Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-06-2011, n. 13535 Esercizio delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 2-2-2000 V.I.E. conveniva dinanzi al Tribunale di Trento, Sezione Distaccata di Cavalese, J.L., T.B. e R.R., assumendo di essere proprietaria di un fondo in (OMISSIS), intavolato con la particella 6802, a cui carico era stata costituita coattivamente, con sentenza del 20-4-1989 del Tribunale di Trento, confermata in appello, una servitù di passaggio in favore della particella 6853/2, intestata ai convenuti. L’attrice deduceva che questi ultimi, nell’edificare la strada di accesso al loro fondo, avevano asservito un’area complessiva di mq. 222, in luogo di quella di mq. 159 prevista nella sentenza costitutiva della servitù, avevano danneggiato la proprietà dell’istante ed avevano posizionato una stanga munita di lucchetto in corrispondenza dell’imbocco della stessa strada. Essa, pertanto, chiedeva che venisse inibito ai resistenti il passaggio sull’area non gravata da servitù, con condanna degli stessi al ripristino ed al risarcimento danni.

I convenuti si costituivano deducendo di avere edificato la strada in conformità del dispositivo della sentenza costitutiva del Tribunale di Trento, adeguandola, tuttavia, alle particolari caratteristiche del terreno. Aggiungevano di avere offerto alla controparte la somma di L. 1.000.000 a titolo indennitario, per l’eventualità che la superficie asservita risultasse più estesa di quella contemplata nel titolo costitutivo, nonchè le chiavi della sbarra.

Con sentenza del 13-5-2003 il Tribunale rigettava la domanda, evidenziando, in particolare, che ìa strada realizzata dai convenuti era soltanto di mq. 10 superiore a quella prefigurata nella sentenza n. 479/989.

La V. proponeva appello avverso tale sentenza, chiedendone l’integrale riforma.

Gli appellati si costituivano chiedendo il rigetto del gravame.

Con sentenza depositata il 16-3-2005 la Corte di Appello di Trento, in accoglimento dell’appello, dichiarava che gli appellati esercitavano la servitù di passaggio in modo difforme dal titolo costituito dalla sentenza n. 479U989 del Tribunale di Trento e, conseguentemente, condannava i predetti al ripristino del relativo tracciato secondo le misure previste nella parte dispositiva della suddetta sentenza, costituita dalla quarta ipotesi della relazione depositata il 20-12-1986 dal geom. T..

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono J.L., T. B. e R.R., sulla base di un unico motivo.

La V. resiste con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione

Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto fondamentale della controversia, nonchè la violazione del giudicato, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 e art. 113 c.p.c., artt. 1051 ss. e art. 1065 c.c., art. 1362 ss. c.c., artt. 12 ss disp. gen..

Sostengono che la Corte di Appello, nel ritenere che il manufatto realizzato dai convenuti ha una superficie (mq. 222) maggiore rispetto a quella (mq. 159) che risulta dalle misure fornite dal C.T.U. T. per l’ipotesi n. 4 espressamente richiamata nella sentenza costitutiva, ha omesso di considerare che la descrizione effettuata da tale consulente si componeva tanto di indicazioni riguardanti le misure della strada, quanto di un elaborato grafico che individuava il percorso sulle mappe catastali; e che, secondo quanto accertato dal C.T.U. C., vi è una sostanziale corrispondenza del tracciato realizzato con quello delineato in tale elaborato grafico, con la conseguenza che non solo l’esercizio della servitù deve considerarsi conforme al titolo, ma è rilevabile un originario errore di misurazione. Rilevano che il ripristino nei limiti delle misure previste nella parte dispositiva della sentenza costitutiva si tradurrebbe nella negazione della servitù, in quanto la limitazione del tracciato a metri 53 per 3 lascerebbe intercluso il fondo dei convenuti, non consentendo l’accesso alla pubblica via.

Fanno presente che la sentenza costitutiva contiene un’evidente discrepanza in ordine alla individuazione della servitù, dato il contrasto tra lo sviluppo lineare e l’indicazione grafica del tracciato. Deducono che tale discrepanza deve essere interpretata alla stregua del criterio dettato dall’art. 1065 c.c., secondo cui nel dubbio in ordine alla sua estensione e modalità di esercizio la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente.

Sostengono, pertanto, che la Corte di Appello ha disatteso sia i principi regolatori della materia che quelli di interpretazione del titolo e delle norme, in quanto con la decisione assunta ha vietato di fatto l’esercizio della servitù.

Il motivo è infondato.

La Corte di Appello, con apprezzamento in fatto non censurabile in questa sede, ha accertato che con la sentenza n. 479/989, passata in giudicato, è stata costituita in favore del fondo dei convenuti una servitù coattiva di passaggio a piedi e con veicoli della lunghezza di m. 53 e della larghezza di m. 3, secondo il percorso descritto nella ipotesi n. 4 della relazione tecnica depositata dal geom.

T. del 20-2-1986, con i "relativi allegati planimetrici"; e che, per converso, dalla consulenza tecnica di ufficio espletata in corso di causa è risultato che la strada realizzata dagli odierni ricorrenti occupa una superficie (mq. 222) maggiore rispetto a quella (mq. 159) prevista nel titolo costitutivo.

Correttamente, pertanto, il giudice territoriale ha disposto il ripristino del tracciato della strada nei limiti previsti dalla menzionata sentenza n. 479/989, rilevando, con motivazione corretta sul piano logico e giuridico, che la strada per l’esercizio della servitù avrebbe dovuto essere costruita esclusivamente secondo le indicazioni contenute nel titolo costitutivo, e che non appare conferente, al contrario, il supplemento di consulenza depositato nel precedente giudizio dal geom. C.T.U., non menzionato nella sentenza costitutiva e, quindi, inidoneo a fungere da fonte regolatrice del diritto di servitù in questione.

La decisione resa risulta immune dai vizi denunciati dai ricorrenti, essendo sorretta da una motivazione adeguata e logica e facendo buon governo del principio sancito dall’art. 1063 c.c., secondo cui l’estensione e l’esercizio della servitù sono regolati dal titolo.

Come è stato puntualizzato dalla giurisprudenza, infatti, il citato art. 1063 c.c., stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi artt. 1064 e 1065 c.c., rivestono carattere meramente sussidiario e possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego di adeguati criteri ermeneutici (cfr. Cass. 30-3-2009 n. 7639; Cass. 10-5-2004 n. 8853; Cass. 7-6-2002 n. 8261).

Erroneamente, pertanto, i ricorrenti si dolgono del mancato ricorso al criterio previsto dall’art. 1065 c.c., secondo cui "nel dubbio circa l’estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa di soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente". Per le ragioni esposte, infatti, tale disposizione può trovare applicazione solo quando permangano dubbi circa l’estensione e le modalità di esercizio della servitù; ipotesi che non ricorre nel caso di specie, in cui la Corte territoriale non ha dubitato dell’estensione della servitù di passaggio per cui è causa, alla luce delle chiare indicazioni contenute nel titolo esecutivo.

Ciò posto, si osserva che le deduzioni svolte nel ricorso per sostenere la corrispondenza del tracciato della strada realizzata a quello previsto nella sentenza costitutiva, si risolvono, in buona sostanza, in una richiesta di rivalutazione delle emergenze processuali, non consentita in questa sede. Nel sostenere, inoltre, l’erroneità delle misure indicate nella sentenza costitutiva della servitù e la loro inidoneità a consentire l’accesso dal fondo dei convenuti sulla pubblica via, i ricorrenti propongono censure che investono direttamente la predetta decisione, ormai passata in giudicato, e non la pronuncia resa nel presente giudizio dalla Corte di Appello, la quale, nel risolvere la controversia insorta tra le parti circa la conformità dell’esercizio della servitù di passaggio al titolo, non poteva che attenersi a quanto disposto nella sentenza costitutiva di tale diritto.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente grado, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

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