Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-03-2011) 29-03-2011, n. 12841 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ratore generale, dott. Giovanni Galati, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del 16 novembre 2005 con cui il Tribunale di S.M. Capua Vetere aveva condannato P.G. alla pena di un anno di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede, con l’assegnazione di una provvisionale di Euro 1.000,00, in ordine al reato di calunnia, per avere, con denunzia presentata ai Carabinieri di (OMISSIS), affermato la falsità della sua firma e di quella del fratello, P.F., in calce alla polizza fideiussoria da lui stesso sottoscritta, così incolpando falsamente B. R. e Pr.Gu., rispettivamente firmatario della polizia per la Vittoria Assicurazioni e legale rappresentante di tale società, dei delitti di falso in scrittura privata e truffa.

La Corte d’appello, dopo avere disposto la rinnovazione del dibattimento per l’espletamento di una perizia grafologica, ha ritenuto, sulla base dei risultati della perizia, che le firme apposte sulla polizza fossero attribuibili all’imputato e che per questo dovesse confermarsi la sua responsabilità per il reato di calunnia, strumentale a bloccare il sequestro conservativo su beni immobili richiesto in sede civile dalla Vittoria Assicurazioni in forza della fideiussione sottoscritta assieme al fratello.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che, con un unico motivo, ha dedotto la violazione dell’art. 192 c.p.p. e il connesso vizio di motivazione, sostenendo che anche dopo l’acquisizione dei risultati della perizia disposta in sede di appello, permangono dubbi in ordine alla attribuibilità della sottoscrizione della polizza a P. G., situazione di incertezza che non giustifica una pronuncia di colpevolezza.

Il ricorso è inammissibile.

Occorre ribadire che, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile, cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Peraltro, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciatole, deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a se stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. I limiti del sindacato della Corte non sono mutati neppure a seguito della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, là dove si prevede che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per Cassazione: cd. autosufficienza) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di Cassazione, infatti, non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto.

Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione.

Nella specie, il ricorrente ha censurato la decisione della Corte d’appello senza indicare alcuna contraddizione intrinseca nella motivazione, limitandosi a sostenere che la prova della autenticità della firma sulla polizza non sia completa e che per questo non sia stata raggiunta la prova della sua responsabilità in ordine al reato di calunnia al di là di ogni ragionevole dubbio. Al contrario, la sentenza impugnata, sulla base della perizia disposta in sede di appello, ha riconosciuto la piena responsabilità dell’imputato con una motivazione che non presenta alcun profilo di perplessità e che ha confermato l’autenticità della sottoscrizione.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *