Cass. civ. Sez. III, Sent., 02-07-2010, n. 15711 CIRCOLAZIONE STRADALE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con sentenza del 12 aprile 2005 la Corte di appello di Messina parzialmente riformava la sentenza del 3 novembre 2001 del Tribunale di quella città e riduceva la somma al cui pagamento era stato condannato in primo grado R.P. a titolo di risarcimento di tutti i danni patiti da Ca.Gi. in occasione del sinistro, verificatosi in (OMISSIS).

Avverso siffatta decisione propone ricorso per Cassazione il R., affidandosi a due motivi.

Resistono con controricorso P.G. in proprio e nella qualità di esercente la potestà sui figli minori C. E. e C.G., nonchè Ca.Ga., divenuta maggiorenne, quali eredi di Ca.Gi..

Motivi della decisione

1. – Osserva il Collegio che la questione centrale del ricorso consiste nel valutare la correttezza della decisione impugnata sotto il profilo delle norme del CdS all’epoca vigente, per cui, ad avviso del ricorrente, in una strada sufficientemente illuminata non vi sarebbe stato bisogno nè di limitare mediante ripari dei bordi longitudinali dei cantieri, nè di segnalare mediante dispositivi luminosi la esistenza di un escavatore lasciato per tutta la notte su pubblica strada.

Altra questione riguarda poi la quantificazione del danno che non era stata effettuata dal CTU, ma che la Corte territoriale avrebbe determinato autonomamente.

2. – In merito alla questione centrale va affermato che il R. aveva lasciato sulla sede stradale di notte senza alcuna segnalazione il proprio escavatore e contro di esso andò ad urtare il Ca..

I militari intervenuti elevarono contro di lui la contravvenzione di cui all’art. 8 vecchio C.d.S., ovvero gli contestarono che l’escavatore non presentava accesi i fanali rossi, tali da rendere visibile il mezzo a sufficiente distanza.

Il R. pagò la contravvenzione.

Da questi elementi documentali e dalla prova per testi il giudice dell’appello ha dedotto, in modo logicamente e giuridicamente appagante, che, pur essendo la strada sufficientemente illuminata, il mezzo lasciato incustodito avrebbe dovuto essere segnalato in modo idoneo, onde evitare pericoli alla circolazione.

Peraltro, una cosa è la illuminazione della strada pubblica, altra è l’obbligo, che incombe al soggetto che utilizza un mezzo meccanico in un cantiere stradale, di provvedere a segnalazioni fisse e luminose che consentano di individuarne la presenza dalla distanza di cinquanta metri, allorchè esso serviva, come nella specie, per compiere lavori di scavo sulla pubblica via per la rete idrica.

Ne consegue che in nessuno dei vizi denunciati nel primo motivo è incorsa la decisione impugnata.

3. – Il secondo problema, portato all’esame della Corte con l’altra doglianza, non può che avere una soluzione negativa.

Infatti, il giudice dell’appello ha tenuto conto delle lesioni riportate dal Ca.Gi. come riscontrate dalla CTU, che aveva anche evidenziato una invalidità totale e parziale del 7% ed una temporanea di 35 gg. di invalidità totale e parziale al 50% per giorni trenta ed ha determinato l’importo risarcitorio per i danni alla persona, tenuto conto delle tabelle in uso rapportate al 1984 e delle richieste formulate dall’attore.

Per i danni all’auto ha tenuto conto delle fatture esibite dagli appellati, non contestate dal R. e della somma per mano d’opera chiesta dall’attore.

Ha, quindi, riconosciuto un danno comprensivo del danno all’autovettura e alla persona, determinandolo in Euro 4.214.89, valutato all’epoca del fatto.

Così operando, il giudice dell’appello non è incorso in alcuna violazione del principio del contraddittorio, nè ha privato l’attuale ricorrente di un grado del giudizio, in quanto la CTU è solo un mezzo istruttorio che si sottrae alla disponibilità delle parti e non necessariamente deve indicare, come erroneamente sostiene il R. la quantificazione del danno riscontrato.

Senza trascurare che, limitata come era all’accertamento dei danni, la CTU non è stata impugnata e, quindi, legittimamente il giudice del gravame a fronte della censurata lacuna del primo giudice, si è avvalso dei suoi poteri per colmarla, procedendo alla liquidazione dei danni in modo corretto, una volta accertatane la esistenza.

Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese che seguono la soccombenza vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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