Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-12-2010) 28-03-2011, n. 12399

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Santambrogio M.G., che si è riportato ai motivi di ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza 20/2/2009, confermava la decisione 22/11/2005 del Tribunale di Palmi che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato B. S. colpevole del reato di cui all’art. 385 c.p., comma 3 – per essersi allontanato arbitrariamente, in data 5/4/2004, dal luogo di restrizione domiciliare – e lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione.

2- Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l’imputato, deducendo la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in ordine al formulato giudizio di responsabilità:

l’addebito contestatogli era privo di consistenza, essendosi egli trattenuto in un locale a piano terra, dov’era ubicata la cucina, che doveva considerarsi pertinenza della sua abitazione; la conferma di ciò era offerta dalla circostanza che, sia pure successivamente al fatto contestato, aveva ottenuto dal giudice l’autorizzazione a frequentare anche detto locale sito al piano terra.

3- Il ricorso, in quanto manifestamente infondato, è inammissibile.

E’ oggettivamente accertato che l’imputato, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, non fu rinvenuto, la sera del (OMISSIS), presso la sua abitazione dai Carabinieri addetti al controllo, i quali, solo dopo un’attesa di ben dieci minuti, lo incrociarono nelle scale condominiali; il B., appositamente interpellato al riguardo dai militari, si limitò a dire di essersi recato nel garage sito al piano terra dello stabile, senza specificare i motivi di tale suo comportamento.

Ogni allontanamento, ancorchè limitato nel tempo e nello spazio, dall’abitazione, quale luogo in cui si ha l’obbligo di rimanere per effetto del provvedimento cautelare personale adottato dal giudice, integra il reato di cui all’art. 385 c.p., comma 3. Per "abitazione", infatti, deve intendersi soltanto il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e non le sue "appartenenze", come garage, cortile, giardino e altri luoghi consimili, quando non costituiscano parte integrante dell’abitazione medesima.

Nel caso in esame, il B. fu sorpreso dai Carabinieri nel mentre risaliva le scale condominiali per rientrare nell’abitazione, e ciò è sufficiente per ritenere integrata la condotta tipica di cui all’imputazione.

Il ricorrente, riproponendo la stessa linea difensiva sviluppata in sede di merito, tenta di accreditare la tesi che il suo appartamento si articolerebbe su due diversi livelli, zona notte al primo piano e cucina al piano terra, collegate tramite la scala lungo la quale fu incrociato dai Carabinieri.

Tale tesi non è confortata da alcun elemento di prova, è anzi smentita dal chiaro riferimento dei Carabinieri alla scala condominiale e da quanto lo stesso imputato ebbe a riferire nell’immediatezza ai militari (parlò di garage e non di cucina).

D’altra parte, la circostanza che l’imputato fu autorizzato dal giudice, soltanto in epoca successiva alla commissione del reato di cui si discute, a usufruire anche del locale a piano terra, raggiungibile attraverso le scale interne allo stabile, offre la conferma della illiceità della condotta contestata e posta in essere prima che intervenisse tale autorizzazione. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che stimasi equa, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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