Cons. Stato Sez. V, Sent., 24-03-2011, n. 1770 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I sigg.ri F.T. e B.M.B. impugnavano dinanzi al T.A.R per il Piemonte la concessione edilizia n. 265 rilasciata dal Comune di Cuneo al sig. A.V. in data 20\5\1996, per la costruzione di un fabbricato residenziale con autorimessa interrata.

I motivi del gravame vertevano, in sintesi, sui seguenti aspetti:

1) mancanza della cubatura e delle distanze necessarie;

2) violazione dei diritti dei terzi e, in particolare, degli stessi ricorrenti;

3) inosservanza della normativa relativa alla sicurezza (con riferimento all’autorimessa).

Il Tribunale con la sentenza n. 592 del 1999 dichiarava il ricorso parzialmente inammissibile, e per il residuo lo respingeva.

Avverso la sentenza i medesimi ricorrenti proponevano l’appello in epigrafe, cui resistevano il Comune di Cuneo e il controinteressato.

Le ragioni delle parti venivano illustrate ed approfondite attraverso molteplici scritti.

Alla pubblica udienza del 1° febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’appello deve essere respinto.

1 Il primo mezzo verte sul tema della volumetria assentita dalla concessione edilizia impugnata in primo grado, in relazione all’allegata necessità di dedurre la cubatura che era stata già utilizzata dall’interessato in occasione della realizzazione di precedenti opere.

Occorre in proposito dare subito atto che con il presente appello non è stata riproposta la questione della mancata deduzione della volumetria dell’autorimessa del controinteressato che era stata oggetto di condono edilizio nel 1994 e poi è finita demolita. Per questa parte la statuizione della sentenza appellata è quindi passata in giudicato, e non mette conto occuparsene.

Rimane invece controverso il profilo della mancata\insufficiente deduzione della volumetria del sottotetto pure oggetto di condono.

Il TAR ha concluso in merito (pag. 14 sentenza), sulla scia delle allegazioni del controinteressato, richiamanti a loro volta il testo della relazione illustrativa del progetto assentito, nel senso che "si deve ritenere che il Sindaco del Comune di Cuneo abbia rilasciato la detta concessione edilizia sulla base della prevista deduzione della cubatura oggetto di condono edilizio: mc 101,59, concernente il sottotetto, dianzi indicato". Proprio per tale ragione il primo motivo è stato giudicato infondato, atteso appunto che, contrariamente a quanto assumevano i ricorrenti, la volumetria del sottotetto risultava essere stata dedotta.

In proposito i ricorrenti insistono in questa sede sulla richiesta istruttoria già avanzata in primo grado, ma disattesa dal Tribunale.

La richiesta non può però trovare accoglimento.

A suo fondamento viene addotta l’esistenza di un conflitto tra le posizioni del Comune e del controinteressato, dal momento che, mentre il secondo rappresenta quanto si è appena esposto (l’avvenuta deduzione), l’assunto del Comune sarebbe invece diverso. E in effetti l’Amministrazione ha dichiarato di non ritenere computabile -e quindi di non avere a suo tempo detratto- la volumetria del sottotetto, in quanto il suo deficit di altezza interna non lo renderebbe abitabile, né quindi rilevante e computabile, a norma del locale Regolamento edilizio (artt. 28, comma 6, e 52, comma 1°).

Va peraltro sottolineato sin d’ora che la parte appellante non fornisce alcun elemento argomentativo né probatorio a sostegno della sua doglianza circa l’omissione della deduzione volumetrica, trincerandosi dietro il conflitto che sussisterebbe, sul punto della avvenuta deduzione della volumetria del sottotetto, tra la posizione del controinteressato e quella del Comune, che secondo gli appellanti "smentirebbe" la prima (cfr. le pagg. 89 dell’atto di appello), o comunque ingenererebbe una "situazione obiettiva di incertezza", tale da richiedere uno specifico approfondimento istruttorio.

Ciò posto, è appena il caso di osservare che oggetto della presente controversia è la legittimità della concessione edilizia a suo tempo rilasciata al sig. V., e non già l’individuazione della eventuale edificabilità che ancora gli residui dopo aver ottenuto tale titolo. In altre parole, si tratta semplicemente di verificare, nei limiti delle critiche di legittimità ritualmente articolate dalla ricorrente, se l’opera assentita con la concessione rientrasse nella cubatura che era nella disponibilità del sig. V..

Alla luce di tanto, si deve senz’altro convenire con la difesa del controinteressato allorché essa puntualizza:

– che le posizioni delle attuali appellate sono, ai fini di causa, tutt’altro che confliggenti, conducendo le stesse al medesimo risultato della conferma dell’assentibilità del progetto;

– che, al limite, la precisazione del Comune varrebbe ad avvantaggiare esso sig. V. per il futuro, in quanto gli attribuirebbe una dote di ulteriori mc. 101,59 di cui egli potrebbe disporre in seguito per nuove iniziative edificatorie;

– che, pertanto, l’esito dell’invocata istruttoria non potrebbe fornire ai ricorrenti alcuna utilità, e sarebbe quindi irrilevante.

Altrimenti detto, a voler proprio ravvisare nel caso concreto, in base alle risultanze disponibili, una situazione di "incertezza", questa concernerebbe unicamente l’esistenza e l’entità dell’edificabilità residua riconoscibile al controinteressato.

Da qui la inaccoglibilità dell’istanza istruttoria proposta dagli appellanti. Ma da qui discende anche la stessa conclusione di merito dell’infondatezza del motivo, per non avere gli stessi appellanti adempiuto il loro onere di dimostrazione logica e probatoria dell’esistenza del vizio di legittimità da loro puramente ipotizzato.

2 Il secondo mezzo di appello riguarda la dedotta arbitrarietà della "autoqualificazione" come "non abitabili", operata dal controinteressato, rispetto a due vani del sottotetto del fabbricato oggetto della concessione che si trova in contestazione.

Viene eccepito ex adverso che si tratterebbe di un motivo nuovo. Poiché, peraltro, nel contesto del ricorso di primo grado (pagg. 6, 7 ed 8) i ricorrenti avevano già mosso delle pur generiche critiche di legittimità al provvedimento impugnato anche sotto questo profilo, la Sezione ritiene opportuno concentrarsi subito sulla manifesta infondatezza della censura.

Occorre, in proposito, in primo luogo richiamare la esatta obiezione del controinteressato secondo la quale i locali di cui si tratta non erano stati semplicemente da lui "dichiarati non abitabili", bensì, a norma del regolamento edilizio, oggettivamente non si prestavano all’uso residenziale. Il Regolamento già citato, infatti, agli artt. 28, comma 6, e 52, comma 1, esclude l’abitabilità e la computabilità nella cubatura dei vani sottotetto di altezza media inferiore a mt 2.50.

Ora, i ricorrenti non contestano che l’altezza media del sottotetto sia (in parte qua) inferiore a mt. 2,50, circostanza che a norma del regolamento comunale esclude, come si è appena visto, la computabilità della relativa volumetria; e tantomeno svolgono deduzioni di minimale consistenza circa l’incompatibilità delle norme regolamentari citate con regole di rango superiore.

Essi si limitano anche in questa sede (atto d’appello, pag. 14) ad obiettare, in forma del tutto generica ed empirica, che "pare davvero assurdo che una semplice controsoffittatura (si veda la sezione BB della tavola n. 10) e la mera qualificazione formale "sottotetto non abitabile" sia sufficiente ad escludere dal computo della volumetria locali di dimensioni addirittura maggiori di quelli indicati in progetto come abitabili, direttamente comunicanti con i medesimi ed aventi una chiara vocazione residenziale".

Sono state poi richiamate delle massime giurisprudenziali in tema di volumi tecnici, le quali dovrebbero valere, a detta degli interessati, a confermare che la volumetria del sottotetto non avrebbe potuto essere sottratta al computo: ma questo è avvenuto per la prima volta solo in sede di appello, dandosi quindi così vita, nella migliore delle ipotesi -e cioè, a voler rinvenire in tali astratte citazioni la dignità di una vera e propria censura di legittimità, ad un motivo nuovo irritualmente introdotto, per saltum, solo nel secondo grado di giudizio.

Tali essendo le argomentazioni svolte dai ricorrenti sul tema in esame, è inevitabile ascrivere loro, anche in questo caso, un inadempimento dell’onere allegatorio e probatorio che loro incombeva rispetto al vizio di legittimità dedotto.

Non resta perciò che concludere per l’infondatezza anche di questo motivo.

3 Inammissibile, in quanto svolto per la prima volta solo in sede di appello, è poi il rilievo di mancanza di motivazione da parte del Sindaco nel discostarsi dal parere che era stato reso dalla Commissione edilizia. Altri rilievi inammissibili per la stessa ragione figurano articolati nella stessa pag. 13, ultimo periodo (sulla mancata conformazione al parere della U.S.L. n. 15 di Cuneo in merito al vincolo all’uso unipersonale del sottotetto), e alla pag. 16, sub II (sulla pretesa illegittimità dell’assentimento dell’intero terzo piano del fabbricato, per violazione della regola comunale sull’altezza massima consentita nella zona R2E), dell’atto di appello.

4 Occorre poi prendere posizione sulla richiesta di parte appellante di sospensione del presente giudizio, nell’attesa che trovi definizione un contenzioso in sede civile asseritamente rivestito di valenza pregiudiziale.

I ricorrenti, che tempo addietro hanno adito il Tribunale di Cuneo per ottenere l’annullamento dell’atto di divisione da loro stipulato con l’attuale appellato nel 1990, hanno esposto che, ove la loro prospettazione fosse stata accolta, il V. si sarebbe trovato a disporre di mq 25 in meno di superficie fondiaria, e di riflesso avrebbe subìto una riduzione della cubatura disponibile di mc. 50, con la conseguenza del venir meno dei presupposti di fattibilità dell’intervento edilizio in discussione e del travolgimento del provvedimento impugnato. Donde la dedotta pregiudizialità del detto contenzioso civile su quello in trattazione in questa sede.

Sul punto è tuttavia assorbente osservare che difettano i presupposti processuali per fare luogo alla richiesta sospensione a titolo di pregiudizialità, per la semplice ragione che l’impugnativa del negozio di divisione proposta dagli appellanti è stata già da tempo definitivamente respinta dal Tribunale civile con sentenza n. 111\2003, che risulta passata in giudicato. La circostanza, poi, che cinque anni dopo i medesimi interessati abbiano proposto, contro tale sentenza, domanda di revocazione ex art. 395 n. 3 c.p.c., a sua volta respinta dallo stesso giudice con sentenza n. 251\2009, e, infine, abbiano esperito appello (ancora pendente) contro quest’ultima pronuncia, nulla toglie al fatto che il contenzioso asseritamente pregiudiziale sia stato già definito.

5 Una volta negata la sospensione del presente giudizio, la Sezione può senz’altro confermare, rispetto all’originario secondo motivo di ricorso, la decisione appellata di difetto di giurisdizione.

Il T.A.R. ha correttamente opposto, alla censura di violazione "dei diritti di terzi, e, in particolare, diritti dei ricorrenti", che la tutela dei diritti soggettivi individuali in questa materia non rientra nell’ambito della giurisdizione commessa al Giudice amministrativo: la concessione edilizia viene difatti rilasciata con la clausola della salvezza dei diritti dei terzi, ed è quindi il giudice civile l’autorità titolata a conoscere di eventuali lesioni di posizioni di diritto soggettivo che possano scaturire dall’intervento assentito.

E’ appena il caso di ricordare che, se è vero che l’Amministrazione comunale, nel corso dell’istruttoria sul rilascio della concessione edilizia, deve verificare che esista il titolo per intervenire sull’immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia, benché la concessione sia sempre rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi, è anche vero, però, che deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell’immobile, o di verificare l’inesistenza di servitù o altri vincoli reali che potrebbero limitare l’attività edificatoria dell’immobile, atteso che la concessione edilizia è un atto amministrativo che rende semplicemente legittima l’attività edilizia nell’ordinamento pubblicistico, e regola solo il rapporto che, in relazione a quell’attività, si pone in essere tra l’autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all’attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune (Consiglio Stato, V: 7 settembre 2009, n. 5223; 7 settembre 2007 n. 4703; 2 ottobre 2002 n. 5165).

La clausola relativa alla salvezza dei diritti dei terzi inserita nella concessione edilizia deve quindi proprio intendersi nel senso che non incombe all’autorità che rilascia la concessione compiere complesse ricognizioni giuridicodocumentali, ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio, essendo sufficiente per l’Amministrazione l’acquisizione del titolo che formalmente abiliti alla concessione (Consiglio Stato, IV, 26 maggio 2006, n. 3201). Sicché il vicino che reputi leso un proprio diritto soggettivo, ad es., in materia di distanze tra edifici, può sempre agire innanzi all’a.g.o. per la riduzione in pristino o il risarcimento del danno (Consiglio Stato, V, 19 marzo 1999, n. 277).

6 Il terzo ed ultimo motivo riguarda la dedotta inosservanza della normativa relativa alla sicurezza antincendio rispetto all’autorimessa interrata. Il T.A.R. lo ha dichiarato inammissibile per genericità con statuizione che merita anche in questo caso conferma, in quanto le osservazioni critiche svolte in sede di gravame non valgono a persuadere che potesse integrare una compiuta critica di legittimità l’affermazione, ancora una volta del tutto apodittica, che "il garage non rispetta la normativa di cui al D.M. 1.2.1986… né per le larghezze dei passaggi, né per le caratteristiche costruttive, né per gli accorgimenti di sicurezza". Un’affermazione siffatta lasciava invero nell’ombra non solo il preciso precetto che in pratica sarebbe stato di volta in volta violato, ma anche il concreto elemento fattuale che avrebbe rappresentato la effettiva causa della violazione -solo genericamente- allegata.

7 In conclusione, l’appello deve essere nel suo insieme respinto.

Le spese processuali sono liquidate secondo la soccombenza dal seguente dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),

definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Pone a carico della parte soccombente le spese processuali, che si liquidano nella misura di euro duemila, oltre accessori di legge, per ciascuno degli appellati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *