T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 24-03-2011, n. 152 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

a) Antefatti di causa

Con risalenti delibere di Giunta n.234/1984 e 241/1985, il Comune di Roccaraso alienava un’area di 520 mq. alla società E., che presentava domanda di concessione edilizia per lo sfruttamento edificatorio di tale area e di altra area contigua di mq.730.

Veniva quindi rilasciata la concessione edilizia n.31 del 1986, relativa alla realizzazione di un fabbricato.

Tale ultima concessione veniva però sospesa dal T.A.R. del Lazio, su ricorso proposto dal CODACONS e successivamente riassunto davanti al T.A.R. Abruzzo, imperniato in particolare sul contrasto del progetto con la normativa urbanistica, la quale prevedeva il passaggio di una strada di P.R.G. proprio sul sito da occuparsi con l’erigendo fabbricato.

Il Comune di Roccaraso replicava con la corrispondente variazione del piano regolatore, mediante adozione di delibera consiliare n. 39 del 1988 approvata con delibera del Consiglio provinciale n.145 del 21.11.1990.

In particolare, si procedeva alla riperimetrazione delle zone A e B, alla soppressione del previsto tracciato viario e alla destinazione a zona A della relativa area di sedime della strada.

A seguito di una nuova pronuncia cautelare del T.A.R. del Lazio, il sindaco di Roccaraso con provvedimento n.38 del 15.6.1992 annullava la concessione edilizia n. 31 del 1986, rilasciando un nuovo titolo abilitativo alla società B. (medio tempore subentrata ad E. srl), avente ad oggetto sempre la realizzazione del fabbricato.

A seguito di ennesima sospensione in sede giurisdizionale anche di questo atto, con ordinanza n.86 del 9.11.1993 il sindaco annullava tutti i provvedimenti amministrativi sino allora pronunciati in favore delle società E. e B..

Con sentenza n.780 del 14.11.1994 relativa ai ricorsi che erano stati nelle more proposti, il T.A.R. Abruzzo annullava le delibere di adozione e di approvazione della riperimetrazione delle zone A e B.

Gli appelli proposti contro tale sentenza venivano tutti respinti con decisione n.1155 del 1998 della IV sezione del Consiglio di Stato.

Una volta entrato in vigore l’art.39 della legge 23.12.1994, n.724, recante nuove norme sul c.d. condono edilizio, la società B. proponeva in data 19.1.1995 domanda di concessione edilizia in sanatoria.

Il 3.8.1995 il sindaco del comune di Roccaraso rilasciava una serie di concessioni edilizie in sanatoria recanti i numeri da 21 a 67 (in relazione alla avvenuta frammentazione in distinte unità immobiliari del fabbricato), concessioni anch’esse annullate con sentenza del tar abruzzo n. 598 del 20.11.1996.

L’I.D. a r.l., subentrata intanto alla società B., proponeva appello al Consiglio di Stato, il quale con decisione non definitiva n. 1306 del 1998 accoglieva il gravame disattendendo larga parte dei motivi del ricorso originario, mentre sui restanti motivi veniva disposta attività istruttoria ulteriore.

In esito a quest’ultima, l’ufficio del genio civile regionale evidenziava tra l’altro che la proposta di variante al PRG e il parere negativo espresso dallo stesso Ufficio del Genio Civile in altra precedente nota del 26.10.1990 afferivano "proprio all’area su cui è stato realizzato il fabbricato", aggiungendo alcune considerazioni sui pericoli di stabilità dell’area dovuti alla presenza e alla collocazione del fabbricato medesimo.

Prima che la causa tornasse all’attenzione del Consiglio di Stato per la decisione definitiva di merito, con deliberazione di Giunta n. 37 del 6.8.1999 il Comune di Roccaraso affidava un incarico tecnico, al fine di accertare l’effettiva sussistenza delle circostanze ostative rappresentate dall’ufficio del genio civile regionale nel corso del predetto giudizio di appello.

All’esito degli accertamenti disposti dal comune, venivano pronunciate in autotutela due ordinanze civiche di annullamento d’ufficio.

Quanto sopra faceva poi scaturire la pronuncia di improcedibilità n. 1887/1999 sul gravame di appello (ancora non definito) che verteva in ordine alla legittimità delle concessioni in sanatoria ormai auto annullate (sentenza 1887/1999).

Le due ordinanze di annullamento d’ufficio delle concessioni in sanatoria del 1995 venivano impugnate con altrettanti ricorsi davanti al T.A.R. Abruzzo dalla società I.D..

Si costituivano per resistere al ricorso il Comune di Roccaraso, la signora M.R.B. ed il Codacons.

Il T.AR. pronunciava la sentenza n. 369 del 25.5.2001, con la quale respingeva entrambi i ricorsi attraverso una articolata motivazione che solo in parte recepiva alcuni profili censori (insufficienti tuttavia a determinare l’annullamento dei provvedimenti in autotutela).

Più in particolare, il Tribunale -dopo aver respinto i motivi che si proponevano di invalidare alla radice il potere di autotutela esercitato dal Comune e che deducevano vizi di incompetenza dell’organo dirigenziale procedente- si soffermava poi sulle ragioni specifiche che avevano ispirato gli atti di autotutela.

Ciascuna di tali ragioni, a parere di quel collegio, avrebbe potuto sorreggere la scelta di annullare d’ufficio le concessioni, sicché per pervenire all’accoglimento del ricorso sarebbe stato in ogni caso necessario ravvisare l’illegittimità di tutti presupposti dedotti nell’ampia motivazione dei due annullamenti d’ufficio (circostanza come sopra detto non verificatasi nella specie).

A tal proposito il Tribunale pur ritenendo non persuasive buona parte delle ragioni dell’autotutela addotte nelle ordinanze impugnate, condivideva quel motivo dell’autotutela fondato sulla condizione di serio pericolo collegato alla natura del suolo e dei luoghi, connotati da una pendenza pari anche al 100 per cento, così concludendo che "ancorché basati sul solo presupposto superstite all’attacco impugnatorio, entrambi i provvedimenti impugnati (anche il secondo, che recepisce e conferma i motivi dell’ordinanza 82/99) sopravvivano ai ricorsi, i quali vanno conclusivamente entrambi rigettati, nonostante la fondatezza di alcuni dei motivi dedotti ed esaminati".

Avverso la sentenza veniva proposto appello dalla I.D. s.r.l.., mentre sia il Comune che il CODACONS proponevano appello incidentale (contestando gli argomenti con cui la sentenza di primo grado ha confutato buona parte dei presupposti delle due ordinanze di annullamento d’ufficio).

All’udienza del 27 novembre 2001 veniva pronunciata la sentenza istruttoria n.950 del 2002, con la quale si richiedeva al Dipartimento della protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri di effettuare una indagine sulla sicurezza dei luoghi, i cui esiti venivano depositati in giudizio il 29.5.2002.

Con sentenza definitiva n. 6776/02 il Consiglio di stato -dopo aver confutato l’eccezione degli appellati circa la presunta cogenza dell’ordine di demolizione a suo tempo impartito dal Tribunale di Sulmona in una pregressa vicenda penalistica nei confronti del Sindaco p.t.., riteneva di condividere la sentenza di prime cure, negando che il precedente della Sezione n. 1306/1998 invocato dalla società appellante (pur utilmente valutabile in sede procedimentale) potesse costituire "…un giudicato tale da impedire l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio".

Venivano altresì confermate le statuizioni del giudice territoriale sull’insussistenza del vizio di incompetenza, nonché (circostanza di maggior rilievo nei contenziosi in odierna decisione) sull’effettività di una situazione di grave pericolo posta a giustificazione dell’annullamento delle concessioni in sanatoria.

In particolare il giudice di appello recepiva la verificazione istruttoria eseguita dal Dipartimento della protezione Civile erano illustrati i punti critici per la sicurezza; lo stesso Consiglio riteneva tuttavia rimediabile la situazione di pericolo riscontrata nel processo, auspicando correttivi al progetto mediante opportune precauzioni che la società I.D. avrebbe dovuto a sue spese predisporre.

A sostegno della sanabilità della costruzione, il Consiglio -nell’assorbire gli appelli incidentali- teneva ferme tutte le altre statuizioni contenute nella decisione appellata (che smentivano l’assunto civico di una insanabilità in radice delle opere de quibus), statuizioni ritenute correttamente "ispirate" ai principi dettati dalla pregressa decisione di appello n.1306 del 1998.

b) Fatti di causa.

Sulla base di tale pronuncia d’appello -ed in seguito a formale istanza di transazione della soc. I.D. in data 19.3.04- il consiglio comunale con deliberazione n. 14 del 19.6.04 ha accolto la delineata proposta transattiva, disponendo contestualmente l’alienazione in capo alla soc. Immobiliare d’Aurora dell’area di proprietà comunale interessata dall’intervento di messa in sicurezza del crinale, demandando infine alla giunta comunale l’approvazione dello schema di convenzione che avrebbe regolato i rapporti fra le parti.

Tale convenzione è stata approvata con delibera di giunta n. 61 del 21.6.04 e quindi sottoscritta fra le parti in data 7.7.2004.

In particolare la convenzionetransazione ha (tra l’altro) previsto in capo alla soc. I.D. l’impegno a realizzare a sua cura e spese tutte le opere di ingegneria geotecnica necessarie per la messa in sicurezza del versante, sulla base di un progetto redatto a sue spese, in accordo con l’Ufficio Tecnico Comunale, da sottoporre poi all’approvazione della regione Abruzzo -Sezione Tutela del territorio e Gestione del Suolo, previo acquisto dell’intera area soggetta all’intervento di cui sopra.

In cambio, l’amministrazione avrebbe disposto il rinnovo delle concessioni in sanatoria dell’edificio di largo S. Rocco dopo la sottoscrizione della convenzione, rinnovo poi concretamente avvenuto con i rilasci in data 12.8.04 dei permessi di costruire in questione.

Con ricorso iscritto al R.G. 692/04, Codacons ha impugnato sia la convenzione che i permessi rinnovati, deducendo svariati profili di censura.Il plesso impugnatorio in odierna decisione va inoltre coordinato con i seguenti motivi aggiunti proposti dall’associazione ricorrente:

motivi notificati il 9.2.05, con i quali si deduce l’irritualità della fideiussione prestata dalla società, a garanzia degli impegni assunti con la convenzione impugnata nel gravame introduttivo;

motivi notificati il 4.3.2006, diretti ad avversare la rettifica dell’art. 5 della convenzione intervenuta per conformarsi al disposto della Direzione Agricoltura e Foreste della regione Abruzzo in ordine alle modalità concessorie dell’area pubblica interessata dalla messa in sicurezza del versante;

motivi aggiunti notificati il 27 luglio 2007, con i quali si impugna il sopravvenuto certificato di agibilità n. 12 del 23.12.2005, rilasciato dal Comune di Roccaraso, casualmente conosciuto.

Con misura inibitoria accordata dal consiglio di Stato (ordinanza n. 3109 del 2008, ribadita da successiva ordinanza 1770/2009), è stato sospeso in sede giurisdizionale l’impugnato certificato sulla base di puntuale consulenza tecnica acquisita nel corso dell’appello cautelare, ove è stato ancora una volta evidenziato come le opere correttive progettate e neanche integralmente eseguite dalla società (opere in base alle quali era scaturito il rilascio del certificato) non fossero ancora sufficienti per la salvaguardia della pubblica e privata incolumità. Quanto agli sviluppi della vicenda successivi all’importante comando cautelare del consiglio di Stato, Codacons ha altresì impugnato avanti al tar Lazio l’indizione per il 5.10.2009, da parte del Comune, di una conferenza di servizi fra i soggetti pubblici competenti ad approvare il nuovo elaborato progettuale medio tempore ripresentato dalla soc. D. sulla base dei rilievi operati dalla CTU ("lavori di messa in sicurezza del pendio incombente sul condominio d’Aurora Immobiliare"). Con motivi aggiunti al RG 692/04 notificati il 23.11.2009 l’associazione ricorrente ha infine impugnato presso questo tar, con altri motivi aggiunti, il verbale in data 5.10.2009 di svolgimento della predetta conferenza.

Si sono costituiti la Regione Abruzzo, il comune di Roccaraso, la società I.D., il condominio Residence N.E.S. nonché -in qualità di intervenienti ad opponendum- alcuni proprietari di appartamenti dell’immobile in questione, acquistati dalla società controinteressata. Tali intervenienti hanno peraltro proposto azione risarcitoria proprio nei confronti dell’amministrazione che adiuvano e di tutti gli altri resistenti evocati da Codacons, nella denegata ipotesi di dichiarazione di illegittimità dei provvedimenti impugnati, lamentando di essere acquirenti ignari ed incolpevoli, ingiustamente danneggiati dalla vicenda.

Per ogni gruppo di motivi aggiunti sopra illustrati (escluso l’ultimo, relativo alla conferenza svoltasi il 5.10.2009 che non ha dato luogo ad autonomo gravame), la ricorrente associazione ha inoltre affiancato due identiche impugnative individuali, distintamente indicate in epigrafe (R.G. 173/06 e 335/07); a sua volta poi, nel ricorso 173/06 (oltre che ovviamente nel ricorso 692/04) sono confluite mediante altri motivi aggiunti le impugnative -originarie e sopravvenute- del R.G. 335/07.

All’udienza pubblica del 23.2.11 -dopo ampia discussione- le cause sono state trattenute per la decisione.
Motivi della decisione

Alla luce della evidente connessione obiettiva e soggettiva, va in primis disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe.

Vanno poi dichiarati inammissibili i gravami nn. 173/06 e 336/07, trattandosi di impugnative tutte già confluite mediante motivi aggiunti nel ricorso n. 692/04, e quindi dal carattere meramente duplicativo rispetto a quest’ultimo (sul quale, per motivi di economia processuale, si concentra pertanto il presente scrutinio di legittimità).

In ordine a tale gravame connotato da principalità (R.G. 692/04) deve disattendersi l’eccezione di difetto di legittimazione attiva del CODACONS, sollevata dalle parti resistenti. La ricorrente è infatti associazione di protezione ambientale riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente (DM n. 109/SCOC/95 del 17.10.95), con facoltà, ai sensi dell’art. 18 comma 5 della legge 349/1986 di impugnare avanti il Giudice amministrativo gli atti ritenuti illegittimi che possono determinare, come nel caso di specie, una lesione dei beni ambientali, in conformità ai propri fini statutari (cfr. in particolare l’art. 2 dello statuto in relazione all’obiettivo di un equilibrato rapporto tra l’uso individuale delle risorse dell’ambiente ed un razionale sviluppo della società).

Passando al vaglio delle censure attoree, premette il collegio di non volersi e potersi discostare dalle statuizioni del giudice amministrativo passate in giudicato con le sentenze in doppio grado di questo tar (369/2001) e del consiglio di stato (6776/2002), relative al gravame a suo tempo proposto dalla odierna società controinteressata avverso l’autoannullamento civico di quelle concessioni edilizie, poi "rinnovate" sulla base di una convenzione transattiva con la stessa società, impegnata a rimuovere lo stato di pericolo dei luoghi; tale convenzione viene ora impugnata da Codacons insieme ai permessi oggetto di rinnovo, deducendo in primo luogo che, a fronte di un giudicato di conferma dei provvedimenti che avevano autoannullato i titoli ad aedificandum, non avrebbe avuto senso alcuno, da parte del Comune, una transazione che in quanto tale presupporrebbe una incertezza giuridica ormai incompatibile con l’acquisita vittoria giudiziale.

In effetti, nella pregressa controversia a cui si fa riferimento -come insistentemente rammentato dall’associazione ricorrente- il consiglio di Stato con decisione 6776/02 ha confermato la pronuncia di questo tar n. 369/01 che aveva a sua volta respinto il ricorso della società I.D. avverso l’annullamento d’ufficio dei titoli edilizi de quibus, per l’acclarata sussistenza (da sola sufficiente a sorreggere i provvedimenti di secondo grado) di una grave situazione di pericolo incombente sui luoghi delle costruzioni. Non può tuttavia condividersi la tesi dell’odierna ricorrente secondo cui quel giudicato di rigetto avrebbe eliminato (a vantaggio del comune) ogni motivo del contendere fra il comune stesso e l’avente causa della società costruttrice (tanto da rendere assurdo e paradossale qualsiasi atto transattivo).

Ed invero, l’autotutela impugnata nel pregresso contenzioso si basava su di una pluralità di motivi che sono stati tuttavia in gran parte disattesi dal giudice di prime cure, senza che il Consiglio di Stato -pur in presenza di appelli incidentali proposti sul punto anche da parte dell’odierna ricorrente- abbia ritenuto di smentire, sia pure parzialmente, la pronuncia appellata.

Quest’ultima aveva infatti per buona parte condiviso le doglianze della soc. I.D. allora ricorrente, ritenendo non persuasive alcune ragioni dell’autotutela addotte nelle ordinanze impugnate: e ciò con specifico riguardo alla presunta difformità dell’opera rispetto a quanto assentito nelle concessioni annullate; alla presunta violazione del limite della cubatura stabilito dall’art. 39 della legge n.724 del 1994; all’asserito ostacolo costituito da un vincolo di inedificabilità collegato alla previsione di una strada di P.R.G.; alla denunciata, ma infondata, carenza dei pareri ambientale e idrogeologico; al fatto che l’insufficienza della documentazione e l’inadeguatezza dell’oblazione computata potessero abilitare il ritiro in autotutela delle concessioni in sanatoria; alla rilevanza a quest’ultimo fine di una indimostrata omessa concessione di suolo pubblico; alla carenza del parere della commissione edilizia nel procedimento relativo al condono quale vizio di legittimità delle concessioni e addirittura quale motivo di autotutela; nonché all’asserita e del tutto indimostrata mancata sdemanializzazione dell’area di sedime.

Tali profili decisori -che torna a ripetersi, non sono stati in alcun modo riformati dal consiglio di Stato- devono considerarsi ormai accertati dal giudicato, senza possibilità di rimeditazioni anche meramente incidentali.

Parimenti risulta ormai definito in senso negativo dal predetto giudicato il preteso carattere vigente e vincolante dell’ordine di demolizione irrogato a suo tempo dal Tribunale penale di Sulmona (carattere che secondo CODACONS non avrebbe consentito al comune la ricerca di soluzioni diverse dall’abbattimento fisico delle opere): più in particolare, con la decisione n. 6776/2002, il consiglio di stato aveva confutato l’eccezione degli appellati (fra i quali proprio CODACONS) di inammissibilità dell’appello principale della soc. I.D. per difetto di interesse della società proprietaria, in relazione all’ordine di demolizione impartito dal Tribunale di Sulmona, il quale aveva a suo tempo pronunciato condanna nei confronti del Sindaco del Comune di Roccaraso per abuso d’ufficio e per reato urbanisticoedilizio, ai sensi dell’art. 20 della legge n.47 del 1985. L’eccezione è stata disattesa, poiché nel prosieguo di quel processo penale l’accusa di abuso d’ufficio è venuta meno ed il reato urbanistico si è estinto, circostanze che avrebbero così impedito all’ordine di demolizione di continuarsi a reggere ormai in assenza di una condanna (sul punto, funditus, citata decisione di appello 6776/2002).

Sia in primo che in secondo grado i giudici amministrativi avevano invece ritenuto sussistente quel motivo dell’autotutela basato sulla condizione di serio pericolo in cui versava il fabbricato, a causa della natura del suolo e dei luoghi, connotati da una pendenza pari anche al 100 per cento.

In particolare il giudice di appello ha recepito la verificazione istruttoria eseguita dal Dipartimento della protezione Civile, ove sono stati analiticamente illustrati i punti critici per la sicurezza; lo stesso Consiglio ha tuttavia testualmente ritenuto che "…gli elementi acquisiti in questo secondo grado dimostrano che detta situazione di pericolo potrebbe comunque essere eliminata con l’adozione di alcune misure", e ciò con riferimento a quelle cautele operative suggerite dalla stessa Protezione Civile ed analiticamente indicate in sentenza.

Come detto in precedenza, il Consiglio ha ritenuto inoltre di assorbire gli appelli incidentali, con riferimento alle doglianze della ricorrente in primo grado condivise dal tar, restando "…dunque ferme, al riguardo, le statuizioni contenute nella decisione qui appellata, le quali oltretutto si sono in larga misura ispirate ai principi dettati da questa Sezione con la decisione n.1306 del 1998".

Da qui -riprendendo specifici passaggi della verificazione- il Magistrato di appello ha ritenuto che di quelle misure delineate dalla Protezione civile "dovrà necessariamente tenersi conto da parte dell’amministrazione comunale per l’adozione di ogni possibile ulteriore intervento su questa vicenda, compatibilmente con la salvaguardia o la possibile utilizzazione del fabbricato".

Il Consiglio di Stato poi -proprio alla luce delle ragioni espresse dal tar a parziale sostegno dei motivi di ricorso circa gli altri profili di illegittimità degli annullamenti d’ufficio- ha ulteriormente ammonito il Comune affinché quest’ultimo valutasse "…la possibilità di provvedere a garantire, in una con le opere cautelari raccomandate nella verificazione, la legittimazione urbanisticoedilizia del manufatto, ove possibile a beneficio dell’attuale proprietario e ovviamente senza pregiudizio per l’amministrazione".

Resta pertanto evidente come -a prescindere dal dispositivo di rigetto della decisione 6776/02- la convenzione stipulata tra le parti possa effettivamente rappresentare nei suoi principi fondanti una conformazione ai delineati passaggi motivazionali di tale pronuncia, molto chiari nel non escludere in astratto, ma nel contempo nel non imporre a priori una soluzione demolitoria senza prima aver percorso soluzioni alternative, basate appunto sulla messa in sicurezza dei luoghi, secondo le indicazioni rese in sede di verificazione dalla protezione civile (che non aveva affatto ritenuto insanabile lo stato di pericolo esistente, tanto da suggerire i rimedi per farvi fronte, anch’essi recepiti nella predetta decisione 6776/02).

In particolare l’articolo 2 della impugnata convenzione del 7.7.2004 ha formalizzato l’impegno della soc. Immobiliare d’Aurora "…a realizzare a sua cura e spese tutte le opere di ingegneria geotecnica necessarie per la messa in sicurezza del versante, sulla base di un progetto redatto a sue spese in accordo con l’Ufficio Tecnico comunale e da sottoporre all’approvazione della regione Abruzzo -sezione Tutela del territorio e Gestione del Suolo".

Quanto sopra, per l’appunto, al fine di perseguire quella "legittimazione urbanisticoedilizia del manufatto ove possibile a beneficio dell’attuale proprietario e senza pregiudizio per l’amministrazione", che il giudice di appello aveva testualmente delineato con la decisione 6776/2002.

Senza oltre considerare che ai sensi dell’articolo 38 DPR 380/2001 l’autoannullamento del permesso di costruire non postula di per sé in via automatica il ripristino dei luoghi, visto che una volta determinatasi a ravvisare gli estremi dell’autotutela decisoria, l’amministrazione è poi chiamata a modulare le misure operative che ne conseguono, senza un sistematico ricorso all’integrale autotutela esecutiva (che rappresenta invece solo una delle opzioni previste dal citato art. 38 del TU 380/01, il cui punto di partenza è proprio l’ormai deliberato annullamento del titolo edilizio, cfr. sul punto tar AQ sentenza n. 21/11).

Né risulta condivisibile l’altro assunto del Codacons mirato a negare la legittimazione della società a chiedere sanatorie di sorta, per via del fatto che una particella dalle rilevanti dimensioni (la n. 774) interessata dalla costruzione della palazzina sarebbe sfuggita alla sdemanializzazione operata dalla Regione, così che -sempre secondo l’assunto di parte ricorrente- nessuna sanatoria potrebbe delinearsi nella specie, trattandosi di abusi realizzati su suoli demaniali (la censura è stata analiticamente ripresa anche nei motivi aggiunti notificati il 4.3.2006 con i quali è stata avversata una modifica della convenzione che ha tenuto conto di quanto disposto dalla Direzione Agricoltura e Foreste della Regione Abruzzo per la concessione dell’area interessata dalla messa in sicurezza del versante, in luogo dell’originaria previsione di alienazione).

Va in proposito premesso che la questione di fondo afferente la demanialità o meno della particella 774 risulta già argomentata dalla citata sentenza di questo tar n. 369/2001 passata anche su questo punto in giudicato (nulla avendo in contrario statuito la pronuncia d’appello); in particolare aveva testualmente deliberato questo tar nella citata pronuncia 369/2001: "Ulteriore questione è quella riguardante l’avvenuta sdemanializzazione della particella 774; rispetto ad essa, la ricorrente ha dimostrato, con atti e congetture presuntive persuasive, che essa deve ritenersi compresa nella più ampia particella sicuramente sdemanializzata. In particolare, sono convergenti in tal senso sia le ampiezze delle particelle 541 e 774, anteriormente e posteriormente alla modifica (la particella 541, dopo la variazione, ha assunto un incremento di superficie esattamente pari alla estensione della p.lla 774), sia la nota dirigenziale regionale 19302 del 9 settembre 1999, che indica la ricomprensione della 774 nella 541, sia la certificazione catastale, che attesta la medesima situazione. Deve quindi ritenersi che la sdemanializzazione sia effettivamente avvenuta in virtù della delibera di Giunta regionale del 30 dicembre 1998, 3554, al di là del difetto di espressa menzione della particella negli allegati alla citata delibera di Giunta, e che al momento di adozione dell’atto impugnato non sussistesse il presupposto della natura demaniale civica dell’area interessata; né, come osserva la ricorrente, può essere contestata la rilevanza della sdemanializzazione, al fine di sanare il requisito mancante all’epoca della concessione in sanatoria, ove si consideri che il procedimento relativo era stato avviato dal Commissario prefettizio all’epoca in carica presso il comune di Roccaraso al precipuo fine di convalidare i negozi gli atti e le attività compiute sui terreni interessati". Tali concludenze risultano peraltro confermate anche dalla la sentenza del Commissario Liquidatore degli usi Civici della Regione Abruzzo n. 168/2003 citata dal patrono della società contro interessata, ove si è esplicitamente affermato che l’intera particella 541 (nella quale la 774 è confluita) avrebbe ormai acquistato natura patrimoniale per effetto del provvedimento di giunta regionale 3554/1998, che invece la ricorrente ritiene inidonea ad aver determinato tali effetti.

Inoltre, anche a prescindere da tali risultanze (ed in disparte la carenza di giurisdizione di questo giudice a discettare oltre sulla qualitas soli), resta in radice erroneo l’assunto posto a base della odierna censura secondo cui, nel caso di aree demaniali, nessun condono o sanatoria potrebbe per ciò solo delinearsi: trattasi infatti di affermazione in contrasto con l’art. 35 comma 5 della legge 47/85 che consente il condono, pur subordinandolo alla disponibilità dell’ente proprietario del suolo (sulla sanatoria su aree pubbliche, cfr. Tar Toscana III sez. n. 102/2008 e Tar Puglia -BA- 2770/2008); quanto sopra, poi, a prescindere dal fatto che l’impugnata rettifica dell’art. 5 della convenzione si limita -per stessa ammissione dell’associazione ricorrente, pag. 3 motivi aggiunti del 4.3.06- a disporre la concessione dell’area pubblica per le operazioni di sistemazione del suolo, senza alcuna diretta pertinenza con le superiori argomentazioni relative alla natura demaniale o meno dell’area di sedime, ove insiste il fabbricato in questione. In ogni caso va comunque richiamato quanto già osservato da questo tar con la pronuncia 369/01, secondo cui tutte le contestazioni che riguardano l’omessa concessione dell’uso del suolo pubblico per l’accesso al lotto sarebbero esterne rispetto al vaglio di legittimità edilzia del manufatto, atteso che il difetto di un’occupazione di suolo pubblico "…abiliterebbe a sanzionare in ipotesi l’occupazione abusiva, non alla caducazione del titolo sanante l’abuso edilizio".

Concludendo sul punto, va disatteso l’assunto dell’associazione ricorrente secondo cui, dopo la decisione 6776/2002 del Consiglio di Stato, l’unica soluzione alla vicenda sarebbe stata quella di procedere alla demolizione dell’opera.

Correttamente pertanto l’amministrazione si è determinata a regolare con apposita convenzione gli aspetti collegati ai rimedi tecnici mirati a superare la pericolosità dei luoghi.

Né assume rilievo nel senso voluto da Codacons il fatto che la società Immobiliare non abbia presentato una nuova domanda di sanatoria, visto che -a tutto voler concedere- la proposta transattiva di tale società assume comunque valenza di richiesta regolarizzativa, basata per l’appunto sulle normae agendi dell’ultima sentenza d’appello.

Parimenti inidonee a determinare l’invalidazione dell’accordo sono le doglianze formalizzate con i motivi aggiunti notificati il 9.2.06, relative ad asserite irregolarità nella costituzione della fideiussione prestata dalla società I.D. a garanzia degli obblighi scaturenti dalla convenzione, trattandosi di profili che attengono semmai alla responsabilità a vario titolo del funzionario pubblico procedente in caso di inadempimento della società, e di conseguente danno all’erario per mancata rivalsa dell’amministrazione, fermo restando che nel caso di inadempimento ad obblighi assunti con accordo riportabile all’art. 11 legge 241/90 (come quello in questione) non può negarsi l’esperibilità avanti al GA -munito di giurisdizione esclusiva- di specifica azione di inadempimento o per l’adempimento ex artt. 1218 e/o 1453 c.c. da parte chi vi abbia interesse (azione che nella specie non risulta comunque proposta).

La convenzione stipulata fra le parti -riportabile come appena detto al paradigma dell’art. 11 legge 241/90 (non intervenendo in senso ostativo la natura transattiva dell’accordo, cfr. corte di cassazione SS.UU ord. 9151/2009)- non supera tuttavia lo scrutinio di legittimità nella parte in cui tale convenzione -invece di subordinare il rinnovo dei permessi quantomeno al perfezionamento progettuale, se non addirittura alla perfetta esecuzione, di messa in sicurezza del terreno che circonda l’immobile (tutto a carico della società immobiliare)- ha inteso accordare sùbito il rilascio dei titoli edilizi (avvenuto non appena stipulata la convenzione), senza così attendere la positiva verifica degli adempimenti precauzionali demandati alla società, corredati a sua volta dagli occorrenti nulla osta delle competenti amministrazioni.

Più in particolare restano fondate le censure del CODACONS sull’articolo 8 della convenzione del 7.7.2004, laddove si prevede che "il comune di Roccaraso, attraverso il competente responsabile del servizio, disporrà il rinnovo delle concessioni in sanatoria dell’edificio in largo San Rocco di proprietà della società, dopo la sottoscrizione della presente concessione": infatti poiché i lavori di messa in sicurezza -per la loro importanza ed imponenza- postulano il rilascio di autonomi permessi di costruire (con tanto di previa disponibilità di aree pubbliche interessate dai lavori medesimi), non si vede perché la progettazione di ripristino delle condizioni di sicurezza -solo se debitamente approvata dalle competenti autorità – non abbia fatto parte di un più vasto unicum autorizzativo comprensivo dei singoli "rinnovi" in sanatoria dei permessi ad aedificandum riferiti a quelle unità immobiliari direttamente responsabili dei pericoli idrogeologici ai quali dover fare fronte. In tal senso resta pertanto prematuro il rilascio di tali "rinnovi", avvenuto al buio ancora in assenza del dettaglio progettuale ed esecutivo dei lavori di riassetto del terreno, al cui positivo esito il comune ha invece condizionato solo il rilascio del certificato di agibilità (cfr. in particolare l’art. 8 della convenzione sottoscritta il 2.11.2005 di modifica ed integrazione della convenzione del 7.7.04 ove si prevede il rilascio del certificato di agibilità del fabbricato entro 15 giorni dall’ultimazione dei lavori di messa in sicurezza del versante).

In buona sostanza, l’ente civico intimato avrebbe dovuto coordinare e subordinare il rinnovo dei titoli in sanatoria (se non alla verifica di buona esecuzione, quantomeno) al contemporaneo rilascio dei titoli edilizi relativi ai lavori di sistemazione del versante (una volta cioè verificata l’adeguatezza degli adempimenti progettuali demandati alla società, con previsioni di severe -ed irreversibili- decadenze dei rinnovi medesimi nel caso di infedele o ritardata esecuzione degli interventi in sicurezza), anche perché la legittimazione strutturale delle palazzine non potrebbe intendersi disgiunta da tali lavori che ne assicurano la stabilità, prima ancora dell’agibilità e del concreto utilizzo (al contrario di quanto sostenuto dalle parti resistenti).

Conseguentemente risultano illegittimi -e vanno pertanto annullati con la presente pronuncia, insieme alla relativa clausola convenzionale che li prevede- gli anticipati rinnovi dei titoli, prima di aver acquisito ed autorizzato con appositi permessi ad hoc la progettazione di messa in sicurezza del costone montano di cui è stata onerata la società controinteressata, pena il ripristino dello stato dei luoghi.

Quanto poi alle restanti doglianze, ritiene il collegio di evidenziare come in occasione dell’impugnativa cautelare di appello del certificato di agibilità (gravato con motivi aggiunti del 27 luglio 2007), il consiglio di stato -come meglio esposto in narrativa- ha disposto una consulenza tecnica preordinata a verificare se alla base del rilascio di tale certificazione vi fosse -debitamente eseguita- quell’idonea progettazione di messa in sicurezza del costone che pure rappresentava il fulcro adempimentale della convenzione del 7.7.04 e delle sue successive modifiche.

La risposta della CTU non è stata affermativa, tanto che il Consiglio di Stato ha sospeso il certificato di agibilità (ordinanza 3109/08), puntualizzando poi -sulla base delle consulenze e degli apporti tecnici acquisiti nella fase cautelare- le necessarie operazioni progettuali ed esecutive per rendere sicuri i luoghi dell’intervento edilizio (ordinanza 1770/2009). A seguito di quanto sopra, come anche ammesso dal patrono della società controinteressata (cfr. memoria del 28.1.2011 pag. 33), la società medesima d’accordo con il comune ha presentato un progetto ex novo poi sottoposto al vaglio approvativo di una conferenza di servizi, anch’essa oggetto di altra articolata impugnativa da parte di CODACONS (davanti al tar Lazio per l’indizione, e con motivi aggiunti nel ricorso in epigrafe per il verbale della seduta), circostanza che ha univocamente denotato non già un mero atto di dovuta esecuzione dell’ordinanza cautelare del consiglio di stato, bensì una vera e propria autotutela del comune sia sul certificato di agibilità già sospeso in sede giurisdizionale, sia sulla presupposta progettazione di sicurezza in precedenza approvata (progettazione a quanto pare neanche eseguita, almeno nella sua interezza, nonostante il sintetico tenore del "verbale di ultimazione dei lavori e di regolare esecuzione" del 1.12.2005).

Ne consegue che sono divenute improcedibili per sorpavvenuta carenza di interesse non solo l’impugnativa sul certificato di agibilità (ormai autoannullato), ma anche tutte le censure direttamente od indirettamente connesse alla prima progettazione di sicurezza, parimenti da ritenersi ormai superata dall’avvio di una nuova fase progettuale, scaturita dopo le ordinanze di sospensiva del consiglio di Stato.

Quanto invece alla conferenza di servizi mirata all’approvazione di tale nuova fase progettuale, trattasi di una fase ancora endoprocedimentale, la cui impugnativa da parte di CODACONS si palesa inammissibile; per ciò che interessa questo tar e questo giudizio, va in primo luogo osservato che il verbale della seduta del 5.10.2009 -pur a volersi intendere quale "determinazione motivata di conclusione del procedimento" ex art. 14 ter comma 6 bis legge 241/90- risulta comunque insufficiente a definire il procedimento conferenziato, mancando al riguardo quel "provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva" richiesto dal comma 9 del medesimo art. 14 ter, prima della sua abrogazione, disposta però da una norma (art. 49 comma 2 della legge 122/2010) ben successiva alle date sia di indizione che di svolgimento della conferenza in questione, oltreché successiva finanche alla stessa data di proposizione del motivo aggiunto (26.11.2009). Secondo la normativa ratione temporis applicabile alla fattispecie, infatti, solo il provvedimento finale (e non anche la determinazione conclusiva della PA procedente, e meno che mai il mero verbale dei lavori) avrebbe potuto sostituire a tutti gli effetti, "ogni… atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti", così che l’approvazione del nuovo progetto -pur deliberata dalla conferenza nell’unica seduta del 5.10.2009- non potrebbe mai aver trovato definizione ed efficacia a seguito della sola verbalizzazione gravata con i motivi aggiunti. Il collegio ignora se il provvedimento finale sia o meno sopravvenuto al verbale del 5.10.2009, ma in entrambe le ipotesi non resta revocabile in dubbio che tale verbale non ha affatto definito il procedimento approvativo del progetto, rendendo inammissibile la relativa impugnazione. In secondo luogo -ad elidere ogni eventuale residuo dubbio in tal senso- cospira lo stesso dibattito difensivo attivatosi fra le parti in prossimità dell’udienza di discussione del 23.2.11; più in particolare il condominio resistente N.E.S. ha riferito che la Regione Abruzzo -direzione lavori pubblici difesa del suolo- avrebbe chiesto di procedere "…alla rimodulazione finale del progetto, secondo indicazioni fornite in una lunga relazione del 24.11.2010", (memoria del 27.1.11) così escludendo che a tutt’oggi sussista alcuna progettazione debitamente approvata, tanto da sostenere nella memoria medesima che "tale opera di rimodulazione finale è attualmente in corso di definizione e darà luogo -in tempi che si prevedono ragionevoli- all’adozione del provvedimento definitivo di approvazione e di assenso". Ora, al di là del fatto che il condominio ha manifestato un ottimismo che il patrono di CODACONS non ha affatto condiviso nel suo intervento in udienza (ritenendo invece che anche le ultime risultanze istruttorie facessero emergere tutte le gravi difficoltà di sanatoria dell’edificio), appare indiscusso fra le parti che il procedimento in questione è comunque ancora in itinere a distanza di un anno e mezzo dal verbale impugnato, sulla cui carenza di lesività rimane pertanto inutile insistere. Piuttosto -e con l’occasione- si ritiene solo di confutare una istanza di rinvio delle cause formulata in udienza dal patrono dello stesso condominio neve e sole, allegando il fatto che la vicenda starebbe ormai per definirsi; in contrario si puntualizza infatti che l’ultimazione di tale vicenda non potrebbe comunque ricadere nel vaglio decisorio dei ricorsi in epigrafe, connotati ovviamente da risultanze provvedimentali esterne e precedenti a tali (futuri) sviluppi.

In sintesi, il ricorso 692/04 (comprensivo dei quattro gruppi di motivi aggiunti rispettivamente del 9.2.05, del 4.3.06, del 27.6.07 e del 27.11.09) trova parziale accoglimento in relazione all’acclarata illegittimità e conseguente annullamento dei (prematuri) rinnovi dei permessi di costruire e della corrispondente clausola della convenzione che tali rinnovi aveva programmato senza attendere almeno la definizione della progettazione di sicurezza posta a carico della società controinteressata.

I restanti capi di impugnativa del ricorso 692/04 sono respinti ovvero dichiarati inammissibili ed improcedibili nei sensi sopra illustrati.

Gli altri due ricorsi riuniti comprensivi di motivi aggiunti -in particolare nn. 173/06 e 335/07- sono invece dichiarati inammissibili perché duplicativi rispetto alle impugnative già introdotte nel ricorso 692/04.

Va infine dichiarata l’inammissibilità della richiesta risarcitoria formulata in via subordinata dagli intervenienti ad opponendum nei confronti dei soggetti resistenti notificatari del gravame, nel caso di illegittimità accertata in via giudiziale.

Trattasi infatti domanda irrituale, formulata da soggetti costituiti per l’appunto mediante intervento, senza dunque vantare alcuna propria titolarità di diritti od interessi né in qualità di ricorrenti né di controinteressati, e per di più con l’intento di sostenere le parti contro le quali è stata contemporaneamente proposta l’azione risarcitoria.

Né possono invocarsi principi in qualche modo mutuati dall’azione autonoma di risarcimento (peraltro introdotta dal CPA successivamente alla proposizione dei presenti gravami), visto che anche in quel caso tale azione resterebbe comunque inibita in quella sede processuale in cui i richiedentilungi dall’incardinare il giudizio per il ristoro del danno subìto- prescelgono di inserirsi quali intervenienti in un processo che non li riguarda direttamente, schierandosi per di più a sostegno della legittimità di quei provvedimenti per i quali chiedono di essere risarciti (in disparte ovviamente la diversa fattispecie ex art. 30 comma 5 del CPA).

Sussistono ragioni per compensare integralmente le spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo (Sezione Prima), previa riunione dei ricorsi in epigrafe, in parte accoglie, in parte respinge, in parte dichiara inammissibile ed in parte dichiara improcedibile il ricorso n. 692/04, mentre dichiara inammissibili i ricorsi nn. 173/06 e 335/07; quanto sopra, nei sensi e per gli effetti illustrati in motivazione;

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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