Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-02-2011) 28-03-2011, n. 12516 appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Palermo,con sentenza del 26 marzo del 2010, confermava quella resa il 19 dicembre del 2008 dal tribunale della medesima città, con cui A.S. era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia, quale responsabile del delitto di ricettazione e di quello di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c) e comma 2, lett. a), per avere detenuto a scopo di vendita ed al fine di trarne profitto 374 musicassette abusivamente duplicate e prive del contrassegno SIAE. Fatti commessi in (OMISSIS).

Ricorre per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge ed omessa motivazione. Assume che nell’avviso di fissazione dell’udienza davanti alla Corte d’appello non era stato indicato l’orario in cui si sarebbe tenuta l’udienza;nel merito sostiene che i reati contestati non concorrono tra loro e segnatamente la ricettazione non concorre con il delitto di cui all’art. 171 ter, lett. c); inoltre la prova della destinazione alla vendita sarebbe carente o comunque illogica.
Motivi della decisione

Il ricorso va respinto perchè infondato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Con riferimento al primo motivo, premesso che a norma dell’art. 601 c.p.p., comma 3 il decreto di citazione per il giudizio d’appello deve contenere i requisiti previsti dall’art. 429, comma 1, lett. a), f) e g) nonchè l’indicazione del giudice competente, si osserva che l’omessa indicazione della sola ora dell’udienza, secondo l’orientamento di questa Corte non da luogo ad una nullità assoluta ed insanabile deducibile in ogni stato grado del giudizio.

In proposito presso questa Corte sulla natura della nullità si registrano due orientamenti contrapposti: secondo un primo orientamento (Cass sez 4, 21 ottobre 1998, n. 13645 Cantini) la mancata indicazione, darebbe luogo ad una nullità assoluta di tipo intermedio; secondo l’opposto indirizzo (Cass sez 1, 1 dicembre 1999, n. 6686 Tropea) darebbe luogo ad una nullità relativa che, se non dedotta, deve ritenersi sanata. Nella fattispecie, in entrambe le ipotesi, la nullità si è sanata perchè, essendo intervenuta negli atti preliminari del giudizio, ossia nella fase che precede il dibattimento, avrebbe dovuto essere dedotta in limine litis davanti al giudice d’appello e non per la prima volta in cassazione. L’omessa indicazione dell’ora non da luogo ad incertezza assoluta sul momento di celebrazione dell’udienza posto che a norma dell’art. 20 reg. esec., commi 3 e 4, al dibattimento si procede secondo l’ordine del ruolo (il quale a cura del cancelliere è affisso davanti all’aula di udienza almeno un giorno prima) e conformemente agli orari indicati nei decreto che dispone il giudizio, salvo che per ragioni di urgenza o per altri motivi il presidente ordini che sia data la precedenza ad un determinato dibattimento iscritto a ruolo. Se non è indicata l’ora e se non è possibile desumere l’orario dal ruolo, la comparizione si deve intendere fissata all’orario di apertura dell’udienza stabilito in via generale dal dirigente.

Con riguardo agli altri motivi si rileva che il delitto di ricettazione concorre con quello di cui all’art. 171 ter, lett. c).

In materia di tutela del diritto di autore sulle opere dell’ingegno, è configurabile il concorso tra il reato di ricettazione ( art. 648 c.p.) e quello di commercio abusivo di prodotti audiovisivi abusivamente riprodotti ( L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171-ter), quando l’agente, oltre ad acquistare supporti audiovisivi fonografici o informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni legali, li detenga a fine di commercializzazione. Tale principio va applicato alle condotte poste in essere successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68, che ha abrogato la L. n. 248 del 2000, art. 16, sostituendolo con il nuovo testo della L. n. 633 del 1941, art. 174-ter (cfr. Cass Sez Un 47164 del 2005).

La decisione impugnata risulta quindi adeguatamente motivata con riferimento a tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 171, lett. c).

La duplicazione è stata desunta, oltre che dalle stesse modalità della messa in commercio e dalla mancanza del bollino della SIAE, anche dalle locandine che riproducevano quelle originali ma tali non erano, come accertato dagli agenti. Dalla presenza delle copertine si desumeva altresì che non trattavasi di CD vuoti.

A proposito del contrassegno si deve rilevare che nella prassi sovente si fa riferimento alla sua mancanza, non per contestare un’autonoma figura di reato rispetto alla duplicazione o alla vendita di prodotti illecitamente duplicati, ma solo per evidenziare che la sua mancanza costituisce la riprova dell’illecita duplicazione. In questi casi non si pone alcun problema di disapplicazione della norma perchè il fatto contestato non riguarda la mera mancanza del contrassegno nei casi in cui la sua apposizione sia prevista e quindi la violazione di una norma contenente una regola tecnica, ma la violazione sostanziale del diritto di autore ossia l’illecita duplicazione o detenzione di supporti illecitamente duplicati.

L’inesistenza del contrassegno continua a mantenere valenza indiziaria della illecita riproduzione, ma non è elemento di tale significatività ed univocità da sorreggere sempre la conclusione in ordine alla abusiva o illecita riproduzione dell’opera protetta.

Invero, la mancanza del contrassegno non dimostra sempre e comunque l’illecita provenienza del prodotto e ciò perchè il contrassegno, come risulta dall’art. 181 bis, comma 3 della legge sul diritto di autore, può non essere apposto su determinate opere indicate dalla legge o dallo stesso regolamento. Se però trattasi di opera sulla quale l’apposizione è obbligatoria, la mancanza assume valenza indiziaria in ordine all’illecita provenienza del supporto, ma non può da sola giustificare l’affermazione di responsabilità per l’illegittimità del contenuto perchè la presenza del contrassegno non dimostra in maniera univoca il rispetto della normativa sul diritto d’autore e viceversa la sua mancanza non evidenzia con altrettanta univocità la violazione delle norme sul diritto d’autore Possono esservi infatti prodotti muniti del contrassegno che tuttavia violano il diritto d’autore (si pensi ai prodotti plagiati o commercializzati in numero superiore a quello consentito), viceversa vi possono essere prodotti privi del contrassegno ma non riprodotti o smerciati abusivamente dal titolare del diritto. Invero il contrassegno viene rilasciato secondo le modalità stabilite nel regolamento approvato con il D.P.C.M. n. 338 del 2001 in assenza di un esame approfondito circa la titolarità dei diritti da parte di chi ne ha fatto richiesta. Tuttavia il contrassegno, pur potendo in ipotesi essere rilasciato a chi non ne ha diritto, nella stragrande maggioranza dei casi serve proprio a distinguere il prodotto genuino da quello contraffatto e costituisce pertanto uno strumento spesso utilizzato dalla Polizia e dalla stessa Magistratura per distinguere il prodotto lecito da quello illecito. Invero l’obbligo di apporre sulle copie delle opere dell’ingegno un contrassegno identificativo rilasciato dalla SIAE, che è preposta alla tutela di diritti d’autore, non è previsto da tutti i Paesi della Comunità Europea e per tale ragione la norma che contiene tale disposizione è stata considerata specificazione tecnica. La sentenza della Corte di giustizia CE prima citata ha stabilito infatti che la norma contenente l’obbligo dell’apposizione del contrassegno si risolve nell’esplicitazione di una regola tecnica contenente un condizione per la libera commercializzazione del prodotto, ancorchè legittimo, nell’ambito comunitario. Il contrassegno però per la legislazione italiana non ha solo lo scopo di condizionare la libera circolazione del prodotto,ma anche quello di favorire una rapida identificazione dei prodotti abusivi,assicurando così una tutela più incisiva e pronta alle violazioni del diritto d’autore. Ha quindi uno scopo più generale che è quello di facilitare la repressione di reati in materia di violazione dei diritti d’autore e tale scopo non contrasta con il diritto comunitario perchè non ostacola la legittima circolazione dei beni. Di conseguenza la decisione Schwibbert impone la disapplicazione della norma contenente l’obbligo del contrassegno allorchè tale elemento lo si utilizza per discriminare la libera circolazione del prodotto, ma non quando lo si valuti come indizio per sostenere, in concorso con altri elementi, la illegittima duplicazione. Per anni, come già accennato, la Polizia e la stessa Magistratura hanno utilizzato la mancanza del contrassegno come indizio per distinguere il prodotto genuino da quello contraffatto (cfr Cass sez 3 n. 1746 del 1999 in cui si è sottolineato che l’assenza del contrassegno è un indice univoco dell’illecita riproduzione). La diversa opinione comporterebbe la disapplicazione non solo delle norme incentrate sull’obbligo dell’apposizione del contrassegno, ma anche di altre norme penali riguardanti la violazione sostanziale del diritto d’autore che non sono state in alcuno modo incise dalla pronuncia della Corte di Giustizia. Come prima accennato la procedura d’informazione è rivolta a consentire alla Commissione di verificare che le regole tecniche stabilite da uno Stato membro non costituiscano ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’ambito comunitario, ostacolo ammissibile solo se necessario per soddisfare esigenze imperative rivolte al conseguimento di un interesse generale. Quindi le norme che contengono riferimenti al contrassegno SIAE devono essere disapplicate dal giudice italiano solo allorchè la sua apposizione venga considerata condizione indispensabile per la libera commercializzazione del prodotto perchè solo in tale caso la normativa statale si pone in contrasto con il diritto comunitario e non pure quando il contrassegno venga considerato indizio d’illecita duplicazione perchè tale valore indiziario essendo diretto a soddisfare più agevolmente la repressione di determinati reati essendo cioè diretto a soddisfare interessi più generali e diversi da quelli attinenti alla libera circolazione dei beni nell’ambito comunitario non si pone in contrasto con la direttiva richiamata nella premessa.

Fatta questa premessa,nel merito si osserva che la corte d’appello ha infatti ritenuto che il fatto contestato all’imputato configurasse il reato di cui alla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 ter, lett. c) -, come introdotto dal D.Lgs. 15 marzo 1994, n. 204, art. 17 e quindi modificato con il D.Lgs. 15 marzo 1996, n. 204, art. 1, e dalla L. 18 agosto del 2000, n. 248 ed ha altresì considerato che per la configurabilità del reato era sufficiente la sola detenzione al fine di vendita non essendo necessaria la prova di un’effettiva vendita, in quanto con la modificazione apportata con la L. n. 248 del 2000 era stata comunque sanzionata anche la semplice detenzione finalizzata alla vendita.

Nella fattispecie i giudici di merito hanno accertato che i supporti erano destinati alla vendita, circostanza legittimamente desunta dal fatto che erano stati offerti in vendita sulla pubblica via.
P.Q.M.

La Corte letto l’art. 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *