Cass. civ. Sez. III, Sent., 02-07-2010, n. 15700 LOCAZIONE DI COSE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

M.E. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Forlì S.L. esponendo che costui, nel gennaio 1995, era subentrato nel contratto di locazione avente ad oggetto un immobile di sua proprietà, stipulato il (OMISSIS) tra esso attore e R.G., destinato dal conduttore all’attività di macelleria.

Precisava che nella suddetta attività commerciale all’originario conduttore era subentrato V.O.; che costui aveva ceduto poi l’azienda al convenuto; che S.L. aveva rilasciato l’immobile nel (OMISSIS) per recesso anticipato dal contratto.

Sosteneva l’attore che il convenuto non aveva provveduto al ripristino dell’immobile nei le condizioni in cui esso si presentava all’atto dell’ingresso del primo conduttore; che il S. non aveva provveduto a liberare la res locata dalle opere in essa realizzate da lui stesso e da coloro a cui era succeduto nel contratto; che l’immobile aveva subito gravi danni e deterioramenti, non riconducibili al normale uso; che il conduttore aveva prelevato numerose attrezzature, presenti noi negozio all’atto del suo subentro, per un valore di L. 29.000.000.

Concludeva, quindi, perchè il tribunale avesse dichiarato che il convenuto era tenuto a ripristinare il locale nello state di fatto in cui si trovava al momento della stipula della locazione, nella quale era subentrato nel 1988 e che lo stesso fosse condannato al risarcimento dei danni, reclamati nella misura di L. 7.030.000.

In via alternativa, chiedeva che il giudice adito avesse dichiarato che, in modo illegittimo, il convenuto aveva asportato arredi ed attrezzature presenti nell’immobile in questione e che lo stesso, di conseguenza, fosse condannato a pagare la somma di Euro 29.000.000 a titolo di risarcimento dei danni.

S.L. si costituiva e deduceva che:

– aveva rilasciato l’immobile nelle stesse condizioni in cui era gli era stato consegnato dal precedente conduttore;

– aveva asportato solo attrezzature di sua proprietà;

– aveva ripulito il negozio e non aveva danneggiato l’immobile, il cui deterioramento era da imputare alla vetustà ed all’usura.

Aggiungeva che il banco di esposizione della carne, le scaffalature, le mensole, l’argano ed il gruppo frigorifero erano tutti beni dell’azienda già di proprietà del suo cedente V.O..

Con sentenza non definitiva il tribunale di Forlì, ritenuto che era a carico di S.L. l’obbligo, inadempiuto, di asportate le opere realizzate nei corso della locazione, lo condannava ai risarcimento dei danni, nella misura da accertare in prosieguo di causa.

Con sentenza definitiva il giudice di primo grado, all’esito della disposta consulenza tecnica d’ufficio, condannava il convenuto a corrispondere la somma di Euro 6.353,00, oltre accessori.

Sul gravame ai S.L. provvedeva la Corte d’appello di Bologna, che, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava S.L. tenuto soltanto a rimuovere dal locale le mensole in legno e rigettava ogni altra domanda di M.E., che condannava alle spese del doppio grado.

Per la cassazione della sentenza ha proposto – ricorso, illustrato anche con memoria, M.E., che ha affidato l’impugnazione a tre mezzi di doglianza.

S.L. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2558 e 2560 cod. civ..

Sostiene che S.L. sarebbe tenuto, in forza delle disposizioni di legge in materia di trasferimento d’azienda, all’adempimento di tutte le obbligazioni già a carico dell’azienda da lui acquistata, in particolare all’adempimento dell’obbligazione di riconsegnare i locali nello stato in cui si trovavano allorchè ebbe inizio il rapporto di locazione: con l’originario conduttore.

Assume il ricorrente che, in presenza di plurime e successive cessioni della medesima azienda da parte dei precedenti titolari, S.L., ultimo cessionario dell’azienda commerciale esercitata nell’immobile locato, sarebbe tenuto al rispetto di tutte le obbligazioni già a carico dell’azienda da lui acquistata, comprese quelle cui avrebbero dato causa i precedenti titolari.

Il motivo non può essere accolto.

In materia di locazioni, in caso di cessione del contratto di locazione (contestualmente a quella dell’azienda), effettuata ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 36, senza il consenso del locatore, tra l’unico cedente e l’unico cessionario intercorre un vincolo di responsabilità sussidiaria, contraddistinta dal c.d. beneficium ordinis, che consente, perciò, al locatore di rivolgersi al cedente, con l’esperimento delle relative azioni giudiziali, per il soddisfacimento delle obbligazioni inerenti il suddetto contratto, solo dopo che si sia configurato l’inadempimento del cessionario (ex plurimis: Cass., n. 12896/2009; Cass., n. 26234/2007; Cass., n. 9486/2007).

Nell’ipotesi di verificazione di plurime cessioni a catena sia dell’azienda che del contratto di locazione, caratterizzate ciascuna dalla dichiarazione di non liberazione del cedente, viene a configurarsi tra tutti i cedenti ed intermedi del contratto stesso (compreso il primo) un vincolo di corresponsabilità, rispetto al quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà (prevista dall’art. 1294 cod. civ.), in virtù della quale tutti i cedenti (a loro volta cessionari, non liberati dal locatore, risponderanno, in solido tra loro, dell’obbligazione inadempiuta dall’attuale conduttore (Cass., n. 10435/2004; Cass., n. 17201/2002).

La suddetta disciplina, però, non è quella applicabile al caso in esame, in cui, a favore di S.L., vi è stata la sola cessione dell’azienda, senza la contestuale cessione del contratto di locazione, secondo quello che incontestabilmente ha accertato in fatto il giudice del merito e siccome la medesima parte istante ha implicitamente riconosciuto, non avendo mai prospettato che, contestualmente alla cessione dell’azienda, vi fosse stata anche la cessione della locazione con effetti nei confronti del locatore.

Trattasi, allora, di stabilire se, in detta situazione di esclusivo subingresso nell’azienda commerciale, delle obbligazioni assunte dall’originario conduttore dell’immobile, concesso per l’uso della res locata allo scopo di esercitarvi l’attività commerciale propria dell’azienda, possa essere chiamato a rispondere (secondo la tesi in diritto prospettata dal ricorrente col primo mezzo di doglianza), comunque, il cessionario dell’azienda in virtù della disciplina dettata dalla norma di cui all’art. 2558 cod. civ., a mente della quale l’acquirente dell’azienda, se non è pattuito diversamente, subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale.

La tesi della successione automatica nella locazione del cessionario dell’azienda non trova conferma nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità.

La quale si ispira al contrario indirizzo esegetico (ex multis:

Cass., n. 5137/2003; Cass., n. 1133/2000) secondo cui, nella disciplina di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 36, sull’equo canone, in caso di cessione o di affitto di azienda relativi ad attività svolta in un immobile condotto in locazione, non si produce l’automatica successione del cessionario nel contratto di locazione dell’immobile, quale effetto necessario del trasferimento dell’azienda, ma la successione è soltanto eventuale e richiede comunque la conclusione, tra cedente e cessionario dell’azienda, di un apposito negozio volto a porre in essere la sublocazione o la cessione del contratto di locazione, senza necessità, in tale seconda ipotesi, del consenso del locatore, in deroga all’art. 1594 cod. civ., ma salva comunque la facoltà di quest’ultime di proporre opposizione per gravi motivi, entro trenta giorni dall’avvenuta comunicazione della cessione del contratto di locazione insieme all’azienda, proveniente dal conduttore.

Del resto – come pure è stato già affermato secondo un risalente indirizzo (Cass., n. 2482/77) – il vincolo di collegamento strumentale tra locazione di immobile ed azienda in esso esercitata non può ritenersi espresso unicamente, ed in ogni caso, dalla destinazione dell’immobile locato, ma deve essere desunto con li consueto procedimento interpretativo della volontà dei contraenti:

conseguentemente, quando l’esito di tale indagine porti ad escludere che la locazione dell’immobile sia stata dalle parti compresa nel contratto di cessione o di affitto dell’azienda in esso esercitata, non sono applicabili le disposizioni contenute nell’art. 2558 cod. civ., che prevedono la successione automatica del cessionario o dell’affittuario dell’azienda nei contratti stipulati, per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, ma opera la disciplina di cui all’art. 1594 cod. civ., che vieta la cessione del contratto di locazione senza il consenso del locatore.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti.

Premesso che nell’immobile per cui è causa non vi erano mensole in legno, come erroneamente ritenuto dalla Corte d’Appello, bensì mensole di ferro e rivestimento in legno, il ricorrente critica la decisione di merito nella parte in cui il S. è stato ritenuto obbligato esclusivamente a rimuovere tali mensole.

Esisterebbero, infatti, secondo lo stesso ricorrente, altre opere, il cui ripristino o la cui rimozione dovevano, per vincoli contrattuali, essere posti a carico dell’appellante, per cui la Corte territoriale, ignorando le risultanze di causa, avrebbe errato nell’affermare che tutte le altre opere, ad eccezione delle mensole in legno, dovevano farsi risalire ad epoca anteriore al 1988, assolutamente precedente al subingresso nell’azienda di S.L..

La censura non è fondata.

Il motivo è anzitutto non autosufficiente, perchè il ricorrente espressamente sostiene che "esistono …altre opere il cui ripristino o la cui rimozione gravava, per vincoli contrattuali, sull’appellante", ma non riporta alcun brano di patti negoziali in cui tali vincoli sarebbero stati specificati.

Per il resto, il ricorrente fa soprattutto riferimento a "circostanze di fatto" che, come egli stesso afferma, la Corte d’Appello avrebbe dovuto prendere in considerazione, ma dette circostanze neppure indica, onde – anche a tacere del fatto che in questa sede di legittimità non è possibile procedere ad apprezzamento delle fonti di prova diverso da quello, non illogico nè incongruo, fornito dal giudice di merito – la censura risulta comunque del tutto generica.

Con il terzo ed ultimo motivo, infine, si denuncia il mancato rispetto dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 91 e 92 citato codice, perchè il giudice dell’appello, nonostante abbia condannato S.L. a rimuovere le mensole in legno, ha posto a carico di esso ricorrente, soggetto parzialmente vittorioso e in violazione del principio della soccombenza, le spese di entrambi i gradi del giudizio.

La censura, che è stata prospettata sotto il profilo della pretesa violazione di legge e non invece come vizio di motivazione circa la esclusa situazione di soccombenza, non può essere accolta: la Corte felsinea ha proceduto, infatti, nella corretta applicazione della norma, per un verso affermando esattamente che la soccombenza si determina in relazione all’esito finale della lite; per altro verso ravvisando in M.E. la parte "sostanzialmente soccombente".

Il ricorso, pertanto, è rigettato e la particolarità della fattispecie esaminata costituisce giusto motivo per compensare interamente tra le parti le spose del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interagente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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