.Cons. Stato Sez. V, Sent., 24-03-2011, n. 1806 Infermità per causa di servizio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto notificato il 25 marzo 2004 e depositato il 23 aprile seguente i signori E.A. e gli altri elencati in epigrafe, dipendenti o ex dipendenti del Comune di Pompei titolari di rendite vitalizie erogate per infermità contratte a causa di servizio anteriormente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 268 del 1987, o loro aventi causa, hanno appellato la sentenza 21 ottobre 2003 n. 12991 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione quinta, con la quale è stato respinto il loro ricorso avverso la deliberazione 30 giugno 1994 n. 6 del Consiglio comunale di Pompei, di annullamento in sede di autotutela di tutte le deliberazioni giuntali attributive della rendita in loro favore, nonché gli atti connessi.

A sostegno dell’appello hanno dedotto:

1.- Omessa pronuncia su un punto essenziale della controversia, violazione e falsa applicazione dell’art. 66 del d.P.R. n. 268/87, dell’art. 11 del d.P.R. n. 191/79 e dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, efficacia della legge nel tempo, principio della irretroattività della legge e dei regolamenti, eccesso di potere.

2.- Omessa pronuncia su un punto essenziale della controversia, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 del d.P.R. 1124/65 in relazione all’art. 152 del CCNL ANCISindacati del 05.03.1974 e dell’art. 11 del d.P.R. 191/79, falsa applicazione dell’art. 66 del d.P.R. 268/87, violazione del principio tempus regit actum e dell’inviolabilità dei diritti quesiti, eccesso di potere, illogicità manifesta, carenza di motivazione.

3.- Violazione o falsa applicazione degli artt. 32 e 35 L. 142/90, violazione del principio del contrarius actus incompetenza, vizio del procedimento, incompetenza funzionale.

4.- Violazione dell’art. 2909 c.c., violazione del giudicato.

Con atto non notificato depositato il 14 settembre 2009 l’appellante signor A.P. ha dichiarato di non aver più interesse a coltivare il giudizio e, perciò, di rinunziare all’appello.

Con memoria del 22 novembre 2010 gli appellanti hanno insistito per l’accoglimento dell’appello.

Il Comune di Pompei, già costituito in giudizio in data 16 novembre 2004, ha svolto controdeduzioni pure con memoria anch’essa del 22 novembre 2010.

All’odierna udienza pubblica entrambe le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi e richieste.

Ciò posto, va preliminarmente dichiarata l’improcedibilità dell’appello con riguardo all’appellante signor A.P., il quale, come precisato innanzi, dichiarato di rinunciarvi appunto per il venir meno del proprio interesse a coltivare il giudizio, sia pure con atto informale.

Nel merito, non possono essere condivisi i primi due motivi di gravame, in estrema sintesi intesi a ribadire la tesi, disattesa dal primo giudice, secondo cui le rendite in parola sarebbero state abolite solo con l’art. 66 del d.P.R. 13 maggio 1987 n. 268, del quale non può farsi applicazione retroattiva, ossia nei riguardi delle rendite già richieste concesse all’atto della sua entrata in vigore.

Tale tesi si scontra contro l’indirizzo interpretativo dell’art. 11 del d.P.R. 1° giugno 1979 n. 191 espresso dalla Sezione ed ancor oggi condiviso dal Collegio.

In particolare, è stato affermato che tale articolo prevedeva al co. 3 unicamente l’erogazione – secondo la disciplina dettata per i dipendenti statali dall’art. 68 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 e dal relativo regolamento approvato col d.P.R. 3 maggio 1957 n. 686 – dell’equo indennizzo in favore dei dipendenti degli enti locali non assicurati all’INAIL. Il primo comma, che stabiliva la liquidazione da parte degli enti locali di una rendita vitalizia nella misura stabilita dalla legislazione relativa all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, non era riferibile indistintamente a tutti i dipendenti per i quali fosse stata accertata un’infermità contratta per causa di servizio, ma esclusivamente a coloro per i quali gli enti di appartenenza non avessero ottemperato all’obbligo dell’assicurazione all’I.N.A.I.L., in considerazione dei rischi connessi alle mansioni svolte. E ciò nei soli casi in cui dall’infortunio sul lavoro o dalla malattia contratta per causa di servizio derivasse una permanente invalidità parziale o totale. Si è ritenuto, di conseguenza, che il detto art. 11 disciplinasse ipotesi diverse: al co. 1 il sistema previdenziale per i lavoratori per i quali sussiste l’obbligo dell’assicurazione all’I.N.A.I.L.; al co. 3 il sistema previdenziale per i lavoratori per i quali tale obbligo non sussiste, concludendosi nel senso dell’esclusione che dal ripetuto art. 11 conseguisse per gli enti locali la competenza all’attribuzione di rendite vitalizie per tutti i propri dipendenti indistintamente, ove colpiti da infermità contratte per causa di servizio (cfr. Cons. St., Sez. V, 4 aprile 2006 n. 1882).

Giova inoltre sottolineare come, in ragione di quanto esposto, non sia sostenibile che l’abolizione delle rendite di cui trattasi sia avvenuta soltanto con l’art. 66 del d.P.R. 13 maggio 1987 n. 268, che al co. 1 ha esplicitamente abrogato le norme in materia.

Tale norma ha evidentemente carattere interpretativo dell’art. 11 del d.P.R. n. 191 del 1979, non già innovativo, e la cui ratio si spiega col fatto che l’art. 11 era stato oggetto di discordanti interpretazioni da parte sia delle amministrazioni sia della giurisprudenza, sicché si era manifestata la necessità di una disposizione che esplicitasse l’impossibilità per gli enti locali di attribuire ai propri dipendenti non iscritti all’I.N.A.I.L. indennizzi sotto forma di rendite vitalizie (cfr. sulla questione, Cons. St., Sez. V, 1° aprile 1999 n. 354, 31 gennaio 2001 n. 350, 8 maggio 2002 n. 2454, 3 luglio 2003 n. 3969, oltre alla cit. n. 1882 del 2006).

Ne deriva che, nella specie, fin dall’entrata in vigore dello stesso d.P.R. n. 191 del 1979 era chiaramente illegittima la liquidazione di rendite vitalizie in favore di personale nei cui confronti non sussisteva obbligo di assicurazione all’I.N.A.I.L., quali devono ritenersi i ricorrenti in mancanza di deduzioni in senso contrario; con l’ulteriore conseguenza dell’infondatezza, come preannunciato, dei primi due mezzi d’appello.

E’ invece fondato il mezzo seguente, di incompetenza del Consiglio comunale a decidere direttamente l’annullamento in sede di autotutela delle deliberazioni attributive delle rendite in parola non solo proprie, ma pure della Giunta municipale, quali quelle emesse in favore degli attuali appellanti.

Non v’è dubbio, infatti, come il principio del contrarius actus imponesse che l’annullamento fosse disposto dalla stessa Giunta, non trattandosi – diversamente da quanto ritenuto dal TAR – di mero apprezzamento in termini generali ed astratti della disciplina regolante la materia, inquadrabile in senso lato nella sfera di competenza consiliare in materia regolamentare, bensì, come già detto, di annullamento d’ufficio di singoli provvedimenti giuntali elencati dettagliamente, incidente in concreto sulle posizioni di determinati dipendenti.

In altri termini, va escluso che in tal modo il Consiglio comunale abbia esercitato le proprie competenze di indirizzo e controllo politicoamministrativo mediante adozione di atti fondamentali, quali i regolamenti, ai sensi dell’art. 32 della legge 8 giugno 1990 n. 142 (all’epoca vigente), come sarebbe stato, ad esempio, nel caso in cui si fosse limitato ad affermare il principio di diritto della non spettanza delle rendite vitalizie liquidate dal 1979, fornendo alla Giunta comunale l’indirizzo di procedere alla rimozione dei relativi atti concessivi ed all’eventuale determinazione dell’equo indennizzo, da compensare con le somme già erogate (cfr. in tale fattispecie, la già richiamata dec. n. 1882/2006 della Sez. V).

In conclusione, assorbita ogni altra doglianza non trattata, in accoglimento dell’appello la sentenza appellata dev’essere riformata nel senso dell’accoglimento per quanto di ragione del ricorso di primo grado, con conseguente annullamento della deliberazione 30 giugno 1994 n. 6 del Consiglio comunale di Pompei in parte qua, ossia nei limiti dell’interesse degli attuali appellanti (escluso il rinunziante signor Palomba), salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Tuttavia, tenuto conto dell’esito complessivo della controversia, si ravvisano ragioni affinché possa essere disposta la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, dichiara improcedibile l’appello nei riguardi dell’appellante A.P., lo accoglie nei riguardi dei restanti appellanti e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata accoglie per quanto di ragione il ricorso di primo grado ed annulla in parte qua l’impugnata deliberazione consiliare, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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