Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-03-2011) 28-03-2011, n. 12488 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’appello di Lecce ha respinto la domanda avanzata da P.A. intesa ad ottenere l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita.

2. Ricorre per cassazione l’interessato deducendo violazione di legge e vizio della motivazione. Non si è tenuto conto, si assume, che il Gip aveva respinto la richiesta di misura cautelare avendo ritenuto non confermate le dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti; nè che P. aveva interrotto i rapporti con il Pe. ed ha tenuto nel corso delle indagini un rapporto collaborativo, avendo dismesso la dimestichezza con i soggetti coinvolti nei fatti dopo l’avvio di un’autonoma attività commerciale.

2.1 L’Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia respinto.

3. Il ricorso è infondato. L’ordinanza in esame analizza la vicenda in esame ponendo in luce che l’accusa riguardava il ferimento di una persona nell’ambito di una guerra di mafia tra gruppi rivali, che aveva già generato diversi fatti di sangue. Si aggiunge che dalle indagini emergono stretti contatti tra il P. e personaggi coinvolti nel contrasto violento; e che la tesi di essersi distaccato dall’ambiente illecito è confutata dai frequenti contatti telefonici con l’utenza di tale Pe., uno dei protagonisti della vicenda di cui si discute. Si conclude che i contatti e gli incontri con i due gruppi coinvolti nella guerra di mafia, insieme alla fuga dopo il fatto, evidenziano condotta gravemente colposa ostativa all’accoglimento della richiesta.

Tale ponderazione si pone in linea con la consolidata, condivisa giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo cui la connivenza può assumere rilievo nella sede riparatoria allorchè, pur non concretandosi in condotte di attiva partecipazione agli illeciti, mostri consapevole, incauto coinvolgimento e contiguità rispetto ai reati ed ai loro autori, così da generare nell’autorità giudiziaria l’erroneo convincimento che essa sia espressione di attivo apporto alle condotte delittuose. Nel caso di specie si configura proprio una situazione di tale genere. Infatti il ricorrente, pur non partecipando ai reati, interloquiva e teneva contatti con personaggi coinvolti in eventi eclatanti. Tali condotte, d’altra parte, hanno influito sulla determinazione di applicare la misura cautelare, come evidenziato nell’ordinanza impugnata. In tale situazione, come correttamente ravvisato dalla Corte d’appello con argomentazione logicamente ineccepibile, le stesse condotte, rivelatrici di contiguità con l’ambiente criminale oggetto del processo, sono altamente rimproverabili ed idonee a giustificare la reiezione della domanda.

Il ricorso va quindi rigettato.

Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento; nonchè alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che appare congruo liquidare come in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi Euro 750.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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