Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-12-2010) 28-03-2011, n. 12664 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- M.A. ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze del 25 settembre 2009, che aveva affermato la sua penale responsabilità per il delitto di tentativo di interferenza nella vita privata di P.F., nella cui camera da letto aveva installato, nell’esercizio abusivo di attività investigativa e su incarico conferitogli da L.C., già convivente della predetta (ma la convivenza era in crisi ed i due vivevano ormai separati) – una telecamera puntata sul letto, al fine di monitorarne il comportamento notturno; il reato non aveva conseguito il risultato sperato perchè la vittima si era accorta presto della telecamera, maldestramente occultata. Il ricorrente deduce. a) difetto di motivazione sul dolo, a suo avviso insussistente perchè aveva ritenuto in buona fede che in quell’appartamento lo stesso L. dimorasse;

b) errata valutazione del fatto, a suo avviso essendo la condotta realizzata palesemente inidonea al conseguimento dello scopo illecito perseguito;

c) difetto di motivazione sulla determinazione della pena, irrogata a suo avviso in misura eccessiva.

2.- Il ricorso è destituito di fondamento.

Ai fini della qualificazione giuridica della condotta infatti, come del resto aveva ben chiarito la sentenza impugnata, non rileva se il L. talvolta dimorasse o meno a sua volta nell’appartamento ove invece dimorava la signora P., o ne fosse proprietario, atteso che il reato previsto dall’art. 615 bis cod. pen. consiste nel procurarsi indebitamente, con l’uso di strumenti di ripresa visiva (come nel caso di specie), immagini attinenti alla vita privata che si svolge in luogo di privata dimora, e non v’è dubbio alcuno che tale doveva considerarsi l’appartamento ove la signora P. dimorava e pernottava abitualmente, come lo stesso ricorrente riconosce. Del resto quale fosse lo scopo delle videoriprese era stato chiarito dalla sentenza impugnata, e sostanzialmente lo stesso ricorrente lo riconosce: si trattava di verificare se la donna intrattenesse rapporti con altri uomini, e tale intento era stato apertamente palesato dal L. all’agenzia investigativa – con la quale l’imputato collaborava – cui s’era rivolto.

Quanto all’asserita inidoneità del tentativo, la sentenza impugnata dà specificamente conto di come l’apparecchio da ripresa e registrazione fosse stato installato sull’armadio, in modo da inquadrare il letto matrimoniale, all’insaputa e contro la volontà di chi aveva diritto a proteggere la propria dimora e la propria vita privata da intrusioni, e certamente non vale ad escludere il tentativo la circostanza che la signora P. si fosse accorta della telecamera, che tuttavia aveva funzionato per pochi minuti; ciò stesso vale a dimostrare come la condotta fosse del tutto idonea al raggiungimento dello scopo illecito.

Quanto alla censura concernente la quantificazione della pena, la motivazione della sentenza impugnata, che va integrata con quella di primo grado, da adeguata contezza in ordine ai criteri della sua determinazione, e per ciò stesso il riesame in fatto sul punto in questa sede di legittimità è precluso. Il ricorso va pertanto rigettato, ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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