Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-12-2010) 24-03-2011, n. 11956 Costruzioni abusive e illeciti paesaggistici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

i ricorsi.
Svolgimento del processo

La Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 23.6.1994, in parziale riforma della sentenza 11.3.1992 del Pretore di quella città (appellata anche dal P.M.):

a) affermava la responsabilità penale di C.G., D. A., L.B., T.M., C.A.A., C.D., C.S., Ca.Gi., B. M., c.f., ca.ug., C.M. G. e Co.An. in ordine al reato di cui:

– alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. b), (per avere – C. G. quale presidente della cooperativa edilizia "Novas Domus", il D. quale amministratore unico della società costruttrice s.p.a. "Setar", il L. in qualità di rappresentante della stessa società costruttrice nel cantiere e gli altri quali committenti – mutato la destinazione d’uso dei locali sottotetto di cinque fabbricati della cooperativa anzidetta, adibendoli a mansarde mediante la realizzazione di opere murarie, in difformità totale dalla concessione edilizia – acc. in (OMISSIS));

b) ribadiva l’affermazione della responsabilità penale di C. G. anche in ordine al delitto di cui:

– all’art. 392 c.p. (per avere arbitrariamente disposto la rimozione del contatore dell’acqua di M.G.C., contro la sua volontà – in (OMISSIS));

c) e, riconosciute a tutti circostanze attenuanti generiche, condannava C.G., D.A. e L.B. alla pena di mesi tre di arresto e L. 15 milioni di ammenda ciascuno, nonchè ciascuno degli altri imputati alla pena di mesi uno di arresto e L. 8 milioni di ammenda, concedendo a tutti il beneficio della sospensione condizionale delle pene e – con esclusione del D. – anche quello della non menzione delle condanne;

d) ordinava la demolizione delle opere abusive;

e) confermava, nei confronti di C.G., la condanna anche alla pena di L. 500.000 di multa per il delitto e le statuizioni risarcitorie in favore di M.G.C., costituitosi parte civile.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, i quali con motivi comuni hanno eccepito:

– violazione dell’art. 197 c.p.p., in quanto il giudice di primo grado, nonostante l’opposizione della difesa, aveva ammesso (e poi utilizzato ai fini della decisione) la testimonianza di tale A. N., indagato per reato connesso poichè ritenuto compartecipe dei reati edilizi contestati ai ricorrenti;

– carenza motivazionale, per essere stata affermata la responsabilità indifferenziata di tutti i soci della cooperativa edilizia che erano stati assegnatali delle unità immobiliari sottostanti alle mansarde, senza una precipua individuazione delle singole condotte tenute in violazione del precetto penale;

— la inconfigurabilità della ritenuta "difformità totale" delle opere edilizie realizzate rispetto alla concessione edilizia.

C.G. ha altresì lamentato la invalidità della querela sporta dal M. per il delitto, conseguente alla mancata autenticazione della sottoscrizione, e la carenza assoluta di motivazione in ordine alla configurabilità degli elementi costitutivi del reato medesimo.

D.A. ha eccepito inoltre:

– la nullità del giudizio di appello, non essendogli stato ritualmente notificato il relativo decreto di citazione;

– la violazione dell’art. 521 c.p.p., essendo stato egli condannato a titolo di "concorso" nella contravvenzione edilizia, sebbene tale contestazione non gli fosse mai stata rivolta;

– carenza di motivazione in punto di affermazione della responsabilità, con particolare riferimento all’elemento soggettivo del reato edilizio.

L.B. ha autonomamente lamentato infine – oltre alla violazione dell’art. 521 c.p.p., non essendogli stata mai contestata una "condotta concorrente" con gli altri imputati nella commissione del reato edilizio – la carenza di qualsiasi profilo di colpa, in quanto egli si sarebbe soltanto conformato alle direttive impartite dal direttore dei lavori.

Essendo state presentate domande di "condono edilizio", L. n. 724 del 1994, ex art. 39, il procedimento è stato sospeso – presso questa Corte – dall’8.3.1995.

Il Comune di Monserrato – con nota del 7.5.2010 – ha comunicato che a B.M. ed a c.f. sono state rilasciate concessioni edilizie in sanatoria (rispettivamente in data 16.5.2005 e 14.9.2007); agli altri richiedenti, invece, è stata richiesta documentazione integrativa ed essi devono ancora versare il saldo degli oneri concessori.
Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, nei confronti di B.M. e c.f., perchè i reati ad essi ascritti sono estinti per "condono edilizio" ( L. n. 724 del 1994, ex art. 39).

Per entrambi gli imputati deve essere revocato l’ordine di demolizione, che può essere impartito soltanto in caso di condanna.

2. I gravami degli altri ricorrenti, invece, devono essere rigettati, perchè infondati.

3. La vicenda che ci occupa riguarda la costruzione di cinque palazzi, realizzati dalla s.p.a. "Setar" per conto della cooperativa "Novas Domus", nei quali sono stati realizzati dieci appartamenti mansarda (due per fabbricato) in luogo dei locali sottotetto destinati, secondo il progetto approvato, a fungere da locali tecnici.

Il Pretore aveva ricondotto i fatti alla fattispecie contravvenzionale di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a), sotto il profilo della "difformità parziale" dalla concessione edilizia in concreto rilasciata, rilevando che l’aumento di volumetria era relativamente modesto se rapportato all’intero complesso edilizio.

La Corte territoriale, invece, sull’appello del P.M., ha evidenziato l’autonoma rilevanza degli organismi edilizi abusivamente realizzati ed ha ritenuto corretto l’originario inquadramento della vicenda quale "difformità totale" ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. b).

4. Rileva il Collegio l’assoluta correttezza delle statuizioni della Corte di merito.

4.1 A norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 (e già della L. n. 47 del 1985, art. 7), devono ritenersi eseguite in totale difformità dal permesso di costruire quelle opere "che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile".

La difformità totale si verifica, dunque, allorchè si costruisca "aliud pro alio" e ciò è riscontrabile allorchè i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale.

Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonchè le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma.

Nella previsione legislativa in esame:

a) l’espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo sia all’effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente sull’assetto del territorio attraverso l’aumento del c.d. "carico urbanistico".

Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della destinazione d’uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto;

b) il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone che il corpo difforme sia fisicamente separato dall’organismo edilizio complessivamente autorizzato, ma soltanto che conduca alla creazione di una struttura precisamente individuabile e suscettibile di un uso indipendente, anche se l’accesso a detto corpo sia possibile esclusivamente attraverso lo stabile principale.

La fattispecie in oggetto è caratterizzata dalla trasformazione di locali autorizzati come sottotetti costituenti volumi tecnici in unità immobiliari residenziali, di altezza più elevata rispetto alle previsioni progettuali e di superficie corrispondente al piano sottostante, divise in ambienti separati, munite di aperture finestrate, dotate di impianti elettrico ed idrico: si profila ad evidenza, pertanto, l’intervenuta realizzazione di opere non rientranti tra quelle autorizzate, per le diverse caratteristiche tipologiche e di utilizzazione, che hanno "una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale". 4.2 La responsabilità del D. è stata razionalmente ricollegata alla sua qualità di amministratore unico della società costruttrice (sicchè le opere abusive, ulteriori e dispendiose rispetto a quelle autorizzate, non avrebbero potuto essere disposte al di fuori della sua volontà); quella del L. alle funzioni di rappresentanza dell’impresa costruttrice da lui svolte nel cantiere, nello svolgimento delle quali egli era tenuto ad impedire e contrastare ogni comportamento del direttore dei lavori pregiudizievole per gli interessi della società a cui era collegato da rapporto organico.

Quelle dei singoli altri imputati risultano congruamente individuate in relazione alla loro proprietà dei sottotetti e altresì confermate dalle domande di condono edilizio dagli stessi presentate.

5. Anche le eccezioni procedurali svolte nei rispettivi ricorsi sono infondate.

5.1 Per ciò che attiene alla denunziata violazione dell’art. 197 c.p.p., va rilevato che, nella specie, il capocantiere A. N. (già indagato per lo stesso reato edilizio ma nei cui confronti il procedimento era stato archiviato) ha reso testimonianza dichiarando di avere concordato con i soci, su autorizzazione del L., le modifiche da eseguire ai sottotetti, compilando le schede dei preventivi.

Le Sezioni Unite – con la sentenza 29.3.2010, n. 12067 (ud.

17.12.2009) – hanno affermato il principio secondo il quale la disciplina limitativa della capacità testimoniale di cui all’art. 197 c.p.p., comma 1, lett. a) e b), all’art. 197 bis c.p.p. e all’art. 210 c.p.p. non è applicabile alle persone sottoposte alle indagini nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di archiviazione.

Nella vicenda in esame, comunque, ogni questione riferita all’utilizzabilità delle dichiarazioni dell’ A. deve considerarsi irrilevante, in quanto esse non sono state poste a base dell’affermazione di responsabilità, sostanzialmente ricollegata, invece, al riscontro di una situazione di fatto di immediata evidenza.

5.2 Il D. ha ricevuto notizia dell’udienza fissata per la celebrazione del giudizio di appello, poichè risulta dagli atti che il decreto di citazione è stato notificato, in data 25.1.1994 e nella sua abitazione, a persona qualificatasi come temporaneamente convivente.

5.3 Non sussiste la denunciata violazione dell’art. 521 c.p.p..

Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema il principio della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza non va inteso in senso rigorosamente formale o meccanicistico ma, conformemente al suo scopo ed alla sua funzione, in senso realistico e sostanziale.

La verifica dell’osservanza di detto principio non può esaurirsi, quindi, in un pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza, ma va condotta sulla base della possibilità assicurata all’imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto, sicchè deve escludersene la violazione ogni volta che non sia ravvisabile pregiudizio delle possibilità di compiuta difesa.

Le Sezioni Unite – con la sentenza n. 16 del 22.10.1996, rie. Di Francesco – hanno affermato, in particolare, che "con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione" e "… vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione".

Nella specie, i contenuti essenziali dell’addebito risultano riferiti, nel capo di imputazione, alla esecuzione di opere edilizie non autorizzate con il provvedimento concessorio e la Corte di merito non ha fondato la sua pronunzia sulla valutazione di condotte ulteriori e diverse rispetto a quelle contestate.

Gli imputati, pertanto, hanno avuto piena possibilità di difendersi e di illustrare al giudice il ruolo da ciascuno di essi effettivamente svolto nella vicenda.

La giurisprudenza di questa Corte, del resto, è costantemente orientata nel senso di escludere la violazione del principio di correlazione tra sentenza e accusa contestata sia allorchè, contestata a taluno una condotta concorsuale, ne venga poi affermata la responsabilità per attività individualmente svolta, sia nell’ipotesi reciproca (vedi, ad esempio, tra le decisioni più recenti, Cass., Sez. 5, 16.5.2006, n. 16458; 17.1.2007, n. 7638).

6. Le domande di "condono" proposte dai ricorrenti (ad eccezione di quelle di B. e c.) devono ritenersi divenute successivamente improcedibili ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 4, in quanto l’Amministrazione comunale ha richiesto l’integrazione della documentazione e non risulta che detto adempimento sia stato compiuto.

Non si è provveduto, inoltre, al versamento del saldo degli oneri concessori.

7. In relazione al delitto contestato a C.G. va evidenziato che:

– quanto alla ritualità della querela proposta da M.G. C., risulta che essa venne depositata il 9.11.1990 ed in tale documento, allegato agli atti, la sottoscrizione risulta autenticata dal difensore, laddove il ricorrente non contesta, comunque, l’attribuibilità della stessa alla parte proponente;

– la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è stata adeguatamente configurata dai giudici del merito in una situazione in cui esisteva uno stato di contestazione (il contatore venne rimosso perchè ritenuto difforme da quelli già acquistati dalla cooperativa e non idoneo ad offrire garanzie di precisione) e l’imputato non ha dato dimostrazione del concreto configurarsi dei requisiti richiesti per l’applicazione del principio "vim vi repellere licet" (insussistenza, tra l’azione perturbatrice e quelle contraria dell’agente, di un lasso di tempo sufficiente per adire il giudice ed ottenere un provvedimento idoneo ad evitare il prodursi o il protrarsi di una situazione di danno).

8. I reati non sono prescritti perchè, avendo gli imputati presentato domanda di condono edilizio, occorre computare (vedi Cass., Sez. Unite 16.12.1999, n. 22, Sadini e altra): – la sospensione di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 39 e L. n. 47 del 1985, art. 44 (per la durata complessiva di 223 giorni), che si verificava automaticamente per il solo fatto dell’esistenza di un processo edilizio concernente attività edificatoria compiuta entro il 31 dicembre 1993 ed aveva la funzione di consentire agli interessati di presentare la domanda di condono edilizio; – la sospensione di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 39 e L. n. 47 del 1985, art. 38, obbligatoria ex lege nel caso (corrispondente a quello in esame) di presentazione di domanda di condono afferente all’immobile abusivo per cui è processo e di versamento della prima rata di oblazione autodeterminata.

9. Per i ricorsi rigettati segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615, 616 e 620 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di B.M. e c.f., per essere i reati estinti per condono edilizio.

Rigetta i ricorsi degli altri ricorrenti, che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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