Cons. Stato Sez. V, Sent., 24-03-2011, n. 1787 Mansioni e funzioni Passaggio ad altra amministrazione Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Gli appellanti in epigrafe nel 1996 con separati ricorsi adivano, unitamente ad altri colleghi, il T.A.R. per la Calabria, deducendo di essere transitati dalle dipendenze della Provincia di Catanzaro alla neo istituita Provincia di Vibo Valentia, dove continuavano a svolgere da vari anni mansioni superiori a quelle proprie delle qualifiche di formale appartenenza, sulla scorta di provvedimenti formali di incarico. Richiedevano pertanto che il Tribunale accertasse il loro diritto a conseguire le differenze retributive riflettenti le più elevate mansioni espletate, in forza degli artt. 36 della Costituzione e 21032126 del Codice civile, con la conseguente condanna delle Amministrazioni provinciali intimate a farsi carico dei relativi pagamenti.

Il Tribunale adito con la sentenza n. 224 del 4\2\1998, riuniti i nove ricorsi individuali, li respingeva, sul rilievo della non remunerabilità di principio delle mansioni superiori, compensando le spese processuali.

Avverso tale pronuncia insorgevano quindi in appello i sigg.ri A., C., F., G. e S., chiedendone la riforma e, per l’effetto, il riconoscimento delle loro pretese.

Gli appellanti insistevano, anche con l’ausilio di una successiva memoria, sull’applicabilità anche nell’ambito del pubblico impiego del principio di adeguatezza della retribuzione posto dall’art. 36 della Costituzione, ed invocavano a conforto delle loro domande la giurisprudenza più recente, amministrativa e soprattutto costituzionale e di legittimità. In particolare, gli appellanti assumevano che una eventuale esclusione, operata in via legislativa o regolamentare, della remunerabilità delle mansioni superiori nell’area dell’impiego locale si risolverebbe inevitabilmente in un contrasto della ipotetica norma escludente con l’art. 36 della Carta e, quindi, nell’illegittimità della prima; richiamavano le previsioni degli artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29\1993 (anche con le modifiche operatene dal d.lgs. n. 80\1998), ricordando pure l’abrogazione del secondo ad opera del successivo art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998; richiedevano infine, in via subordinata, che venisse sollevata una questione di legittimità costituzionale per violazione, da parte delle ipotetiche norme ostative all’accoglimento della loro domanda, dell’art. 36 della Carta.

I sigg.ri S., Figliuzzi e Grillo, con successiva memoria, argomentavano anche in via autonoma a sostegno della fondatezza del ricorso d’appello e concludevano perché lo stesso venisse accolto.

Resisteva all’impugnativa la Provincia di Catanzaro, che attraverso due articolate memorie ne deduceva l’infondatezza e concludeva per la sua reiezione, con la conferma della sentenza appellata.

Alla pubblica udienza del 15 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’appello è infondato.

1 La giurisprudenza consolidata di questo Consiglio è orientata ormai stabilmente in senso non favorevole all’accoglimento delle istanze del personale al riconoscimento delle differenze retributive legate allo svolgimento di mansioni superiori.

Viene infatti costantemente affermato (cfr. la recente decisione n. 3314\2010 della Sezione, dalla quale si traggono i passaggi che qui di seguito si riportano):

"a) a meno che non via sia una specifica disposizione di legge che disponga altrimenti, lo svolgimento in via di mero fatto di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente, rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, costituisce circostanza irrilevante, oltre che ai fini della progressione in carriera, anche ai fini economici, non essendo sotto tale aspetto il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato, sia perché gli interessi pubblici coinvolti sono di natura indisponibile, sia, comunque, perché l’attribuzione di mansioni superiori e del correlativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di inquadramento.(cfr., tra le tante, Sez. VI, 8.1.2003, n. 17; 19.9.2000, n. 4871; 22.8.2000, n. 4553; 11.7.2000, n. 3882; Ad. Pl. 23.2.2000 n. 11);

b) la domanda volta ad ottenere una retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile non può essere basata sull’art. 36 Cost., che afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato; tale norma, infatti, non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall’art. 98 Cost. (che, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall’art. 97 Cost., contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari (cfr. Sez. VI, 19.9.2000, n. 4871; Sez. VI, 11.7.2000, n. 3882; Sez. VI, 15.5. 2000, n. 2785; Ad. Plen. 18.11.1999, n. 22);

c) per effetto degli artt. 51 e 97 Cost. le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico non possono essere oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (cfr. Sez. VI, 8.1.2003, n. 17; 19.9.2000, n. 4871; Sez. VI, 11.7. 2000, n. 3882; Ad Pl. 23.2.2000, n. 11);

d) il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti va riconosciuto con carattere di generalità soltanto a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lgs. 29.10.1998, n. 387, che con l’art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina dell’art. 56 D.lgs. 3.2.1993 n. 29, atteso che, prima di tale data, nel settore del pubblico impiego, salvo diversa disposizione di legge, le mansioni svolte da un pubblico dipendente erano del tutto irrilevanti ai fini della progressione di carriera ovvero agli effetti economici di un provvedimento di preposizione ad un ufficio di livello superiore (cfr., tra le tante, Cons. St., Ad. Plen. 23.2.2000, n. 11; Sez. VI 8.1.2003, n. 17; 27.11.2001, n. 5858; 7.5.2001, n. 2520).

Il Collegio non ignora che in senso favorevole al dipendente pubblico si è recentemente orientata la sentenza Cass. S. U. n. 25837 dell’11.12.2007, che ha espresso il seguente principio di diritto "in materia di pubblico impiego – come si evince anche dalla lettura del D.Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, art. 56, comma 6, (nel testo sostituito dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 25, così come successivamente modificato dal D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387, art. 15) – l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori, anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento, ha diritto, in conformità della giurisprudenza della Corte Costituzionale, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost.. Norma questa che deve, quindi, trovare integrale applicazione – senza sbarramenti temporali di alcun genere – pure nel settore del pubblico impiego privatizzato, sempre che le superiori mansioni assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che in relazione all’attività spiegata siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni.

Peraltro, pur in presenza di detto diverso indirizzo della Cassazione favorevole a riconoscere natura retroattiva alla modifica di cui al D. L.vo. n. 387/1998, questo Collegio (in adesione alla decisione sez. VI n. 4346 dell’11.9.2008) non ritiene di doversi discostare dal pacifico orientamento del Consiglio di Stato, secondo cui il diritto del dipendente pubblico alle differenze retributive spettanti per lo svolgimento di mansioni superiori può essere riconosciuto in via generale solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del D. L.vo n. 387/1998 (22 novembre 1998), in quanto detto Decreto possiede evidente carattere innovativo rispetto alla normativa precedente e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse (v., da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 3/2006).

Per il periodo antecedente il 30 giugno 1998, cui si riferisce la presente controversia, non può, quindi, essere riconosciuto il diritto alle predette differenze retributive (Cons. St., V, n. 2740 del 29 aprile 2009" (C.d.S., V, n. 3314 cit.).

2 Sul tema della disciplina dettata dagli articoli 5657 del d.lgs. n. 29\1993, sul quale gli appellanti insistono particolarmente, merita però di essere più ampiamente ricordato il puntuale insegnamento dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (n. 10 del 2000).

"Ora, non sfugge al Collegio che la cd. privatizzazione del pubblico impiego operata dal decreto n. 29/1993 abbia costituito una riforma radicale (non una semplice correzione di aspetti secondari), destinata perciò ad investire la forma precedente nei suoi principi direttivi.

Senonché una modifica ab imis di un istituto complesso postula quasi sempre un’attuazione graduale, con la conseguenza che alcuni tratti della riforma (come la disciplina delle mansioni superiori), elaborati sul fondamento di una pronta effettività del rinnovato assetto, mancando questa, debbano poi essere differiti, potendo altrimenti innescare risultati non voluti. Ciò spinge il legislatore ad ulteriori interventi: le modifiche al d.lgs. n. 29 sono state singolarmente numerose e denotano le difficoltà emerse, sul piano pratico, per inquadrare la realtà fattuale nel nuovo orizzonte normativo.

E’ agevole comprendere, pertanto, come il legislatore, dopo aver introdotto all’art. 57 del d.lgs. n. 29 una disciplina generale del conferimento di mansioni (immediatamente) superiori, valida per tutte le amministrazioni pubbliche – quale fenomeno eccezionale e temporaneo (limitato a tre mesi e rinnovabile per eguale periodo, ma con conferimento ad altro dipendente) – ne abbia subito rinviato l’applicazione, subordinandola all’emanazione, in ciascuna amministrazione, dei provvedimenti di ridefinizione delle strutture organizzative. Ed ha, poi, rinnovato più volte la proroga sino all’abrogazione della norma.

Di fronte agli espliciti interventi del legislatore per differire l’attuazione della puntuale (e, tutto sommato, limitativa) disciplina delle mansioni superiori recata dall’art. 57, protrattisi sino alla sua caducazione, è arbitrario scorgere in esso l’espressione di un principio generale di più ampia portata e ritenerlo applicabile – in aperto conflitto con la contraria volontà espressa dal legislatore con i ripetuti rinvii – a far tempo dalla sua emanazione o, perfino, da data anteriore.

Attualmente la materia è disciplinata dall’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 (nel testo sostituito con l’art. 25 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80), che ha regolamentato (ben può dirsi ex novo, per la significativa apertura nei confronti del mansionismo) l’istituto dell’attribuzione temporanea di funzioni superiori nell’ambito del pubblico impiego. E’ prova eloquente del mutato atteggiamento del legislatore l’affermazione, per la prima volta rinvenibile in un testo normativo di portata generale per il pubblico impiego, che al lavoratore spetta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore anche nel caso di assegnazione nulla per violazione delle condizioni ivi previste (art. 56 citato, quinto comma).

Anche questa volta l’operatività della norma è stata rinviata. Il sesto comma dell’art. 56 stabiliva, infatti, che "le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita… Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore.

Ma in seguito l’art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 ha soppresso le parole "a differenze retributive o". Con tale ultimo intervento il legislatore ha manifestato la volontà – non è possibile attribuire altro significato alla modifica – di rendere anticipatamente operativa la disciplina dell’art. 56, almeno con riguardo al diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore.

Tale diritto, pertanto, va riconosciuto con carattere di generalità a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998.

E poiché, ad avviso del Collegio, il riconoscimento legislativo del diritto in questione, nei termini appena precisati, possiede un evidente carattere innovativo e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse, esso non può trovare applicazione nei confronti dei ricorrenti, in quanto è posteriore all’ambito temporale oggetto della presente vertenza." (C.d.S., A.Pl. n. 10 del 2000).

3 Per quanto precede, l’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, nel testo modificato dall’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, con riguardo al periodo precedente l’entrata in vigore di quest’ultimo, non consente che lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica formalmente ricoperta comporti il pagamento delle differenze retributive eventualmente pretese dal pubblico dipendente.

Né una simile previsione potrebbe essere reputata incostituzionale, come invece opinano gli appellanti manifestando dubbi di compatibilità con la Carta che si rivelano manifestamente infondati.

La pregressa disciplina tendeva soltanto – in maniera razionale, in assenza di un compiuto quadro di regolamentazione dell’istituto ed in vista dell’equo contemperamento dei principi costituzionali- ad evitare che le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico potessero, nel pubblico impiego, essere oggetto di libere determinazioni da parte dei funzionari (Cons. Stato, sez. VI, 8 gennaio 2003, n. 17, 19 settembre 2000, n. 4871, e 11 luglio 2000, n. 3882; Ad. Plen., n. 11/2000 e n. 3\2006; V, n. 644 del 2007).

D’altra parte, sotto l’aspetto dello svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente, il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, in quanto nell’ambito del rapporto di pubblico impiego concorrono, con l’art. 36 della Costituzione (il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato), altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall’art. 98 (il quale, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall’art. 97 della Carta, contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari (C.d.S., Ad.Pl., n. 3 del 2006 e n. 22 del 1999; VI, n. 6734 del 2005; n. 4871 del 2000; n. 3882 del 2000 e n. 2785 del 2000; V, n. 644 del 2007).

4 L’appello in epigrafe deve pertanto essere respinto, siccome infondato.

Si ravvisano, tuttavia, ragioni tali da giustificare la compensazione delle spese processuali tra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe,

lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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