. 3881).

Né può ritenersi, come fa la ricorrente nella memoria difensiva depositata il 9 novembre 2010, che, poiché il ristoro assicurato dall’ordinanza 3634/07 è maggiore di quello recato dalla l. 615/64, in quanto alle somme da corrispondersi ai sensi della lett. a) dell’art. 3, che sono sostanzialmente quelle previste dalla l. 615/64, si aggiungono gli ulteriori indennizzi di cui alle lett. b) e c), che tengono conto anche di altri elementi, e segnatamente del valore di mercato dei beni (lett. b)), il nuovo intervento, diversamente dal precedente, per il quale il supremo giudice civile ha escluso la natura risarcitoria, presenterebbe proprio tale carattere.

Invero, nessun dato testuale delle invocate lett. b) e c) dell’art. 3 dell’ordinanza 3634/07 autorizza a ritenere che il beneficio totale da corrispondersi alle imprese interessate dall’intervento debba rappresentare la completa reintegrazione patrimoniale delle stesse, considerato che la lett. b) si limita a prevedere la corresponsione di un non meglio quantificato ulteriore indennizzo, "considerando" il valore di mercato, e la lett. c), che prevede gli indennizzi per la perdita di reddito dovuta ad obblighi di quarantena e difficoltà di ripopolamento, dispone che gli importi sono quantificati "in misura" delle unità bovine abbattute, che l’indennizzo è corrisposto "per un periodo massimo di dodici mesi"e che l’erogazione dello stesso è "subordinata alla effettiva ricostituzione del patrimonio zootecnico aziendale", condizione che già da sola fa escludere il carattere puramente risarcitorio dell’intervento.

Di talchè, tenendo conto degli elementi valorizzati dalla parte ricorrente, può, al più, riconoscersi che l’ordinanza 3634/07, rispetto alla l. 615/64, rappresenta un più elevato modello di intervento pubblico, ove le risorse appostate sono destinate ad essere impiegate in ragione di un più articolato e complesso ventaglio di situazioni.

Con l’effetto che(conformemente a quanto già ritenuto dalla Sezione negli analoghi precedenti nn. 30424 e 30425 del 2010) deve conclusivamente ritenersi che vale anche nella fattispecie in argomento la disciplina normativa del controllo avverso forme di infiltrazioni criminali.

6.3. Anche la censura fondata sull’art. 1, lett. d), del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252, regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia, non può condurre ai fini sperati, essendo imperniata sull’erronea asserzione che l’esclusione concerna in sè l’esercizio di attività agricola, laddove, invece, molto più limitatamente, la norma regolamentare invocata, nel disciplinare al comma 1 le modalità con le quali le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, nonché i concessionari di opere pubbliche, possono acquisire la prescritta documentazione circa la sussistenza di una delle cause di decadenza, di divieto o di sospensione di cui all’articolo 10 della legge 575/65, e dei tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 490/94, dispone, al comma 2, lett. d), che la documentazione di cui al comma 1 non è comunque richiesta, tra altre ipotesi, "per la stipulazione o approvazione di contratti e per la concessione di erogazioni a favore di chi esercita attività agricole o professionali, non organizzate in forma di impresa, nonché a favore di chi esercita attività artigiana in forma di impresa individuale".

Di talchè, per l’applicazione della invocata esenzione all’esercizio di attività agricola, deve trattarsi di esercizio di attività agricola non organizzata in forma di impresa.

E dell’esistenza di una siffatta condizione, per quanto concerne la società ricorrente, il gravame non assolve l’onere di dare alcun conto.

7. Deve, quindi, passarsi all’esame delle censure rivolte avverso la certificazione prefettizia e gli atti presupposti

Esse sono esplicitate nel terzo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del d. lgs. 490/94, del d.p.r. 252/98, delle circolari del Ministero dell’interno n. 559/94, dell’8 gennaio 1996 e n. 559 del 18 dicembre 1998; carenza assoluta di presupposti, illogicità, travisamento, contraddittorietà, difetto di motivazione) con cui si sostiene che nella specie, nella quale la ditta ricorrente svolge da oltre dieci anni attività di coltivazione ed allevamento senza alcuna contestazione o rilievo, non può non dubitarsi dell’attendibilità degli accertamenti effettuati e della loro rilevanza ai fini dell’emissione del provvedimento interdittivo.

Preso successivamente atto della informativa rilasciata dalla Prefettura di Caserta nel gennaio 2010, parte ricorrente ha poi sostenuto con i mezzi aggiunti, e ribadito nelle memorie difensive, che gli elementi posti a sostegno della stessa, non solo non evidenziano l’effettuazione di alcuna ulteriore valutazione rispetto a quella già operata nella precedente informativa prefettizia del 2006, per la quale pende tutt’ora impugnativa, ma che l’unica valutazione reale emerge dalla relazione del Comando Provinciale Carabinieri di Caserta, che sarebbe favorevole alla società.

7.1. Nessuno dei due ambiti argomentativi è conducente.

Va in primo luogo ribadito che la società è stata destinataria di un precedente provvedimento interdittivo nel corso del 2006.

Tale provvedimento è stato dalla medesima società impugnato innanzi al Tar Campania (R.G. 4101/06), e, almeno in sede cautelare, è risultato chiaramente immune dalle censure dedotte (ord. C. Stato, VI, 23 ottobre 2007, n. 5544, che conferma Tar Campania, Napoli, III, ord. n. 3454 del 2006).

Ne consegue, quindi, da un lato, che l’impugnativa dello stesso provvedimento del 2006, qui riproposto con i motivi aggiunti, è inammissibile, in forza del principio del ne bis in idem, e, dall’altro, che non può, pertanto, allo stato dubitarsi che alla data di detto provvedimento sussistessero i presupposti per l’adozione della misura interdittiva.

Con la conseguenza che, per pervenire successivamente ad una opposta valutazione, l’amministrazione competente avrebbe dovuto poter apprezzare la sopravvenienza di fatti o elementi di carattere opposto a quelli sui quali si è fondata la precedente valutazione, cosa che, nella specie, non risulta essersi verificata, come emerge dagli atti presupposti all’informativa, ovvero:

– dal verbale 18 dicembre 2009 del Gruppo ispettivo antimafia costituito presso la Prefettura, che ha dato atto che sono stati effettuati da parte dei componenti accertamenti sul conto della società e che sulla base di tali accertamenti, congiuntamente esaminati, unitamente al tenore della richiamata ordinanza del Consiglio di Stato n. 5544 del 2007 (la precedente informativa antimafia è stata ritenuta "assistita da una ragionevole e coerente valutazione degli elementi indiziari in atti in coerenza con la funzione cautelare di prevenzione anticipata assolta dalla normativa in subiecta materia"), hanno fatto propendere per la conferma dell’emissione di un provvedimento interdittivo;

– dalla comunicazione 16 dicembre 2009 della Direzione Investigativa Antimafia, Centro operativo di Napoli, che ha anch’essa rilevato che sul conto della società in oggetto e delle persone segnalate non esistono nuovi elementi da evidenziare, espressamente confermando le decisioni assunte nella riunione del 2006;

– dalla comunicazione 16 ottobre 2009 della Guardia di Finanza, Nucleo Polizia Tributaria Napoli, Gruppo di investigazione sulla criminalità organizzata, che ha parimenti confermato la valutazione compiuta nella riunione G.I.A. del 2006, non essendo emersi nuovi elementi oltre a quelli comunicati con la pregressa trattazione;

– dalla comunicazione 23 luglio 2009 della Guardia di Finanza, Nucleo di Polizia Tributaria di Caserta, che ha comunicato in data l’insussistenza di risultanze;

– dalla comunicazione 5 agosto 2009 della Questura di Caserta, Divisione Polizia Anticrimine, che ha comunicato di confermare la valutazione concordata nel 2006.

Non può pertanto convenirsi con la ricorrente quando afferma che la nuova misura interdittiva è affetta da carenze istruttorie.

Quanto alla relazione della Legione Carabinieri Campania, Comando Provinciale di Caserta, del 4 novembre 2009, pure citata nel provvedimento interdittivo, che, come detto, la società invoca a proprio favore, essa contiene dettagliati elementi, successivi al 2006, in riferimento al sig. Angelo Campomaggiore, marito dell’amministratore unico della società, cosa che conferma la già rilevata insussistenza di vizi istruttori.

Tali elementi consistono:

– nella intervenuta prescrizione di un procedimento penale a suo carico;

– nella intervenuta trasmissione in data 8 luglio 2007 di altro procedimento penale a suo carico per competenza all’A.G. di S. Maria Capua Vetere, che ha riferito che il soggetto non è iscritto nella vicenda penale pervenuta per competenza;

– nella segnalazione che il controllo a carico del medesimo con personaggio affiliato al clan camorristico dei "Casalesi" risale al 17 marzo 2003;

– nella intervenuta prescrizione di procedimento penale a carico del sig. Pietro Campomaggiore, cugino non convivente di Angelo.

Tali elementi, peraltro, sono stati riferiti quali dati da valutare nel corso di una "prossima riunione del G.I.A", riunione che nel prosieguo si è effettivamente tenuta, e che ha visto anche la partecipazione dell’Autorità relazionante, e che si è conclusa, come risulta dal già citato verbale del 18 dicembre 2009 del Gruppo ispettivo antimafia, con la conferma dell’emissione di un provvedimento interdittivo.

Per tutto quanto sopra, risulta del tutto priva di fondamento sia l’affermazione della ricxorrente che la relazione appena descritta fosse l’unico elemento di valutazione acquisito agli atti, sia la pretesa della medesima che la stessa, al di là del suo tenore propositivo e del suo successivo apprezzamento da parte del G.I.A., nell’ambito di tutti gli elementi di valutazione acquisiti, dovesse essere interpretata in sede procedimentale, o possa essere oggi intesa in sede giudiziale, come elemento di unico rilievo, sicuramente favorevole alla società.

Ostano ad una tale conclusione i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza nella materia, che ha fato presente che:

– le informative devono fondarsi su elementi di fatto che, in quanto aventi carattere sintomatico ed indiziante, denotino in senso oggettivo il pericolo di collegamenti tra la società o l’impresa e la criminalità organizzata, da valutarsi sulla base di un esame complessivo degli elementi raccolti non essendo sufficiente la verifica di uno solo di essi (C. Stato, V, 27 maggio 2008, n. 2512; IV, 15 novembre 2004, n. 7362);

– è richiesto un attendibile "giudizio di possibilità" "secondo la nozione di pericolo" (C. Stato, VI, 25 dicembre 2008, n. 5780), per il quale non occorre che sia provata l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, essendo invece sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, ancorché ragionevole e circostanziato, la mera possibilità di interferenze malavitose rivelata da fatti idonei a configurarne il substrato (C. Stato, V, 23 giugno 2008, n. 3090; VI, 12 novembre 2008, n. 5665), con un accertamento, quindi, di grado inferiore e diverso da quello richiesto per l’individuazione di responsabilità penali (VI, 1 febbraio 2007, n. 413);

– la misura interdittiva deve fondarsi su di un quadro fattuale di elementi che, pur non dovendo assurgere necessariamente a livello di prova, anche indiretta, siano comunque tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l’id quod plerumque accidit, l’esistenza di elementi che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto con la pubblica amministrazione (C. Stato, VI, 29 febbraio 2008 n. 756);

– il sindacato giurisdizionale è esercitabile solo nei casi di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, nel cui ambito è da riscontrare se la valutazione del Prefetto sia sorretta da uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali (C. Stato, IV, 29 luglio 2008, n. 3273);

– la valutazione rimessa all’autorità prefettizia dalla normativa di riferimento, per la specifica natura del giudizio formulato, è sindacabile dal giudice amministrativo solo se emergano manifesti vizi logici e di congruità con riguardo alle informazioni assunte o alle deduzioni che da esse sono state tratte (Tar Campania, Napoli, III, 19 settembre 2007 n. 7875)..

La speciale natura "a tutela avanzata" della normativa vigente, emanata per contrastare il fenomeno della criminalità organizzata, comporta, quindi, che non occorre né la prova dei fatti di reato, né dell’effettiva infiltrazione nell’impresa, né dell’effettivo condizionamento, essendo sufficiente il tentativo di infiltrazione diretto a condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si sia realizzato in concreto, vale a dire che la fattispecie prevista dalla norma deve ritenersi integrata sulla base del solo rischio o della sola possibilità che l’infiltrazione effettivamente si verifichi.

In tale quadro, la valutazione prefettizia, connotata da ampia potestà discrezionale, per la sua stessa natura preventiva, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di elementi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento dell’impresa con organizzazioni mafiose e di un condizionamento dell’impresa da parte di queste.

Per giustificare l’adozione di una misura interdittiva antimafia, pertanto, non solo non è necessario pervenire al medesimo grado di certezza dei presupposti della decisione assunta in sede giurisdizionale, ma nemmeno occorre la misura minore di certezza posta a base di una misura di prevenzione essendo, invece, sufficiente la dimostrazione del pericolo di pregiudizio derivante dalla presenza di fatti sintomatici ed indizianti della sussistenza di un collegamento tra impresa e criminalità organizzata (C. Stato, VI, 1° febbraio 2007 n. 413; IV, 15 novembre 2004 n. 7362).

Ne consegue che le informazioni del Prefetto circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa, ai sensi delle riportate disposizioni di cui agli artt. 4 del d. lgs. 490/1994 e 10 del d.p.r. 252/1998, non devono provare l’intervenuta infiltrazione, essendo questo un quid pluris non richiesto, ma devono sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il possibile tentativo di ingerenza.

In altri termini, l’adozione di un’interdittiva antimafia, se deve pur sempre fondarsi su elementi di fatto che denotino il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata, non presuppone per quei fatti l’accertamento della responsabilità penale, essendo sufficiente che i fatti medesimi presentino carattere sintomatico e indiziante del pericolo in senso oggettivo ovvero della ipotizzabile sussistenza del detto collegamento (C. Stato, VI, 30 dicembre 2005 n. 7615).

In proposito, è stato, infatti, chiarito che tale conclusione è coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia della intimidazione, della influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite (C. Stato, VI, 16 aprile 2003 n. 1979).

E poiché, si ribadisce, la formulazione generica, più sociologica che giuridica, del "tentativo di infiltrazione mafiosa" giuridicamente rilevante allo scopo di interdire la partecipazione dell’impresa ai pubblici appalti ovvero di interdire il conseguimento di contributi ed erogazioni pubbliche, determina che l’autorità preposta all’accertamento, vale a dire il Prefetto, è dotata di un ampio margine di accertamento e di apprezzamento, la valutazione prefettizia è sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di eccesso di potere per manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti.

Vizi che nel caso di specie non è dato rilevare, atteso che le censure relative all’irrilevanza delle informazioni a carico della società, rivelatesi infondate perché basate su una lettura unilaterale e restrittiva degli atti acquisiti al procedimento, devono essere disattese.

8. Per tutto quanto precede, attesa la riscontrata immunità degli atti impugnati dalle specifiche censure dedotte, le domande demolitorie avanzate in ricorso e nei motivi aggiunti devono essere respinte.

Conseguentemente, devono essere respinte anche le correlate pretese risarcitorie.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna la ricorrente società al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in Euro 2.000,00 (duemila/00), a favore, in parti uguali, della Presidenza del Consiglio dei ministri – Commissario di Governo per l’emergenza brucellosi in provincia di Caserta e del Ministero dell’interno – Prefetto della Provincia di Caserta.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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