Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-01-2011) 28-03-2011, n. 12472 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza pronunziata in data 8 luglio 2010, il Tribunale di LECCE – Sezione del riesame confermava l’ordinanza cautelare emessa dal GIP dello stesso Tribunale in data 8 maggio 2009 (eseguita in data 11 giugno 2010) con la quale era stata disposta la custodia in carcere nei confronti di M.G., quale indagato, in concorso con altri undici correi, del delitto di cui al capo Q della rubrica ex art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 80, comma 2 per avere in concorso anche con altri soggetti non identificati, con reciproca consapevolezza delle azioni da ognuno poste in essere, illecitamente introdotto in territorio italiano e detenuto, almeno kg. 700 di sostanza stupefacente, trasportati a mezzo di un natante e sbarcati presso (OMISSIS).

Ha ritenuto il Tribunale destituita di fondamento l’eccezione di inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni, a cagione dell’assoluta incertezza delle persone intervenute; della mancanza della sottoscrizione del pubblico ufficiale e della mancata identificazione dell’interprete di lingua greca che aveva provveduto alla traduzione delle conversazioni, venendo in gioco, nella specifica fattispecie, per costante giurisprudenza di legittimità, non la disposizione, a valenza generale, dettata dall’art. 142 cod. proc. pen. ma la specifica disciplina relativa alla verbalizzazione delle operazioni di intercettazione di cui all’art. 268 cod. proc. pen. ed alla loro utilizzabilità ex artt. 270 e 271 cod. proc. pen., fermo il principio di tassatività della previsione delle nullità.

La ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del prevenuto in ordine al delitto sub Q, contestatogli a titolo di concorso, era dimostrata, secondo il Tribunale, dalla lettura critica e logicamente orientata sia del complesso delle numerose conversazioni intercettate (i cui passi salienti erano testualmente riportati nell’ordinanza impugnata) intercorse,nella fase preparatoria dello sbarco dello stupefacente ed in quella successiva, tra tutti i compartecipi alla esecuzione del delitto ivi incluso il M..

In senso conforme all’accusa deponevano altresì gli accertamenti e le investigazioni eseguiti dalla Guardia di Finanza. Un velivolo del Servizio aereo aveva avvistato un natante in avvicinamento alle coste italiane in località (OMISSIS), nel territorio di Augusta, documentando le fasi dello sbarco e del successivo trasbordo del carico su di un furgone. Benchè sottoposti a controllo sulla SS. n. 14 ad ore 2,15 del 25 aprile 2007 sia tale veicolo (il cui conducente,alla vista dei militi, si era dato alla fuga) sia un’autovettura Volkswagen Beatle, condotta da V.S., nulla tuttavia era stato rinvenuto. Oltre a ciò si era acclarato che nei giorni precedenti lo sbarco avvenuto nella notte tra il (OMISSIS) erano giunti dalla (OMISSIS), D. M. ed il M. (il giorno (OMISSIS)).

Entrambi avevano preso alloggio nello stesso Hotel Nettuno di Catania unitamente a S.S. inteso T., la cui presenza a bordo del natante in viaggio per l’Italia era stata verificata grazie alle conversazioni intercettate. Ed era significativamente emerso che il M. aveva fatto rientro in Grecia a bordo del natante insieme ai due scafisti giunti nei giorni precedenti; mentre S. e M. avevano lasciato l’Italia imbarcandosi su di una nave di linea in partenza da Brindisi, il giorno 26 aprile 2007 ad ore 19.00.

Ne discendeva,a giudizio del Tribunale,che al M. doveva farsi risalire un contributo causale determinante quanto al trasporto dello stupefacente per conto dei correi, incaricati poi dell’importazione e della collocazione dello sostanza sul mercato italiano, nell’evidente presupposto dell’inserimento dello stesso in ambienti criminali di rilevante spessore grazie alla esperienza ed alla professionalità necessarie, maturate in precedenza.

Il che giustificava, in difetto peraltro di qualsivoglia atteggiamento di resipiscenza o di presa di distanza da quello stesso contesto,l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, quale unica concretamente idonea a tutelare le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c). Ricorre per cassazione l’indagato M., tramite il difensore lamentando, in primo luogo, violazioni della disciplina normativa processuale in materia di intercettazioni. I verbali delle relative operazioni sono affetti da nullità, ex art. 268 c.p.p., comma 1 e art. 142 cod. proc. pen., attesa l’assoluta incertezza sull’identità delle persone intervenute (ed in particolare dell’interprete in lingua greca che aveva provveduto alla traduzione delle conversazioni) ed attesa la mancanza della sottoscrizione del pubblico ufficiale che gli stessi verbali aveva provveduto a redigere; donde l’inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni, ex art. 271 c.p.p., comma 1.

Nè i processi verbali di inizio e di fine delle operazioni, effettivamente sottoscritti, possono fungere da equipollenti rispetto ai processi verbali di cui all’art. 268 c.p.p., comma 1 e tantomeno possono valere a sanare le eccepite nullità dovendo procedersi, secondo la giurisprudenza di legittimità, alla verbalizzazione delle operazioni relative alla registrazione delle conversazioni intercettate, pena la loro inutilizzabilità.

Articola, in secondo luogo, il ricorrente censure di carenza ed illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 273 c.p.p..

Il fatto che, pur avendo la P.G. provveduto a monitorare tutta l’operazione fin dai suoi prodromi più remoti e pur essendo avvenuto il trasporto e lo sbarco del presunto stupefacente sotto il controllo degli inquirenti, non sia stato possibile giungere al rinvenimento dello stupefacente trasportato sul furgone subito dopo il presunto sbarco, avrebbe dovuto indurre a ritenere più plausibilmente che le conversazioni intercettate si riferissero ad altre importazioni ovvero che costituissero la prova di una mera simulazione volta a saggiare la serietà dei controlli della P.G. A tanto neppure ha accennato la motivazione dell’ordinanza impugnata. Significato sostanzialmente equivoco doveva esser attribuito alle conversazioni successive all’asserita importazione.

Sotto il profilo poi della prova specifica, del tutto carenti risultano le argomentazioni utilizzate dal Tribunale (limitatosi a parafrasare passi dell’ordinanza cautelare) a dimostrazione degli indizi da cui era attinto il M. che, presente alcuni giorni prima nell’hotel (OMISSIS), non aveva fatto uso di alcuna utenza telefonica intercettata, a lui stesso riconducibile e che non era stato veduto, nel corso delle operazioni di osservazione e controllo della P.G., incontrarsi con altri soggetti coinvolti nello stesso episodio. A suo carico milita solo la mera presunzione che il nominativo di " G.", riportato in talune conversazioni intercettate, sia a lui attribuibile, senza che ne sia stata data plausibile spiegazione.

Il ricorso non può che esser giudicato inammissibile, sul presupposto, da un lato, della manifesta infondatezza e, dall’altro, della deduzione di censure non consentite in sede di legittimità perchè intese a prospettare una ricostruzione dei fatti, difforme da quella ritenuta nel provvedimento impugnato. Quanto al primo motivo di ricorso,del tutto condivisibili appaiono le argomentazioni in diritto alla cui stregua il Tribunale ha ritenuto di respingere le preliminari eccezioni di nullità inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, in ossequio a quanto statuito da questa Corte sez. 6 con sentenza n. 24141 del 4 giugno 2008 – dep. 13 giugno 2008 – imp. El Arbaoui che, fermo il principio di tassatività, ha escluso l’inutilizzabilità delle intercettazioni in caso di mancata indicazione nel relativo verbale di cui all’art. 271 c.p.p., comma 1 in relazione all’art. 268 c.p.p., comma 1, del nominativo dell’interprete, non rientrando la traduzione tra le operazioni di cui all’art. 89 disp. att. cod. proc. pen.. Trattasi invero di incombente successivo alla captazione delle conversazioni. Peraltro le sommarie trascrizioni delle stesse eseguite, dalla lingua straniera, grazie all’interprete, anche in deroga agli artt. 143 e segg. cod. proc. pen., possono esser pacificamente utilizzate agli effetti del disposto dell’art. 273 c.p.p., comma 1, secondo prevalente e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez 1 n. 7406 del 2002; Sez. 1 n. 1495 del 1998;

Sez. 4 n. 49306 del 2004) del pari condivisibile e citata dal Tribunale. Poichè peraltro l’indagato aveva contestato nel merito il contenuto delle stesse conversazioni intercettate (risultante dalla eseguita traduzione) assumendo l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico, non potevano sorgere dubbi sulla correttezza ed affidabilità sostanziale della traduzione dalla lingua greca che è la lingua madre del M.. Questa stessa considerazione recepisce invero l’isolata pronunzia contraria emessa da Sez. 1 n. 12954 in data 29 gennaio 2008, giudicando irrilevante, nell’ambito di un procedimento a carico di cittadini di nazionalità cinese, l’irregolarità de qua, ove le intercettazioni siano avvenute nella lingua madre dell’imputato e questi non ne abbia contestato il contenuto. Ne discende quindi la manifesta infondatezza della proposta censura. Con il secondo motivo di ricorso, il difensore dell’indagato confuta, in termini generici, la motivazione dell’ordinanza impugnata ed intende, in buona sostanza, prospettare una lettura "alternativa" dei gravi indizi di colpevolezza presi in esame dal Tribunale. Contrariamente a quanto obiettato dal ricorrente, i Giudici del riesame hanno chiarito, con argomentazioni congrue e puntuali, che il coinvolgimento del M. nel reato ascrittogli era sufficientemente dimostrata dal contenuto di plurime, univoche ed eloquenti intercettazioni di conversazioni telefoniche intercorse sia prima che dopo l’operazione di sbarco (opportunamente monitorata da velivolo della Guardia di Finanza, come precisato in narrativa) pur in difetto di sequestro dello stupefacente. Dal complesso di tali elementi (ivi incluse le conversazioni il cui contenuto risulta testualmente riprodotto nel corpo del provvedimento impugnato), valutati in sinergia tra loro, si traeva legittima conferma della fondatezza delle prospettazioni dell’accusa in ordine alla accurata preparazione dell’operazione di sbarco dello stupefacente, da importare in Italia ed all’effettiva esecuzione dello stesso nella notte tra il (OMISSIS) in quel tratto di costa siciliana opportunamente controllata dalla Guardia di Finanza.

Mette conto in particolare evidenziare il contenuto della conversazione n. 240 – ore 23,46 del 24 aprile 2007 effettuata con il telefono di M.D. ( D.) ed intercorsa tra l’indagato e lo scafista nel corso della quale venivano rappresentati problemi di profondità del tratto di costa in cui il natante avrebbe dovuto approdare, in rapporto al pescaggio dei motori e dello scafo stesso, sì da indurre lo scafista a richiedere l’intervento di altra barca: il tutto ovviamente a comprova delle fasi e delle modalità esecutive del programmato sbarco. Logica impone di ritenere, al di là delle obiezioni di equivocità delle risultanze stesse, sollevate in ricorso, che, da un lato, il M. sia stato ben consapevole di coadiuvare i correi onde agevolarli nella riuscita della complessa operazione per poi ricondurre velocemente il natante in (OMISSIS), impedendone il rintraccio ed il sequestro ad opera della P.G. e che, dall’altro, non sia possibile ipotizzare trattarsi di "operazioni solo simulate" vista la obiettiva complessità degli inconvenienti da risolvere e dei rischi affrontati.

Nè, come congruamente motivato dal Tribunale, alla stregua della lettura critica e sistematica delle diverse conversazioni intercettate oltrechè delle ulteriori risultanze, ad altri che al M. poteva riferirsi il nominativo di " G." (che peraltro gli appartiene effettivamente). L’indagato infatti era giunto, per la bisogna, il 20 aprile 2007 con i voli Atene – Roma Fiumicino – Catania, con arrivo ad ore 10,05. Nella stessa serata, aveva preso alloggio presso l’Hotel Nettuno, di Catania, a seguito di prenotazione della camera effettuata al suo arrivo,a suo nome, da M., che già alloggiava nello stesso albergo fin dal 18 aprile 2007. Il G. era nominato, con cadenza ricorrente, nelle diverse conversazioni intercettate, stante il coinvolgimento, negli stessi fatti, di altri correi – in particolare – M. D. ed i due scafisti, del pari identificati che allo stesso facevano riferimento.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

Seguono altresì gli adempimenti previsti dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa per le ammende.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 – ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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