T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., 24-03-2011, n. 1687 Decisione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in trattazione, notificato il 18 gennaio 2011 e depositato il successivo 21 gennaio, la ricorrente, premesso di essere stata candidata a Sindaco del Comune di Sant’Antonio Abate nella scorsa tornata elettorale del 67 giugno 2009 e di ricoprire attualmente la carica di consigliere di minoranza e capogruppo dell’Italia dei Valori, espone che:

– con delibera G.C. n. 196 del 2.11.2010 il predetto Comune ha approvato la proposta di Piano Urbanistico Comunale (P.U.C.) ai sensi della legge regionale n. 16/2004, provvedendo a consegnare ai consiglieri comunale copia cartacea e su supporto informatico degli elaborati tecnici, approvati con la indicata delibera;

– avendo appreso dalla nota redatta dall’Assessore al P.U.C. che gli elaborati progettuali presentati dai consulenti esterni – chiamati ad integrare l’Ufficio di piano – erano stati "presumibilmente" modificati, ha chiesto di prenderne visione con nota prot. n. 28592 del 3.12.2010, con particolare riferimento alla "tavola di progetto inerente la zonizzazione – quadro di insieme dell’intero territorio comunale";

– con provvedimento prot. n. 29228 del 13.12.2010, il Dirigente dell’Area tecnica ha negato l’accesso ai predetti atti inerenti gli elaborati tecnici redatti dai consulenti esterni.

Ciò esposto, ritenendo illegittimo l’impugnato diniego, ne ha chiesto l’annullamento, unitamente all’accertamento del diritto della ricorrente all’accesso documentale richiesto, deducendo al riguardo il seguente articolato motivo, così dalla medesima paragrafato.

– violazione e falsa applicazione dell’art. 43 D.lgs. 18.8.2000, n. 267 e dell’art. 24 legge 7.8.1990, n. 241; violazione art. 18 del vigente statuto comunale; eccesso di potere; sviamento; inesistenza dei presupposti, illogicità, travisamento.

Si è costituito per resistere il Comune intimato, il quale, con successiva memoria del 21.2.2011 ha eccepito la cessata materia sul presupposto che il Comune ha provveduto al rilascio alla ricorrente delle copie della documentazione richiesta.

Con memoria del 24.2.2011 quest’ultima ha contrastato l’eccezione di controparte, asserendo la persistenza dell’interesse della medesima ad una pronuncia nel merito del ricorso.

La causa è stata quindi chiamata e posta in decisione alla camera di consiglio del 9 marzo 2011.

Successivamente al passaggio in decisione del ricorso è pervenuta nella segreteria della sezione, per il tramite dell’Ufficio ricezione ricorsi (ove era stata protocollata con la stessa data 9 marzo 2011), una relazione del Comune intimato con allegata documentazione.
Motivi della decisione

Il ricorso ha ad oggetto la richiesta di accesso agli atti presentata dall’odierna ricorrente il 3.12.2010 "nella qualità di consigliere comunale di minoranza" e negato dal Comune intimato con nota prot. n. 29228 del 13.12.2010.

In particolare erano statti chiesti in visione ed in copia: "gli elaborati di progetto redatti dai tecnici esterni…con specifico riferimento alla tavola di progetto inerente la zonizzazione – quadro di insieme dell’intero comunale";

Va preliminarmente precisato che gli atti depositati dall’amministrazione il 9.3.2011 non possono essere presi in considerazione dal collegio, risultando pervenuti successivamente al passaggio in decisione della causa e, comunque, oltre i termini dimidiati fissati dall’art. 87, comma 3, del codice processo amministrativo approvato con d.lgs. 2.7.2010, n. 104.

Ciò precisato, il Collegio si deve fare carico, in primo luogo, dell’eccezione di cessata materia del contendere formulata dalla difesa del comune resistente e contrastata dal procuratore della ricorrente.

L’eccezione deve essere disattesa.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (cfr. cons. Stato, sez. V, 20 luglio 2009, n. 4541), dalla quale non sussistono motivi per discostarsi, "in relazione al necessario rispetto dei principi costituzionali di cui all’art. 24, 11, 113 Cost. che impongono al giudice di pronunziarsi sulla questione controversa, salvo la rinunzia delle parti all’azione o al ricorso, ovvero salvo che nel caso si sia effettivamente realizzata una situazione di cessata materia del contendere, solo in via eccezionale può chiudersi il giudizio per inutilità della sentenza da accertare con il massimo rigore proprio per non vanificare le sopradette garanzie costituzionali (Cons. Stato, Sez. IV, 13 gennaio 2006 n. 68)".

Nella specie oggetto del giudizio, oltre l’annullamento del diniego, che non risulta annullato, è anche l’accertamento del diritto della ricorrente all’accesso agli atti richiesti, diritto che anche nella memoria del Comune, con la quale si eccepisce la cessazione della materia del contendere, viene ancora negato, ribadendo l’infondatezza del ricorso in trattazione.

A tale stregua, alla luce dei richiamati principi, non può pronunciarsi la cessata materia del contendere.

Né il ricorso può dichiararsi improcedibile, in quanto, come ulteriormente precisato dalla giurisprudenza (Cons. St., VI, 21 dicembre 2010, n. 9323; id., IV, 12.3.2009, n. 1431; id. 3.11.2008, n. 5478; id., V. 23.1.2006, n. 159), condivisa dal collegio, "la declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse consegue esclusivamente ad una modificazione della situazione di fatto o di diritto esistente al momento della domanda, tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, anche sotto un profilo meramente strumentale, ravvisabile in prospettiva risarcitoria o morale, ravvisabile nel precetto conformativo dell’azione amministrativa de futuro e la relativa indagine deve essere condotta dal giudice con il massimo rigore, onde evitare che detta declaratoria si risolva in una sostanziale elusione dell’obbligo di pronunciare sulla domanda. ".

Nella specie, la ricorrente, nell’evidenziare la persistenza del suo interesse ad una decisione di merito, ha espressamente fatto riserva di proporre azione di risarcimento danni, il che esclude la possibilità per il collegio di definire il ricorso con una sentenza di rito.

Tale impossibilità ora è espressamente prevista dall’art. 34, comma 3, del codice processo amministrativo, secondo il quale "Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori"; principio questo che, se pure posto espressamente in materia di giudizi di annullamento, deve ritenersi applicabile a tutte le altre tipologie attribuite al giudice amministrativo, in considerazione del richiamato orientamento giurisprudenziale anteriore all’entrata in vigore del codice sul processo amministrativo..

L’interesse ad una sentenza di merito è riconoscibile alla ricorrente anche sotto il profilo strumentale ravvisabile nel precetto conformativo dell’azione amministrativa de futuro, posto che viene ancora negato un diritto di accesso di un consigliere comunale, senza tener conto della non assimilabilità di tale diritto a quello degli altri cittadini, come sarà meglio evidenziato più avanti.

Per quanto sopra argomentato può passarsi alla trattazione del merito.

Al riguardo giova evidenziare che l’impugnato diniego è stato adottato sul presupposto che l’odierna ricorrente "nella sua qualità, non ha diritto a visionare gli atti preparatori del PUC di Sant’Antonio Abate non solo in virtù dell’art. 24 della legge 241/90, comma 1, lett.c), ma anche della giurisprudenza amministrativa, secondo cui: "va esclusa l’applicazione della normativa sull’accesso con riferimento agli atti preparatori nell’ambito dei procedimenti pianificatori" Tar Toscana, Firenze, sez. I, 20 aprile 2004, n. 1196; conforme Consiglio di stato, sez.V, 14 ottobre 1998, n. 1479".

Il ricorso è fondato, in accoglimento delle censure di violazione dell’art. 43 del D.lgs. 18.8.2000, n. 267 e dell’art. 24 legge 7.8.1990, n. 241.

Dispone l’art. 43 del d.lgs. n. 267/2000 che "I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge".

Da tale disposizione, come precisato dalla costante giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, V, 9 dicembre 2004, n. 7900; id., 17 settembre 2010, n. 6963; id., 9 ottobre 2007, n. 5264), pienamente condivisa dal collegio, "emerge chiaramente che i consiglieri comunali hanno diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento del loro mandato, ciò anche al fine dì permettere di valutare con piena cognizione di causa la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.

II diritto codificato da tale disposizione è direttamente funzionale non tanto ad un interesse personale del consigliere comunale o provinciale, quanto alla cura di un interesse pubblico connesso al mandato conferito e, quindi, alla funzione di rappresentanza della collettività. Il diritto ha una ratio diversa, quindi, da quella che contraddistingue l’ulteriore diritto di accesso ai documenti amministrativi che è riconosciuto, non solo ai consiglieri comunali o provinciali, ma a tutti i cittadini (art. 7, legge n. 142/1990 applicabile agli atti degli enti locali) come pure, in termini più generali, a chiunque sia portatore di un interesse personale e concreto e per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, in riferimento ai documenti amministrativi detenuti da amministrazioni diverse dai comuni e dalle province (art. 22 legge 7 agosto 1990, n. 241; art. 2 d.PR. 27 giugno 1992, n. 352)".

Tale orientamento, peraltro, è già stato condiviso dalla sezione con recente sentenza 2.12.2010, n. 26573, con particolare riferimento ai consiglieri comunali di minoranza.

A tale stregua illegittimamente è stato negato il diritto di accesso agli atti richiesti dall’odierna ricorrente, espressamente nella qualità di consigliere comunale e ai sensi del menzionato art. 43 del d.lgs. n. 267/2000.

Né la circostanza che gli atti in questione abbiano natura preparatoria è di ostacolo al riconoscimento del diritto di accesso di cui è causa, atteso che la norma sopra citata riconosce al consigliere comunale il diritto di accesso a tutti i documenti, ivi compresi quelli preparatori (cfr. Cons. Stato, V, 7.5.1996, n. 528).

Quanto, infine alla giurisprudenza richiamata a sostegno dell’impugnato diniego, la stessa risulta chiaramente inconferente, avendo ad oggetto richieste di privati e si è in precedenza evidenziato che il diritto di accesso riconosciuto ai consiglieri comunali ha una ratio diversa.

In conclusione e per quanto sopra argomentato, il ricorso risulta fondato e, come tale, va accolto, all’uopo disponendosi nei sensi di cui in dispositivo.

Le spese di giudizio, come è regola, seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura parimenti indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnato diniego e dichiara il diritto della ricorrente, nella qualità di consigliere comunale, all’accesso dei documenti richiesti con l’istanza del 3.12.2010;

Condanna il comune soccombente al pagamento delle spese processuali, liquidate in favore della ricorrente nella misura complessiva di euro settecentocinquanta/00 (750,00), ivi compresi diritti e onorari, oltre IVA e CPA, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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