T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 23-03-2011, n. 2565

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 5613 novembre 2009, depositato il successivo 18 novembre, la società ricorrente impugna il provvedimento 3 settembre 2009, prot. n. 20270, con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ritenuto scorretta la pratica commerciale da essa posta in essere e le ha irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 80.000 (ottantamila).

La ricorrente espone di essere "impegnata nella produzione e nella vendita di accappatoi in microfibra contraddistinti dal marchio "Spaziale splendid" e di una linea di prodotti in microfibra ancillari agli stessi"; si tratta di prodotti (in particolare l’accappatoio) con "caratteristiche significativanmente innovative" con "elevati requisiti di funzionalità in termini di capacità assorbente,di asciugatura e di minimo ingombro", dovute all’utilizzo di cd. "tessuto non tessuto (TNT)".

Oggetto dell’esame dell’Autorità sono state "alcune informazioni volte a promuovere l’acquisto dell’accappatoio de quo… contenute in messaggi pubblicitari apparsi su vari quotidiani e periodici" e che si sostanziano nelle indicazioni "100% supermicrofibra", "microfibra 100%" e "microfibra", laddove – secondo l’Autorità" – sarebbe stata omessa una indicazione rilevante quale "l’indicazione della natura delle specifiche microfibre utilizzate per la produzione dell’accappatoio"; omissione che riguarda i messaggi pubblicitari "poichè le singole fibre tessili impiegate per la produzione sono chiaramente indicate sull’etichetta interna dell’accappatoio".

Avverso il provvedimento impugnato vengono proposti i seguenti motivi di ricorso:

a) violazione ed erronea applicazione d. lgs. n. 206/2005 e d. lgs. n. 194/1999; eccesso di potere per carenza dei presupposti, irragionevolezza, ingiustizia manifesta; ciò in quanto "non può essere considerato ingannevole il messaggio pubblicitario che reca la dicitura "microfibra" per descrivere una delle caratteristiche effettivamente possedute dal prodotto; l’inganno pubblicitario sarebbe, invece riscontrabile nelle sole ipotesi in cui vi fosse una discrasia fra realtà e quanto dichiarato nel messaggio pubblicitario", laddove, nel caso di specie, è certo che si tratta di microfibre; inoltre, la scelta del consumatore si determina sulla base della notorietà del marchio "Spaziale Splendy", non risultando quindi necessaria "l’indicazione integrativa relativa alla composizione fibrosa del prodotto". In ogni caso, "l’indicazione che gli accappatoi commercializzati dalla ricorrente sono realizzati in microfibra fornisce al consumatore certamente un’informazione completa e rilevante in merito alla caratteristica fondamentale del prodotto, ossia quella di essere realizzata in fibre molto piccole" e ciò considerando anche che "il termine microfibra non ha alcuna attinenza con l’etichettatura di composizione… poiché riguarda una caratteristica fisica della fibra utilizzata (la grandezza) e non invece la sua composizione chimica";

b) violazione art. 5 Trattato istitutivo della Comunità Europea; violazione direttiva 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio; violazione art. 41 Cost.; violazione del principio di proporzionalità; irragionevolezza; ingiustizia manifesta; poiché la qualificazione della pratica commerciale come un’attività scorretta in grado di indurre in errore il consumatore non è coerente con i principi e le norme comunitarie, che richiedono un "bilanciamento, secondo il principio di proporzionalità, tra l’esigenza di libera circolazione delle merci e il diritto del consumatore a determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale";

c) violazione del principio di legalità ex art. 97 Cost.; violazione e falsa applicazione d. lgs. n. 206/2005; violazione del principio di proporzionalità; irragionevolezza; ingiustizia manifesta; illogica motivazione; contraddittorietà intrinseca; poiché "la sanzione irrogata alla ricorrente è eccessivamente elevata e… è stata stabilita in maniera del tutto arbitraria; ciò in quanto l’art. 11 l. n. 689/1981, citato nel provvedimento, non è tra le norme richiamate dall’art. 27 del Codice del consumo, e quindi l’Autorità non avrebbe dovuto utilizzare i criteri di determinazione della sanzione stabiliti dalla predetta disposizione. In ogni caso, la sanzione irrogata viola il principio di proporzionalità poiché "il comportamento della GIL non assume affatto una gravità ed un’offensività tali da determinare una sanzione pari addirittura a più della metà degli utili conseguiti dalla società nell’anno 2007". Inoltre, l’Autorità ha irrogata una sanzione di entità superiore a quella inflitta ad una società concorrente, che aveva non solo omesso le medesime informazioni "ma aveva addirittura diffuso un’informazione assolutamente falsa", né essa ha tenuto conto, ai fini della quantificazione, del comportamento volto alla eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione.

Si è costituita in giudizio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha concluso per il rigetto del ricorso, stante la sua infondatezza.

Con ordinanza 3 dicembre 2009 n. 5603, questo Tribunale ha respinto la domanda di misure cautelari.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e deve essere, pertanto, accolto, nei sensi e limiti di seguito esposti.

Occorre preliminarmente osservare che con il provvedimento impugnato l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha rilevato che:

a) "la sola indicazione "microfibra" non sembra fornire al consumatore informazioni sufficienti circa la composizione e, in generale, la materia prima impiegata per realizzare il prodotto";

b) "soltanto dopo aver acquistato l’accappatoio e avere aperto la confezione, il consumatore può verificare, leggendo l’etichetta interna, la natura delle fibre impiegate per la sua produzione, vale a dire poliestere e poliammide";

c) il termine microfibra utilizzato senza essere associato ad una delle denominazioni delle fibre indicate nell’allegato I del d. lgs. n. 194/1999, "non si può ritenere esaustivo e sufficiente a far comprendere al consumatore medio di quali materiali il prodotto è composto".

Con riferimento al caso oggetto della presente decisione, questo Tribunale (sent. 24 aprile 2009 n. 4138), ha già avuto modo di osservare che "sul piano della ingannevolezza della presentazione del prodotto, non è rilevante stabilire quale sia la definizione di microfibra più corretta sul piano tecnicoscientifico, quanto il grado di completezza dell’informazione fornita al consumatore, tale da porlo nella condizione di operare una scelta consapevole tra i prodotti disponibili sul mercato. D’altro canto, se fra gli stessi operatori professionali… non vi è una definizione comunemente accettata ed esaustiva di tessuto in "microfibra", non si vede come l’utilizzo di siffatta terminologia, priva di ulteriori specificazioni, possa costituire una informazione sufficiente per il consumatore".

In assenza, quindi, di indicazioni specifiche in ordine alla composizione del tessuto, questo Tribunale ha ritenuto che risulti confermata "la valutazione operata dall’Autorità circa l’utilizzo ingannevole di un termine che ha acquistato presso i consumatori un certo credito, in quanto da essi associato a prodotti di particolare consistenza e qualità, ma che, in realtà, in assenza di ulteriori specificazioni relative alla combinazione di fibra utilizzata e alle tecniche di lavorazione, è riferibile ad una serie di prodotti aventi differenti e variegate caratteristiche prestazionali".

Il Tribunale non ritiene di doversi discostare dalle proprie conclusioni, già in precedenza espresse.

Né può essere rilevante l’argomentazione della ricorrente, secondo la quale le scelte dei consumatori avvengono sulla base della notorietà del marchio del prodotto, di modo che sarebbe irrilevante (e quindi non ingannevole) la mancata indicazione della natura degli elementi utilizzati nella composizione della "microfibra".

Ed infatti, per un verso, tale affermazione rappresenta solo una valutazione di massima, priva di sostegno probatorio; per altro verso, appare evidente che, quale che possa soggettivamente essere l’elemento che determina la scelta finale del consumatore, ciò che da parte dell’Autorità occorre valutare è l’ingannevolezza della pratica commerciale, e cioè la completezza e veridicità di un messaggio pubblicitario, caratteristiche che devono essere verificate nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione commerciale, e non già sulla base di ulteriori informazioni che si rendano disponibili solo "a contatto", e cioè ad effetto promozionale già intervenuto.

Da quanto esposto, consegue l’infondatezza dei motivi di ricorso riportati sub lett. a) e b) dell’esposizione in fatto, di modo che il provvedimento impugnato è da ritenere legittimo, quanto all’accertamento ivi contenuto della pratica commerciale come "scorretta".

Il terzo motivo di ricorso (sub c) dell’esposizione in fatto) – riferito all’entità della sanzione pecuniaria irrogata – è fondato, nei limiti di seguito esposti, e deve essere, pertanto, accolto.

Il Tribunale deve innanzi tutto ribadire l’applicabilità dei principi enunciati dall’art. 11 l. n. 689/1981, al campo delle sanzioni previste dal Codice del consumo.

Ed infatti, per un verso, l’art. 11 citato, così come i principi espressi da tale legge in tema di sanzioni amministrative, costituiscono principi (e norme) generali della materia, che pertanto trovano applicazione, in quanto compatibili con lo specifico settore considerato; per altro verso, l’art. 11 risulta richiamato dall’art. 27, comma 13, d. lgs. n. 206/2005, che afferma "per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni del presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel Capo I, sezione I, e negli articoli 26, 27, 28 e 29 della legge 24 novembre 1981 n. 689"; e nella Sezione I del Capo I è ricompreso l’art. 11 citato.

Ciò premesso, il provvedimento impugnato, pur dichiarando di procedere alla determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria sulla base della valutazione della dimensione economica del professionista, dell’ampiezza della pratica e della sua durata, considerati i limiti edittali della sanzione, omette tuttavia di considerare l’effettiva gravità della pratica commerciale, in senso oggettivo oltre che, soggettivamente, con riferimento alla "dimensione economica del professionista", ed anche in relazione agli effetti della medesima pratica in ordine ai ricavi conseguiti, per il tramite dei prodotti in microfibra, dalla società ricorrente.

Ne consegue, quindi, la sussistenza del vizio di eccesso di potere per illogicità della motivazione e violazione del principio di proporzionalità.

Per tutte le ragioni sin qui esposte, il ricorso deve essere accolto, limitatamente al terzo motivo di ricorso (sub c) dell’esposizione in fatto), e quindi con riferimento alla misura della sanzione amministrativa pecuniaria irrogata. Pertanto, il provvedimento impugnato deve essere parzialmente annullato.

Resta, ovviamente, fermo il potere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato di procedere alla rideterminazione della misura della sanzione pecuniaria da irrogarsi.

Pertanto, ai sensi degli artt. 34, co. 1, lett. d) e 134, co. 1, lett. c) C.p.a., il provvedimento, nella parte in cui dispone l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria deve essere riformato, ed a tal fine il Tribunale – valutata la dimensione economica dell’impresa ricorrente e l’effettiva incidenza della pratica commerciale scorretta sui ricavi conseguiti (così come esposti dalla ricorrente e non contestati) -ritiene congrua una misura della sanzione amministrativa pecuniaria ridotta del 25%, rispetto a quella irrogata con il provvedimento impugnato

Per tutte le ragioni sin qui esposte, il ricorso deve essere accolto, limitatamente al terzo motivo di ricorso (sub c) dell’esposizione in fatto), con riferimento alla misura della sanzione amministrativa pecuniaria irrogata. Pertanto, il provvedimento impugnato deve essere parzialmente riformato nei sensi descritti.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da G.I.L. – G.I.L. s.r.l. (n. 9282/2009 r.g.), lo accoglie, nei limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, riforma parzialmente il provvedimento impugnato..

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da G.I.L. – G.I.L. s.r.l. (n. 9282/2009 r.g.), lo accoglie, nei limiti di cui in motivazione.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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