T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, Sent., 24-03-2011, n. 155 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.A seguito di gara d’appalto l’I.A.C.P. di Potenza con contratto 1 marzo 1976 affidava all’impresa del "Geom. V.C. & C. s.a.s." la costruzione nel Comune di Melfi di n. 27 fabbricati comprendenti n. 248 alloggi, per un corrispettivo di lire 4.960.000.000 al netto del ribasso offerto.

Con ulteriore scrittura 14 febbraio 1979 (definita atto aggiuntivo al contratto 1 marzo 1976) l’I.A.C.P. appaltava alla "Geom. V.C. & C. s.a.s." la costruzione di 14 corpi di fabbrica e 123 alloggi per il prezzo convenuto di lire 3.782.000.000, fissando quale data di ultimazione e consegna degli alloggi il 31 dicembre 1980.

A causa degli eventi sismici che colpirono la Basilicata i lavori erano sospesi; l’appalto, pertanto, si protraeva oltre la scadenza contrattuale e le opere erano consegnate il 6 agosto 1981.

La "Geom. V.C. & C. s.a.s." chiedeva la revisione prezzi per l’intero periodo di esecuzione dei lavori con istanza 4 febbraio 1983, sollecitata in data 14 novembre 1985.

Tale istanza era parzialmente accolta dall’ l’I.A.C.P., che con delibera 3 giugno 1986, n.4171, riconosceva la revisione prezzi solo per il periodo successivo al sisma.

La "Geom. V.C. & C. s.a.s." impugnava tale delibera con ricorso al T.a.r. Basilicata, con il quale ne chiedeva l’annullamento unitamente all’accertamento del credito vantato.

1.1.Il T.a.r. Basilicata con sentenza 20 giugno 1991, n. 87, annullava la delibera 3 giugno 1986, n.4171, che accordava un riconoscimento solo parziale della revisione dei prezzi.

2.La "Geom. V.C. & C. s.a.s." conveniva l’A.T.E.R. innanzi al Tribunale civile di Potenza per sentirla condannare al pagamento della revisione dei prezzi nella misura determinata dal giudice ordinario e il Tribunale con sentenza 16 dicembre 2002 condannava l’ l’I.A.C.P. della Provincia di Potenza a pagare alla società Euro 1.302.560, 56 a titolo di revisione prezzi ed interessi moratori a fronte dei lavori di costruzione di 123 alloggi realizzati in esecuzione del contratto 14 febbraio 1979 e ciò sull’assunto che il T.a.r. con la sentenza n. 87 del 1991, avesse anche accertato il diritto dell’appaltante alla revisione prezzi per il periodo dal 14 febbraio 1979 al 6 agosto 1981.

3.Tale decisione era impugnata dall’A.T.E.R. innanzi alla Corte d’appello di Potenza, la quale, condividendo la prospettazione dell’amministrazione, riteneva che il giudice amministrativo non avesse affatto statuito sull’ "an debatur" limitandosi ad annullare la delibera di riconoscimento parziale della revisione prezzi e pertanto dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

4.Avverso tale decisione la società C. proponeva ricorso in Cassazione, la quale con pronunzia a Sez. Unite 12 luglio 2010, n. 16285, dichiarava la giurisdizione del giudice amministrativo, rimettendo le parti innanzi al T.a.r. territorialmente competente.

5.- Ciò premesso, l’ing. D.C., nella sua qualità di titolare dell’impresa individuale denominata "Geom. V.C. di ing. D.C." con ricorso notificato in data 10 novembre 2010 depositato il successivo 24 novembre 2010 ha chiesto l’ottemperanza della sentenza T.a.r. Basilicata n. 87 del 1991, chiedendo di ordinare all’amministrazione di riconoscere e di erogare la revisione prezzi (con interessi legali e rivalutazione monetaria) a far data dal 14 febbraio 1979, disponendo, in mancanza, per i provvedimenti sostitutivi.

6.- L’A.t.e.r. costituitasi in giudizio eccepisce l’inammissibilità del ricorso per tre ordini di ragioni: per intervenuta decorrenza del termine decennale per l’ "actio iudicati"; per difetto di legittimazione attiva del ricorrente; per difetto di interesse del ricorrente in quanto il credito vantato sarebbe stato ceduto ad altra società.

7.Il Ministero delle infrastrutture, costituitosi in giudizio eccepisce l’inammissibilità del ricorso nei suoi confronti sia per non aver preso parte al giudizio definito con la sentenza passata in giudicato di cui si chiede l’ottemperanza sia perché il Ministero non è qualificabile come avente causa dell’A.t.e.r.; in subordine, eccepisce l’inammissibilità del ricorso per prescrizione dell’ "actio iudicati".

8.- Alla camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione

1.- In via preliminare il Collegio, condividendo l’eccezione formulata dalla difesa erariale, dichiara il difetto di legittimazione passiva del Ministero delle infrastrutture.

In coerenza con la nozione di cosa giudicata ex art. 2909 c.c., sono infatti legittimate alla partecipazione al giudizio di ottemperanza sia le parti che hanno partecipato al giudizio di cognizione concluso con la pronuncia oggetto della domanda di esecuzione sia i loro eredi o aventi causa.

Orbene la sentenza T.a.r. Basilicata n. 87/91 è stata emessa in favore della società in accomandita semplice "Geom. V.C. & C." nei confronti dell’Istituto autonomo per le case popolari della provincia di Potenza.

Pertanto, poiché il Ministero delle infrastrutture non è stato parte né del giudizio di primo grado innanzi al T.a.r. né risulta quale soggetto avente causa dell’A.t.e.r., va dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’intimato Ministero.

2.- Va invece disattesa l’eccezione, formulata dall’A.T.E.R., di inammissibilità del ricorso per ottemperanza a norma dell’art. 90, comma 2, r.d. 642/1907, per intervenuta decorrenza del termine decadenziale di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza T.a.r. Basilicata n. 87/91, pubblicata in data 20 giugno 1991 e passata in giudicato dopo un anno e 45 giorni.

Opera, infatti, nella fattispecie il principio della "translatio iudicii"- affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 12 marzo 2007, n. 77- disciplinato, in generale, dall’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, che consente, allorquando un giudice declini la propria giurisdizione, affermando quella di altro giudice, che il processo possa proseguire innanzi a quello fornito di giurisdizione, restando salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta innanzi al giudice privo di giurisdizione.

Il principio della trasmigrazione del giudizio nel processo amministrativo è disciplinato dall’art. 11 del d.lgs n. 104 del 2010 recante l’approvazione del codice del processo amministrativo.

In particolare l’art. 11, comma 4, del codice del processo amministrativo prevede che "se in una controversia introdotta davanti ad altro giudice le sezioni unite della Corte di cassazione, investite della questione di giurisdizione, attribuiscono quest’ultima al giudice amministrativo, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda, se il giudizio è riproposto dalla parte che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle sezioni unite".

Nella fattispecie, dopo la sentenza T.a.r. Basilicata n. 87/91 il giudizio era erroneamente instaurato davanti al Tribunale civile di Potenza per la quantificazione dell’importo della revisione dei prezzi e all’esito del procedimento civile le Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza 12 luglio 2010, n. 16285, hanno rimesso le parti innanzi al giudice amministrativo, ritenuto munito di giurisdizione.

La Cassazione ha, infatti, regolato la giurisdizione, sull’assunto che la sentenza del T.a.r. Basilicata n. 87 del 1991 aveva prodotto soltanto l’effetto demolitorio dell’atto impugnato, ritenendo necessaria un’ulteriore delibera della p.a. appaltante per il riconoscimento della pretesa fatta valere dall’impresa appaltatrice, anche in considerazione della inidoneità della pronunzia del giudice amministrativo a sostituirsi all’azione amministrativa.

In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che, a fronte dell’ inerzia dell’amministrazione nel conformarsi al "dictum" della sentenza del T.a.r. Basilicata "la società C., quindi, non avrebbe dovuto agire davanti al giudice ordinario, ma avrebbe dovuto adire il giudice amministrativo per ottenere l’adempimento coattivo dell’obbligo ritenuto sussistente in virtù della sentenza del Tar Basilicata passata in giudicato".

E tutto ciò in base al criterio di riparto di giurisdizione in tema di revisione prezzi per la prosecuzione del giudizio, che configura in capo all’appaltatore una posizione giuridica avente consistenza di interesse legittimo- tutelabile avanti al giudice amministrativo- fino a quando l’amministrazione appaltante non abbia esercitato il potere discrezionale di accordare detta revisione e una posizione di diritto soggettivo- tutelabile davanti al giudice ordinario- solo quando sia intervenuto detto riconoscimento e residui controversia solo sul "quantum" del credito.

Ciò premesso, nella specie, sussistono tutti i requisiti per l’operatività della "translatio iudicii" e quindi per la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta innanzi al giudice ordinario.

Innanzitutto, il ricorrente non è incorso in alcuna preclusione o decadenza, poiché la controversia è stata instaurata innanzi al giudice ordinario con atto di citazione notificato in data 13 giugno 1994, quando non era ancora trascorso il termine decennale per la proposizione dell’ "actio iudicati" per l’ottemperanza della sentenza T.a.r. Basilicata n. 87/91.

Inoltre, il presente ricorso, notificato in data 10 novembre 2010 e depositato in data 24 novembre 2010, tenuto conto del periodo di sospensione feriale dei termini, è stato proposto entro il termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle sezioni unite, avvenuta in data 12 luglio 2010; ne consegue il rispetto del termine di tre mesi per la riproposizione del giudizio previsto dall’art. 11, comma 4, del cod. proc. amm. al fine della conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, che, dunque, va considerata come proposta sin dall’inizio (ovvero dalla data dell’atto di citazione innanzi al giudice ordinario in data 13 giugno 1994) innanzi al giudice amministrativo.

3.- Sotto altro profilo l’A.t.e.r. rileva il difetto di legittimazione ad agire dell’ing. D.C., quale titolare dell’ impresa individuale "Geom. V.C. di ing. D.C.", in quanto la dichiarazione di continuazione dell’attività imprenditoriale della società in accomandita semplice "Geom. V.C. di Ing. D.C. & C. s.a.s.", effettuata in data 18 gennaio 2010, sarebbe inefficace perché intervenuta dopo che erano trascorsi sei mesi dal venir meno della pluralità dei soci (avvenuta in data 19 luglio 2009 con la morte del socio V.C.), circostanza che a norma dell’art. 2323 cod. civ. determina lo scioglimento della società.

Di qui la resistente fa conseguire l’inapplicabilità dell’art. 2274 cod. civ., che determina la conservazione in capo ai soci amministratori, fino all’adozione dei provvedimenti necessari per la liquidazione, del potere di amministrare "limitatamente agli affari urgenti", tra i quali, a suo avviso, non potrebbe essere ricompresa la volontà del socio superstite di non voler ricostituire la pluralità dei soci e di continuare l’attività imprenditoriale nella forma di impresa individuale.

A ciò parte resistente aggiunge che la dichiarazione di prosecuzione dell’attività imprenditoriale è intervenuta allorquando la società era in fase di cancellazione o addirittura già cancellata, in forza dell’art. 3 del d.p.r. n. 247/2004 il quale prevede l’avvio del procedimento per la cancellazione della società in accomandita semplice quando l’ufficio del registro delle imprese rileva, tra l’altro, la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi.

In conclusione, dall’asserita inefficacia della manifestazione di volontà dell’ing. D.C. di voler continuare l’attività imprenditoriale della "Geom. V.C. di Ing. D.C. & C. s.a.s." l’amministrazione intimata deduce il difetto di "legitimatio ad processum" dell’Ing. D.C..

3.1.L’eccezione è fondata ed assorbente nei termini di seguito esposti.

Come già chiarito con riferimento alla legittimazione dal lato passivo, legittimati, in via generale, alla proposizione del giudizio di ottemperanza, sono tutte e solo le parti che hanno partecipato al giudizio di cognizione concluso con la pronuncia oggetto della domanda di esecuzione, in coerenza con la nozione della "cosa giudicata" ex art. 2909 c.c., perché l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato, ad ogni effetto, tra le parti, i loro eredi o aventi causa (Consiglio Stato, sez. V, 19 novembre 2009, n. 7249; Consiglio Stato, sez. V, 19 novembre 2009, n. 7249).

La legittimazione ad agire in ottemperanza è pertanto riconosciuta ai soggetti che abbiano rivestito la qualità di parte nel giudizio concluso con la sentenza della quale si chiede l’esecuzione, oppure agli eventuali rappresentanti e/o successori.

3.2.- Ciò premesso, nella fattispecie, va subito chiarito che il ricorrente non può essere qualificato né come rappresentante né come successore della disciolta società in accomandita semplice "Geom. V.C. di Ing. D.C. & C. s.a.s.", beneficiaria della sentenza T.a.r. Basilicata n. 87/1991 recante l’annullamento del diniego parziale di riconoscimento della revisione prezzi richiesta.

Infatti, l’ing. D.C., non agisce quale rappresentante ovvero quale amministratore o liquidatore della "Geom. V.C. di Ing. D.C. & C." s.a.s., ma, come desumibile chiaramente dalla prospettazione contenuta nel ricorso, "quale titolare dell’impresa individuale denominata Geom. V.C. di ing. D.C…. a seguito di continuazione dell’ attività imprenditoriale da parte dell’unico socio della Geom. V.C. di Ing. D.C. & C. s.a.s. come da atto in data 18 gennaio 2010…, della quale esso ing. C. era l’ultimo accomandatario e legale rappresentante".

L’odierno ricorrente, dunque, agisce nella sua qualità di titolare della nuova impresa individualeGeom. V.C. di ing. D.C. ed in tale veste non può essere considerato legittimato ad agire in ottemperanza neanche quale successore della società in accomandita semplice "Geom. V.C. di Ing. D.C. & C.": non può, infatti, convenirsi con le controdeduzioni di parte ricorrente, la quale afferma che il venir meno della pluralità dei soci avrebbe comportato la concentrazioni dei diritti societari in capo all’unico socio superstite, che, quindi, avrebbe, per ciò solo, diritto alla prosecuzione in nome proprio dell’attività.

Ciò in quanto alla data dell’atto rogato dal notaio Aquaro il 18 gennaio 2010 e denominato "continuazione dell’attività imprenditoriale da parte dell’unico socio nella forma di impresa individuale", la società in accomandita semplice "Geom. V.C. di Ing. D.C. & C." doveva ritenersi già sciolta "ex lege" a norma dell’art. 2323, comma 1, del codice civile, non essendo stata ricostituita la pluralità dei soci nel termine di sei mesi dalla morte dell’ultimo socio, avvenuta in data 19 luglio 2009, e avendo lo stesso socio superstite manifestato la volontà di non intendere ricostituire la pluralità dei soci.

Pertanto, lo scioglimento della società in accomandita semplice ha determinato una "deminutio" del potere di amministrazione della società in capo all’amministratore superstite (odierno ricorrente), il quale, a norma dell’art. 2274 conserva tale potere "limitatamente agli affari urgenti, fino a che siano presi i provvedimenti necessari per la liquidazione": tale potere di amministrazione, poi, passa in capo ai liquidatori, i quali, a loro volta, hanno il potere di compiere solo gli atti necessari per liquidare i risultati della cessata attività sociale, posto che l’art. 2279 cod.civ. pone a carico dei liquidatori stessi, il divieto di compiere nuove operazioni.

Orbene, sia l’art. 2274 sia l’art. 2279 del codice civile, che in caso di scioglimento della società rispettivamente limitano il potere degli amministratori ai soli affari urgenti e pongono a carico dei liquidatori il divieto di compiere nuove operazioni sono norme che perseguono l’evidente "ratio" di impedire la prosecuzione dell’attività sociale, consentendo invece solo il compimento degli affari urgenti e comunque di tutte le operazioni funzionali alla liquidazione della società.

Ciò significa che, una volta avvenuto lo scioglimento della società, né l’ amministratore nè il liquidatore hanno il potere di compiere atti di prosecuzione dell’attività sociale o di utilizzazione dei beni della stessa, giacché la società, ancorché sciolta, continua a sopravvivere, come soggetto collettivo, pur dopo la messa in liquidazione, all’unico scopo di liquidare i risultati della cessata attività sociale (in tal senso si è costantemente espressa la Corte di Cassazione, la quale, proprio con riferimento ad una società in accomandita semplice, con sentenza, sez. II, 2 aprile 1999, n. 3221, ha affermato che lo scioglimento di una società non ne produce l’estinzione, in quanto la stessa continua ad esistere con la stessa individualità, struttura e organizzazione, sia pure con un restringimento della capacità, derivante dalla modificazione dello scopo che non è più quello dell’esercizio dell’impresa, bensì quello della sua liquidazione, attraverso la definizione dei rapporti di credito e di debito con i terzi).

Può allora affermarsi che il socio superstite di una società in accomandita semplice, beneficiaria di una sentenza del giudice amministrativo rimasta ineseguita, una volta intervenuto lo scioglimento della società ex art. 2323, comma 1, cod. civ., conserva il potere limitatamente agli affari urgenti, tra i quali non può farsi certamente rientrare il potere di prosecuzione dell’attività sociale sotto forma di impresa individuale, la quale, pertanto, non è legittimata ad agire in giudizio per l’ottemperanza di una sentenza emessa nei confronti della disciolta società al fine di tutela dei crediti da essa derivanti.

La legittimazione ad agire nel giudizio di ottemperanza sarebbe, infatti, spettata "Geom. V.C. di Ing. D.C. & C." s.a.s. o nella persona del suo amministratore, temporaneamente competente per gli affari urgenti- tra i quali ben avrebbe potuto farsi rientrare la proposizione del presente giudizio, in considerazione del breve termine previsto dalla legge nell’ipotesi di "translatio"- oppure nella persona del liquidatore.

Invece, il presente giudizio è proposto dall’ing. D.C., che agisce nella sua qualità di impresa individuale, in virtù della sua dichiarazione di voler proseguire l’attività imprenditoriale della disciolta società in accomandita semplice"Geom. V.C. di Ing. D.C. & C."

Orbene, la decisione di continuare l’attività imprenditoriale sotto altra veste non poteva essere ritenuta riferibile alla disciolta società in accomandita semplice "Geom. V.C. di ing. D.C. e C.", beneficiaria della sentenza T.a.r. Basilicata n. 87/1991, di cui si chiede l’esecuzione nel presente giudizio. E ciò in virtù della carenza di potere in capo all’ing. D.C. a disporre la continuazione dell’attività imprenditoriale nella veste di impresa individuale, non potendosi farsi rientrare tale decisione né nella categoria degli "affari urgenti" né nell’alveo di quelle attività preordinate alla tutela del patrimonio sociale al fine della liquidazione.

3.3- In conclusione, la carenza di potere dell’ing. D.C. a disporre la prosecuzione dell’attività sociale della disciolta società in accomandita semplice si riverbera sulla legittimazione ad agire nel presente giudizio di ottemperanza (riconosciuta sia alle parti che hanno partecipato al giudizio di cognizione concluso con la pronuncia oggetto della domanda di esecuzione sia ai successori o aventi causa) poiché il ricorrente non agisce né quale amministratore né quale liquidatore della disciolta società in accomandita semplice che è stata parte del giudizio sfociato con la sentenza T.a.r. Basilicata n.87/1991 e neppure l’impresa individuale, per le ragioni innanzi esposte, può considerarsi come successore della disciolta "Geom. V.C. di ing. D.C. e C." s.a.s. beneficiaria della sentenza portata in esecuzione con il ricorso in esame.

Al difetto di legittimazione attiva del ricorrente consegue l’inammissibilità del ricorso.

4.- Le spese e gli onorari di giudizio possono essere integralmente compensati in ragione della mancata conformazione dell’Ater di Potenza alla sentenza T.a.r. Basilicata n. 87/91.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima):

– dichiara il difetto di legittimazione passiva del Ministero dei trasporti;

– dichiara l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva della parte ricorrente.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *