T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 23-03-2011, n. 517 Demolizione di costruzioni abusive Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

cificato nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe, é impugnata l’ordinanza dirigenziale di demolizione di un chiosco realizzato su suolo demaniale, emessa dal Comune di Santa Flavia.

L’impugnativa è affidata alle censure di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, eccesso di potere per ingiustizia, irragionevolezza e disparità di trattamento, violazione dell’art. 3 della L. n° 241/1990, falsa applicazione della deliberazione del Consiglio comunale n° 66 del 11 settembre 1996, violazione dei principi comunitari e costituzionali che tutelano la libertà di iniziativa economica privata e del buon andamento della P.A..

Il Comune di Santa Flavia, benchè intimato, non si è costituito.

Alla pubblica udienza del 9 marzo 2011, sentito il difensore di parte ricorrente come da verbale, il ricorso è stato trattenuto per essere deciso.

Il ricorso è infondato.

Preliminarmente, va rilevato che il provvedimento impugnato, non si è limitato a disporre l’ingiunzione di sgombero del suolo di proprietà pubblica, ma ha revocato, quale atto presupposto, l’autorizzazione n° 26 del 8 giugno 2010 per l’occupazione temporanea di spazio pubblico in via Croce a Sant’Elia, già concessa al ricorrente per l’esercizio del commercio di vendita bibite e gelati confezionati mediante sistemazione di tavolini, sedie, ombrelloni e banco frigo.

La suddetta revoca non è stata impugnata dal ricorrente nè esplicitamente nè implicitamente, non essendone stato domandato l’annullamento nè in intestazione, nè in parte conclusionale del ricorso e non rinvenendosi alcuna doglianza mirata a contestare la legittimità dell’atto di ritiro.

Per converso, il ricorso appare fondato sull’erroneo assunto che il ricorrente sia "munito di autorizzazione comunale per l’occupazione del medesimo ed identico suolo pubblico su cui è stato installato il chiosco" (pag. 4, lett. b) e che "l’avvenuto rilascio in data 8/06/2010 da parte del Comune di autorizzazione per l’occupazione di suolo pubblico (seppur per la collocazione di tavoli, sedie, ombrelloni e frigo) testimonia che non sono state riscontrate ragioni ostative per detta occupazione" (pag. 7, ultimo periodo).

A ben vedere, l’occupazione temporanea era stata sì assentita, ma non per la realizzazione di interventi edilizi, ed il suddetto titolo, invocato dal ricorrente, è stato revocato in autotutela proprio per l’abusiva realizzazione del chiosco, con determinazione di ritiro ormai inoppugnabile per l’inutile decorso dei termini decadenziali.

L’omessa impugnazione della presupposta revoca dell’autorizzazione n° 26 del 8 giugno 2010 per l’occupazione temporanea di spazio pubblico determina l’inammissibilità dell’impugnativa dell’ordinanza di sgombero, quale atto dovuto, privo di profili di autonoma valutazione discrezionale, meramente esecutivo della revoca, che ha fatto cessare ogni effetto abilitativo derivante dall’autorizzazione n° 26 del 08/06/2010.

Per completezza, va osservato che il ricorso è infondato anche nel merito.

A fortiori in conseguenza della revoca, ma già ab origine, il chiosco di cui si controverte è stato illegittimamente realizzato, sia sotto il profilo dell’occupazione del suolo pubblico, che non era stata concessa a fini edificatori, sia sotto il profilo strettamente edilizio, non rinvenendosi gli elementi caratterizzanti l’opera precaria e non essendo stato rilasciato il titolo abilitativo.

La giurisprudenza ha, con orientamento consolidato, chiarito che il carattere stagionale dell’opera non ne implica, di per sé, la precarietà, dovendosi avere riguardo alla funzione che il manufatto è destinato ad assolvere, che, ove, come nel caso in esame, coincida con la realizzazione di un utile, derivante dall’esercizio dell’attività commerciale stabilmente condotta dal ricorrente, esclude che l’intervento sia diretto a soddisfare esigenze meramente temporanee, secondo l’odierna dizione dell’art. 3, comma primo, lett. e. 5) del d.P.R. n° 380/2001 (conforme Cons. Stato, Sez. V, 20 marzo 2000, n° 1507).

Anche dopo l’entrata in vigore del d.l. 25 marzo 2010, n° 40, convertito in legge 22 maggio 2010, n° 73, dev’essere confermato il principio giurisprudenziale per il quale le intrinseche caratteristiche di precarietà funzionale dell’opera vanno escluse con riguardo ad un chiosco prefabbricato per lo svolgimento di attività commerciale, in quanto esso, pur se non infisso al suolo, ma solo aderente in modo stabile, è comunque destinato ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, con conseguente alterazione del territorio, di natura non precaria, né temporanea, né irrilevante (principio rafforzato, nella specie, dalla considerazione che l’autorizzazione era stata richiesta per un periodo temporale superiore ai novanta giorni assunti quale termine massimo per individuare la contingenza delle esigenze da soddisfare, oltre il quale le opere debbano essere rimosse, in base all’art. 6, comma secondo, lett. b), del d.P.R. n° 380/2001, come novellato dal d.l. 25 marzo 2010, n° 40, convertito in legge 22 maggio 2010, n° 73).

E’ infondata la pretesa di parte ricorrente, che assumerebbe essersi formato il silenzio assenso sulla propria istanza ai sensi dell’art. 5 della L.R. n° 37/1985, sia perché il manufatto in questione non rientra in alcuna delle fattispecie contemplate dalla norma invocata, sia perché per le opere realizzate su suolo pubblico è esclusa la possibilità di formazione tacita del titolo (conforme, per tutte, Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, parere 7 maggio 2002, n° 465).

Non può accedersi all’equivoco di ritenere il provvedimento inficiato dalla mancata previsione regolamentare di aree destinate a commercio a carattere stagionale, in quanto con il provvedimento impugnato l’amministrazione comunale ha esercitato non il potere sanzionatorio per abusivo esercizio dell’attività commerciale di cui agli artt. 22 e 29 del d. lgs. n° 114/1998, bensì il potere sanzionatorio dell’abusiva realizzazione di opere edilizie su suolo di proprietà pubblica, ai sensi dell’art. 35 del d.P.R. n° 380/2001, come si evince dal testuale richiamo, nel preambolo dell’atto, agli artt. 27 e seguenti del d.P.R. n° 380/2001, alla legge n° 47/1985 e alla L.R. n° 37/1985.

Tale rilievo, unitamente all’omessa impugnazione della presupposta revoca di autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico per l’esercizio di attività commerciale, consente di sgombrare il campo dalla doglianza volta a contestare la violazione della deliberazione del Consiglio comunale n° 66 del 11 settembre 1996, nonchè la violazione dei principi comunitari e costituzionali che tutelano la libertà di iniziativa economica privata, peraltro valorizzata nell’ordinanza cautelare n° 691/2010 di questa Sezione, che va rimeditata, avuto riguardo alla natura e alla fonte del potere, non afferente all’abusivo svolgimento dell’attività commerciale (radicalmente diversa essendo la norma attributiva del potere, il d.lgs. n° 114/1998, come recepito in Sicilia con L.R. n° 28/1999, i presupposti, la disciplina e le sanzioni previste), bensì all’abusiva occupazione del demanio pubblico, sanzionata dal testo unico dell’edilizia, in funzione della salvaguardia dell’integrità della proprietà pubblica dei suoli, oltre che dell’ordinato assetto urbanistico ed edilizio del territorio, e finalizzato al ripristino dello stato di fatto preesistente all’abuso.

Ne consegue che l’ordinanza di sgombero e di demolizione dell’opera abusiva realizzata su suolo pubblico integrava un atto dovuto per il Comune, con correlativa portata non invalidante, ai sensi dell’art. 21octies della legge n° 241/1990, della mancata comunicazione di avvio del procedimento, attesa la natura vincolata dell’ordine di demolizione, alla stregua della quale appare, altresì, adeguatamente assolto l’onere motivazionale, attraverso il richiamo alle fonti normative del potere repressivo degli illeciti edilizi e la descrizione degli elementi fattuali rilevanti nel caso.

Priva di pregio appare l’ultima doglianza, con cui si lamenta una presunta disparità di trattamento, in vero del tutto indimostrata, avendo il ricorrente espressamente dichiarato di non essere a conoscenza dell’esistenza dei titoli abilitativi per i chioschi indicati, e, comunque, inidonea ad inficiare la doverosa sanzione dell’abuso edilizio, atteso che, per giurisprudenza indiscussa in materia, il principio di parità di trattamento non può essere inteso nel senso di sottrarre all’amministrazione il poteredovere di accertare gli illeciti, anche emendando precedenti errori.

Per tutte le superiori ragioni, la pretesa azionata in giudizio è infondata e il ricorso dev’essere respinto.

Nulla va disposto per le spese del giudizio, stante la mancata costituzione del Comune intimato.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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