Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-02-2011) 28-03-2011, n. 12522 Diritti d’autore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.D. è stato tratto al giudizio del tribunale di Rimini perchè rispondesse dei seguenti reati:

a) del reato p. e p. dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 ter, comma 2 e succ. mod. perchè deteneva per farne commercio n. 14 DVD e 178 VHS tutti abusivamente duplicati e privi del contrassegno SIAE. In (OMISSIS). b) del reato p. e p. dall’art. 648 c.p. per avere acquistato o comunque ricevuto da ignoto, al fine di trame profitto, la merce di cui al capo a). In (OMISSIS).

All’esito dell’udienza era assolto dal delitto di cui al capo a) perchè il fatto non era previsto dalla legge come reato e da quello di cui al capo b) per l’insussistenza del fatto.

Il tribunale,a fondamento della decisione, premesso che la contestata "duplicazione di DVD e VHS privi del marchio SIAE",riguardava un fatto commesso il (OMISSIS) e cioè in epoca antecedente alla comunicazione alla Commissione Europea del regolamento relativo all’apposizione del contrassegno SIAE, osservava che i contrassegni SIAE (mancanti sulle "riproduzioni" sequestrate al prevenuto) costituiscono elemento costitutivo del reato contestato soltanto quando, dopo il 21/04/2009,sono riconosciuti validi sotto il profilo "comunitario"; che prima di tale data, il fatto addebitato al nominato P., imponeva l’assoluzione con la formula "il fatto non è previsto dalla legge come reato", nel rispetto della Sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea, Schwibbert, dell’8 novembre 2007; che l’autonoma figura delittuosa della "ricettazione",contestata al capo b)della rubrica, doveva essere ritenuta insussistente, perchè carente del "reato presupposto".

Ricorre per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rimini con ricorso immediato denunciando la violazione della norma incriminatrice e l’erronea interpretazione della sentenza Schwibert la quale ha inciso solo sulle violazioni formali del diritto di autore ossia sulla sola mancanza del contrassegno nei casi in cui è prescritto e non sulla violazione sostanziale ossia sull’illecita duplicazione,come più volte statuito dalla corte di legittimità.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Preliminarmente si rileva che non esplica alcun effetto nella fattispecie in esame la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea dell’8 novembre del 2007 nel processo Schwibert resa a norma dell’art. 234 del Trattato CEE perchè essa si riferisce alla disposizione di cui all’art. 171 ter, lett. d) ed alle altre disposizioni incentrate sull’apposizione del contrassegno come condizione di commercializzazione del supporto contenente opere dell’ingegno, ma non riguarda in alcun modo le violazioni sostanziali del diritto d’autore, come l’illecita duplicazione, la vendita o la detenzione per la vendita di supporti illecitamente duplicati. In tali casi la mancanza del contrassegno assume solo un valore indiziario idoneo a suffragare insieme con altri elementi l’illecita duplicazione.

In proposito si deve puntualizzare che nella prassi sovente si fa riferimento alla mancanza del contrassegno, non per contestare un’autonoma figura di reato rispetto alla duplicazione, ma solo per evidenziar che la sua mancanza costituisce la riprova dell’illecita duplicazione. In questi casi non si pone alcun problema di disapplicazione della norma statale in contrasto con il diritto comunitario perchè il fatto contestato non riguarda la mera mancanza del contrassegno nei casi in cui la sua apposizione sia prevista e quindi la violazione di una norma contenente una regola tecnica , ma la violazione sostanziale del diritto di autore ossia l’illecita duplicazione o detenzione di supporti illecitamente duplicati.

L’inesistenza del contrassegno continua a mantenere valenza indiziaria della illecita riproduzione, ma non è elemento di tale significatività ed univocità da sorreggere sempre la conclusione in ordine alla abusiva o illecita riproduzione dell’opera protetta.

Invero, la mancanza del contrassegno non dimostra sempre e comunque l’illecita provenienza del prodotto e ciò perchè il contrassegno, come risulta dall’art. 181 bis, comma 3 della Legge sul Diritto di Autore, può non essere apposto su determinate opere indicate dalla legge o dallo stesso regolamento .Se però trattasi di opera sulla quale l’apposizione è obbligatoria, la mancanza assume valenza indiziaria in ordine all’illecita provenienza del supporto, ma non può da sola giustificare l’affermazione di responsabilità per l’illegittimità del contenuto perchè la presenza del contrassegno non dimostra in maniera univoca il rispetto della normativa sul diritto d’autore e viceversa la sua mancanza non evidenzia con altrettanta univocità la violazione delle norme sul diritto d’autore. Possono esservi infatti prodotti muniti del contrassegno che tuttavia violano il diritto d’autore (si pensi ai prodotti plagiati o commercializzati in numero superiore a quello consentito), viceversa vi possono essere prodotti privi del contrassegno ma non riprodotti o smerciati abusivamente dal titolare del diritto. Invero il contrassegno viene rilasciato secondo le modalità stabilite nel regolamento approvato con il D.P.C.M. n. 338 del 2001 in assenza di un esame approfondito circa la titolarità dei diritti da parte di chi ne ha fatto richiesta. Tuttavia il contrassegno, pur potendo in ipotesi essere rilasciato a chi non ne ha diritto, nella stragrande maggioranza dei casi serve proprio a distinguere il prodotto originale da quello contraffatto e costituisce pertanto uno strumento spesso utilizzato dalla Polizia e dalla stessa Magistratura per distinguere il prodotto lecito da quello illecito. Per tale ragione continua a costituire indizio della contraffazione pur dopo la sentenza della corte di Giustizia Europea alla quale prima si è fatto riferimento. Invero l’obbligo di apporre sulle copie delle opere dell’ingegno un contrassegno identificativo, che nello Stato italiano è rilasciato dalla SIAE, che è preposta alla tutela di diritti d’autore, non è previsto da tutti i Paesi della Comunità europea e anche per tale ragione si è ritenuto che la sua imposizione costituisca una specificazione tecnica. La sentenza della Corte di giustizia CE prima citata ha stabilito infatti che la norma contenente l’obbligo dell’apposizione del contrassegno si risolve nell’esplicitazione di una regola tecnica contenente un condizione per la libera commercializzazione del prodotto, ancorchè legittimo, nell’ambito comunitario. Il contrassegno però, per la legislazione italiana, non ha solo lo scopo di condizionare la libera circolazione del prodottola anche quello di favorire una rapida identificazione dei prodotti abusivi, assicurando così una tutela più incisiva e pronta alle violazioni del diritto d’autore . Ha quindi uno scopo più generale che è quello di garantire il consumatore sull’originalità del prodotto e soprattutto di facilitare la repressione di reati in materia di violazione dei diritti d’autore e tale scopo non contrasta con il diritto comunitario perchè non ostacola la circolazione dei beni, quando non è illecita. Di conseguenza la decisione Schwibbert impone la disapplicazione della norma contenente l’obbligo del contrassegno allorchè tale elemento lo si utilizza al solo scopo di discriminare la libera circolazione del prodotto,come è avvenuto nel caso sottoposto all’esame della Corte di Giustizia, ma non quando lo si valuti come indizio per sostenere, in concorso con altri elementi, la illegittima duplicazione. Per anni, come già accennato, la Polizia e la stessa Magistratura hanno utilizzato la mancanza del contrassegno come indizio per distinguere il prodotto genuino da quello contraffatto (cfr Cass. sez. 3 n 1746 del 1999 in cui si è sottolineato che l’assenza del contrassegno è un indice univoco dell’illecita riproduzione) La diversa opinione comporterebbe la disapplicazione non solo delle norme incentrate sull’obbligo dell’apposizione del contrassegno, ma anche di altre norme penali riguardanti la violazione sostanziale del diritto d’autore che non sono state in alcun modo incise dalla pronuncia della Corte di Giustizia. La procedura d’informazione prevista dalla direttiva posta a base della decisione Schibbert è rivolta a consentire alla Commissione di verificare che le regole tecniche stabilite da uno Stato membro non costituiscano ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’ambito comunitario, ostacolo peraltro ammissibile quando è necessario per soddisfare esigenze imperative rivolte al conseguimento di un interesse generale. Quindi le norme che contengono riferimenti al contrassegno SIAE devono essere disapplicate dal giudice italiano solo allorchè la sua apposizione venga considerata condizione indispensabile per la libera commercializzazione del prodotto perchè solo in tale caso la normativa statale si pone in contrasto con il diritto comunitario e non pure quando il contrassegno venga considerato indizio d’illecita duplicazione perchè tale valore indiziario, essendo diretto a soddisfare più agevolmente la repressione di determinati reati;

essendo cioè diretto a soddisfare interessi più generali e diversi da quelli attinenti alla libera circolazione dei beni nell’ambito comunitario non si pone in contrasto con la direttiva richiamata nella sentenza della Corte di Giustizia CE prima indicata . La stessa Corte di Giustizia CE, con la sentenza del 6 novembre del 2003, Gambelli, ha stabilito che le restrizioni imposte al diritto comunitario con la normativa penale nazionale sono giustificate allorchè siano dettate da motivi imperativi di interesse generale, siano idonee e necessarie al perseguimento di tale scopo e siano applicate in modo non discriminatorio Ha precisato che tra tali motivi non possono rientrare quelli fiscali (in quella fattispecie si discuteva della norma statale sul gioco e le scommesse), ma può costituire valido motivo di interesse generale la tutela del consumatore o la prevenzione della frode. Il contrassegno SIAE serve, come prima precisato, anche a tutelare il consumatore perchè distingue il prodotto originale da quello contraffatto e serve a prevenire le frodi, finalità queste che non sono in contrasto con il diritto comunitario.

Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata va annullata con rinvio.

La Corte del rinvio dovrà tenere conto dei principi dianzi esposti.
P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 623 c.p.p., annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna per il relativo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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