Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-06-2011, n. 13367 Previdenza e assistenza sociale Prescrizioni e decadenze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di G.L. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 16745/05 del 3 ottobre 2005, di rigetto, per intervenuta prescrizione, della domanda proposta onde ottenere la condanna dell’INPS al pagamento di rivalutazione monetaria e interessi legali sui ratei, corrisposti in ritardo e senza accessori, della pensione di vecchiaia a suo tempo liquidata.

La Corte d’appello di Roma precisa che:

a) il Tribunale ha ritenuto il credito azionato prescritto in quanto la domanda amministrativa di pensione è stata presentata il 9 agosto 1984, la liquidazione dei ratei arretrati è avvenuta a dicembre 1987, il primo atto interruttivo valido è l’istanza amministrativa pervenuta all’Istituto il 26 gennaio 2004, visto che manca la prova della ricezione delle due lettere di diffida a nome del Patronato datate 25 luglio 1991 e 2 marzo 1999 prodotte dal G.;

b) le argomentazioni del primo giudice vanno confermate;

c) in primo luogo è inesatto e smentito dalle risultanze processuali che l’INPS non abbia tempestivamente contestato la ricezione, risultando che ciò sia stato fatto dall’avvocato dell’Istituto alla prima udienza del giudizio di primo grado;

d) quanto alla prova posta a carico del G. della avvenuta ricezione delle lettere in oggetto, va osservato che le due cartoline postali di ricevimento prodotte recano il medesimo Patronato come mittente ma con due differenti indirizzi e inoltre nelle due lettere – inserite nei plichi cui accederebbero le predette cartoline postali – nell’intestazione hanno due indirizzi ulteriormente diversi;

e) tali diversità – di cui l’interessato non ha fornito alcuna logica spiegazione – rende del tutto incerta la deduzione secondo cui il contenuto dei due plichi – cui, rispettivamente, si riferiscono le suddette cartoline postali – fosse rappresentato dalle lettere di diffida in argomento:

f) va respinto l’appello anche in merito alla pronuncia sulle spese;

g) il G. sostiene di aver dedotto in primo grado di trovarsi nelle condizioni di esenzione previste dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42. tuttavia la relativa dichiarazione non è conforme – nella lettera e nella sostanza – a quanto stabilito dalla legge;

h) infatti, dal nuovo testo dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. si desume che nella dichiarazione sostitutiva di certificazione vanno indicati sia il reddito dell’anno precedente l’instaurazione del giudizio sia l’impegno (penalmente sanzionato, in caso di omissione D.P.R. n. 445 del 2000, ex art. 76) a comunicarne le successive variazioni, visto che il beneficio è condizionato al mantenimento dei limiti reddituali prescritti per tutta la durata del giudizio;

i) in difetto del suddetto impegno, il giudice, al momento della pronuncia sulle spese, non può presumere che non vi sia stato medio tempore un superamento del limite di reddito stesso;

j) conseguentemente il G. va condannato alle spese del grado di appello, secondo soccombenza.

2.- Il ricorso di G.L. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste con controricorso l’INPS.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (disponibilità delle prove), dell’art. 215 cod. proc. civ. (riconoscimento tacito della scrittura privata), dell’art. 2943 cod. civ. (interruzione della prescrizione da parte del titolare), dell’art. 1219 cod. civ. (costituzione in mora), nonchè dell’art. 2697 cod. civ. (onere della prova):

Si contesta che la Corte d’appello non abbia considerato, ai fini dell’interruzione della prescrizione decennale de qua, i documenti prodotti in giudizio al momento del deposito del fascicolo di parte in primo grado.

In particolare, alle due lettere di diffida inviate dal Patronato argentino (Istituto di tutela ed assistenza lavoratori ITAL UIL. riconosciuto con D.M. 18 giugno 1952), datate 25 luglio 1991 e 2 marzo 1999, non è stato attribuito rilievo ai fini interruttivi soltanto perchè non vi era coincidenza tra la sede del Patronato mandatario, autore della messa in mora, e quella del medesimo Patronato che materialmente ha curato l’invio della diffida.

Inoltre, in contrasto con l’art. 115 cod. proc. civ. e con la disciplina sull’onere della prova, la Corte d’appello ha ritenuto che dovesse essere il G. a fornire la prova dell’avvenuta ricezione delle due suddette lettere di costituzione in mora da parte dell’INPS, invece di stabilire che, data la produzione documentale effettuata dal pensionato, dovesse essere il destinatario a dimostrare che i plichi raccomandati non contenevano alcuna lettera all’interno, ovvero ne contenevano di contenuto diverso da quello indicato dal mittente.

2.- Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326 del 2003, nonchè dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. Si contesta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la dichiarazione resa dal pensionato nelle conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio in merito al possesso delle condizioni di esenzione di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 42 è stata ritenuta non conforme -nella lettera e nella sostanza – a quanto stabilito dalla legge.

Si rileva che la legge non impone l’utilizzazione di formule particolari, tanto più che la parte resistente è in condizione di attivare controlli per verificarne la veridicità e, nella specie, l’INPS non ha effettuato alcuna contestazione al riguardo.

In ogni caso, nel nuovo regime introdotto con il D.L. n. 269 del 2003, nelle controversie assistenziali e previdenziali, la condanna alle spese di lite del soggetto privato può essere legittimamente pronunciata solo in caso di applicazione dell’art. 96 cod. proc. civ. oppure in ipotesi di titolarità di un reddito superiore a quello indicato.

Il ricorrente sottolinea che nessuna delle due suddette ipotesi ricorre nella specie.

3.- Il primo motivo è infondato, per le ragioni di seguito precisate.

3.1.- Come è noto, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 21 luglio 2010, n. 17097; Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).

D’altra parte, la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, e l’osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non richiedono che il giudice del merito dia conto di tutte le prove dedotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente e necessario che egli esponga in maniera concisa gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione (Cass. 28 ottobre 2009, n. 22801).

In particolare, l’art. 115 cod. proc. civ. – che fa obbligo al giudice di decidere iuxta alligala et probata – non impone di ammettere le prove ritenute dal giudice stesso superflue, ma vieta soltanto di attingere fuori dal processo la conoscenza dei fatti da accertare e di prescindere de tutto dalle prove acquisite nel processo medesimo (Cass. 6 settembre 2002, n. 12980). E ciò vale evidentemente anche nel processo del lavoro (Cass. 12 maggio 1986, n. 3143 e Cass. 26 gennaio 2011, n. 1789).

3.2. Nella specie, dalla sentenza impugnata risulta che la Corte d’appello ha tenuto conto delle due lettere inviate dall’Istituto di tutela e assistenza lavoratori ITAL UIL dell’Argentina in oggetto, ma le ha valutate inidonee ad interrompere la prescrizione, indicando in modo esauriente le ragioni del proprio convincimento.

3.3.- Anche il profilo di censura riguardante il mancato rispetto delle disposizioni in tema di onere della prova non è fondato per le stesse ragioni.

Va osservato con esso più che della violazione delle suddette disposizioni – la quale comunque, è da escludere visto che nella sentenza è congruamente e logicamente motivata la ragione per cui si è ritenuto che dovesse essere il ricorrente a dare spiegazioni sull’effettiva ricezione delle lettere del 25 luglio 1991 e del 2 marzo 1999 da parte dell’INPS, data la rituale contestazione dell’INPS al riguardo (che determina il venire meno della presunzione di ricezione del plico v. Cass. 24 novembre 2004, n. 22133; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20144; Cass. 3 luglio 2003, n. 10536) e considerate le molteplici incertezze desumibili dalla lettura combinata delle intestazioni delle lettere stesse con le cartoline postali ad esse asseritamente abbinate – il ricorrente si duole della valutazione espressa in concreto dalla Corte di merito circa l’avvenuta prescrizione del diritto azionato e l’inidoneità delle due suddette lettere spedite dal Patronato ITAL UIL a costituire validi atti interruttivi della prescrizione stessa.

Si tratta, quindi, di una doglianza inammissibile in questa sede, in quanto sostanzialmente diretta ad una nuova valutazione di merito preclusa alla Corte di legittimità. 4.- Il secondo motivo è, invece, fondato, nei limiti di seguito indicati.

Come più volte affermato da questa Corte, il beneficio dell’esonero dalle spese giudiziali, previsto dall’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. in favore del lavoratore soccombente nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, è applicabile in favore di qualunque ricorrente e non solo in favore di chi possa vantare l’effettiva esistenza del rapporto assicurativo o abbia comunque diritto all’assistenza pubblica, atteso che la ratio della norma, desumibile anche dalle sentenze n 85 del 1979 e n. 207 del 1994 della Corte Costituzionale, è quella di evitare che il timore della soccombenza sulle spese impedisca l’esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione, fermo il limite della manifesta infondatezza e temerarietà della lite (Cass. 6 agosto 2003, n. 11880; Cass. 12 novembre 2003, n. 17061).

La ratio della disposizione è rimasta inalterata anche in seguito alla sostituzione – applicabile ai procedimenti incardinati successivamente al 2 ottobre 2003 (Cass. 1 marzo 2004, n. 4165) – introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, nonchè in seguito all’aggiunta dell’ultimo periodo disposta -con decorrenza dal 4 luglio 2009 (e, quindi, non applicabile nella specie) – dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 52.

In particolare, per effetto della suddetta sostituzione, è stato posto a carico della parte ricorrente nei giudizi per prestazioni previdenziali o assistenziali l’onere di effettuare – fin dalle conclusioni dell’atto introduttivo – un’apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante il possesso delle condizioni reddituali previste dalla norma stessa per ottenere l’esenzione dal pagamento delle spese processuali.

E’ stato, anche, previsto che la parte stessa si impegni a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente, operandosi, al riguardo, un rinvio al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 79, commi 2 e 3, e art. 88 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia).

L’interpretazione letterale e logico-finalistica della norma rende evidente che il legislatore non ha voluto prevedere alcuna rigida formula per il soddisfacimento del suddetto onere e soprattutto che si è limitato a subordinare l’esenzione esclusivamente alla tempestiva presentazione della dichiarazione suindicata, senza prevedere che, nell’ambito della dichiarazione stessa, debba essere contenuto anche l’impegno a comunicare le variazioni reddituali rilevanti.

Di ciò si trova ulteriore conferma nel fatto che il rinvio al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79 è limitato ai commi 2 e 3 di tale articolo e non riguarda, quindi, il comma 1 ove – ai fini ivi previsti, di ammissione al patrocinio a spese dello Stato – è specificamente indicato il contenuto dell’istanza, stabilito a pena di inammissibilità e comprendente anche l’impegno ad effettuare la comunicazione delle variazioni reddituali rilevanti (peraltro, per una interpretazione non formalistica del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 1, vedi, mutatis mutandis: Corte costituzionale, ordinanza n. 144 del 2004).

E’ questo un ulteriore sintomo della permanenza della originaria ratio di favorire la tutela di diritti costituzionalmente garantiti (come quelli che normalmente si fanno valere nelle controversie previdenziali o assistenziali): la nuova normativa, pur essendo diretta ad evitare e punire più efficacemente gli abusi, tuttavia, avuto riguardo anche ai peculiari connotati pubblicistici che caratterizzano le controversie in argomento, non impone all’interessalo di formulare la dichiarazione sostitutiva di certificazione in oggetto secondo uno schema rigido e predeterminato per legge, così come non gli richiede di rinnovare la suddetta dichiarazione in tutti i diversi gradi del processo: è sufficiente adempiere l’onere autocertificativo con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado salvo restando comunque, fino all’esito definitivo del processo, l’impegno di comunicare le variazioni reddituali eventualmente rilevanti (Cass. 12 maggio 2009 n. 10875;

Cass. 21 luglio 2010. n. 17197).

Resta, ovviamente, salva l’applicabilità delle sanzioni penali indicate nel D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 76 ma va anche tenuto presente che – diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello di Roma nella sentenza impugnata – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 3, il giudice procedente può sempre richiedere all’interessato – a pena della inammissibilità dell’istanza – di produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto indicato.

Ciò vale, ovviamente, anche rispetto al silenzio tenuto sulle sopravvenute variazioni reddituali rilevanti, visto che l’impegno a darne comunicazione è comunque sussistente, perchè prescritto per legge, anche se non è necessario farne esplicita menzione nella autocertificazione iniziale.

5.- In base alle suddette considerazioni non è da condividere la statuizione, contenuta nella sentenza impugnata, di condanna del G. al pagamento delle spese processuali, in considerazione della ritenuta non conformità della dichiarazione sostitutiva di certificazione -risultante fin dal ricorso introduttivo di primo grado e non contestata dall’INPS "nella lettera e nella sostanza" a quanto prescritto dall’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. 6.- Conseguentemente, il primo motivo del ricorso va rigettato e il secondo motivo deve, invece, essere accolto.

La sentenza della Corte d’appello di Roma va cassata, in relazione al motivo accolto, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, stabilendo, in considerazione della novità della questione, la compensazione tra le parti delle spese del primo grado di giudizio e del grado di appello.

La medesima ragione giustifica la compensazione anche delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo.

Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, compensa tra le parti le spese del primo grado di giudizio e del grado di appello. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *