Cass. civ. Sez. V, Sent., 17-06-2011, n. 13321 Accertamento Riscossione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’agenzia delle entrate ricorre per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia, n. 90/11/05, depositata il 29 settembre 2005, con la quale fu confermata la decisione di primo grado, della commissione provinciale di Bari, di accoglimento di due ricorsi della s.n.c. f.lli Mastrorilli (ora in liquidazione) contro altrettanti avvisi di rettifica delle dichiarazioni annuali redatte ai fini Iva, per gli anni 1989 e 1990.

L’impugnata sentenza, invero, ha ritenuto che nella fattispecie l’ufficio Iva aveva fatto propri i rilievi svolti dall’ufficio imposte dirette in separati atti, senza procedere ad alcuna autonoma valutazione critica. Ha quindi evocato il divieto di procedere con utilizzo di presunzioni di secondo grado.

La società intimata, cui il ricorso è stato ritualmente notificato, non ha svolto difese.
Motivi della decisione

1. – La ricorrente svolge due motivi, rispettivamente denunzianti:

(a) violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 56, nonchè dei principi generali sulla motivazione dell’atto impositivo, per avere la commissione regionale erroneamente ritenuto illegittimo l’accertamento in quanto fondato sulla ricezione acritica di argomentazioni di altro ufficio; (b) violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c., oltre che vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) per avere il giudice di merito apoditticamente ritenuto integrata la violazione del divieto di doppia presunzione, omettendo di esaminare i fatti determinativi della pretesa fiscale.

2. – I due motivi, suscettibili di unitaria trattazione in quanto evidentemente connessi, sono fondati.

La sentenza impugnata si è basata sulla affermazione che "in tema di accertamento presuntivo ai fini Iva, deve ritenersi illegittimo l’atto impositivo che recepisce acriticamente le argomentazioni contenute in un accertamento dell’ufficio imposte dirette in quanto l’ufficio accertatore al fine di giustificare il potere di rettifica, e di non tenere conto della contabilità del contribuente, ha il dovere di svolgere anch’esso delle indagini autonome, e di indicare negli avvisi di accertamento, a pena di nullità, gli errori, le omissioni su cui è fondata la rettifica e gli elementi probatori".

Al ritenuto fine di dare maggiore forza persuasiva al rilievo, ha aggiunto che "va ricordato, infatti, il divieto di derivare presunzioni da altre presunzioni (praesumptum de praesumpto)".

In tal modo, tuttavia, il giudice d’appello ha completamente omesso di fornire la valutazione di merito in ordine alla specifica consistenza degli elementi riportati, seppure per relationem, negli avvisi medesimi, essendosi limitato a mere petizioni di principio, oltre tutto, per quanto attinenti al divieto di presunzioni di secondo grado, non direttamente pertinenti.

3. – E’ rilievo essenziale che gli atti impositivi di cui trattasi risultano notificati nell’anno 1995.

In base al testo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, in vigore pro tempore, la motivazione afferente era regolata: a) per la parte speciale, desumibile dalla legge sull’Iva, dal D.P.R. n. 633 del 1973, art. 56, comma 1, secondo cui "Le rettifiche e gli accertamenti sono notificati ai contribuenti, mediante avvisi motivati (..)", con esplicitazione in modo dunque solo generico dell’obbligo di motivazione; b) dalla intervenuta disciplina generale dell’azione amministrativa, che, in quanto non contrastante con la normativa speciale, poteva già allora essere utilizzata per colmarne le lacune; disciplina contenuta, per quanto qui interessa, nella L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3, regolativo della motivazione per relationem, nel senso che "Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama" (cfr. per utili riferimenti Cass. n. 18117/2004; n. 4989/2003). A sua volta, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, prescriveva, al comma 2, che negli avvisi relativi alle rettifiche di cui all’art. 54 dovessero essere indicati specificamente, a pena di nullità, "gli errori, le omissioni e le false e inesatte indicazioni (..) e i relativi elementi probatori";

nonchè, al comma 3, che negli avvisi relativi agli accertamenti induttivi fossero indicati, a pena di nullità, per quanto di interesse, "le ragioni per cui sono state ritenute applicabili le disposizioni del primo e dell’art. 55, comma 2".

Siffatti "elementi probatori" e siffatte "ragioni" ben potevano essere desunti, pertanto, dai dati riportati in accertamenti di organi terzi, appositamente richiamati per relationem. Mentre, alla luce del principio da questa Corte più volte affermato, secondo il quale quello tributario è un processo a cognizione piena, tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso (per tutte Cass. n. 21446/2009), non poteva il giudice di merito esimersi dal considerare espressamente, dandone atto nella motivazione, quali fossero – e quale consistenza avessero – gli elementi di prova enucleati all’esito della verifica eseguita a monte.

4. – Consegue che l’impugnata sentenza è viziata sotto entrambi i profili denunciati.

Essa va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della medesima commissione regionale, la quale provvedere a eseguire la richiesta valutazione degli elementi di prova in applicazione del seguente consolidato principio di diritto: "In tema di motivazione degli atti impositivi tributari riguardanti l’Iva, il regime delineato dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, comma 1, e dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3, artt. 22 segg., anteriormente all’entrata in vigore della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e alla modifica recata al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 2 (essendo la fattispecie relativa al 1995), comporta che il giudice debba accertare (a) se l’atto notificato sia dotato di motivazione diretta, o autonoma, ovvero di motivazione indiretta, o per relationem; (b) in tale secondo caso, che sia indicato l’atto o il documento cui si rinvia per l’integrazione della motivazione, e che se ne sia assicurato l’accesso ai sensi L. n. 241 del 1990, art. 22, anche nell’ipotesi in cui l’atto o il documento fosse già stato altrimenti reso conoscibile al contribuente".

Il giudizio di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Puglia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *