Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-06-2011, n. 13502 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ssibilità terzo motivo).
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con tre motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze depositata il 26-6-2006 che ha confermato la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Pisa, con la quale è stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con G.C. il 31- 1-2000, per "esigenze eccezionali.." ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e succ. con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato, ed essa società è stata condannata a corrispondere alla G. le retribuzioni dal 3-1-2003 (data della offerta delle prestazioni lavorative).

La G. è rimasta intimata.

La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

Ciò posto, sui primi due motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto riguardanti, sotto vari profili, la pretesa legittimità del termine, osserva il Collegio che la Corte di merito, tra l’altro, ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del ccnl del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de qua.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, questa Corte ha precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 "prescinde dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v.

Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3- 2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato".

(v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, pertanto, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 20-3- 2009 n. 6913, Cass. 5-4-2011 n. 7745, Cass. 18378/2006 cit.).

In applicazione di tale principio va quindi confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo risultando superfluo l’esame di ogni altra censura al riguardo.

Con il terzo motivo, indicato nella rubrica come di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ma in realtà riguardante la asserita violazione di una regola iuris riconducibile all’art. 2697 cod. civ. (con conseguente assorbimento, comunque, del preteso vizio di motivazione – arg. art. 384 c.p.c., u.c.) e attinente all’argomento della detrazione dell’aliunde perceptum dal danno da risarcire in conseguenza dell’accertata nullità del termine e della conversione del contratto a tempo indeterminato, la ricorrente lamenta, del tutto genericamente, che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere irrilevante la relativa eccezione e censura la sentenza per non avere tenuto conto che "l’aliunde perceptum,.. non può che essere genericamente dedotto dall’istante. Dovrebbe essere invece onere del lavoratore dimostrare di non essere stato occupato nel periodo in questione, per esempio a mezzo delle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi successivi alla scadenza del contratto a termine eventualmente dichiarato illegittimo e di altra eventuale documentazione (libretti di lavoro, buste paga)".

Il motivo, così riassunto, conclude poi con la formulazione del seguente quesito ex art. 366-bis c.p.c.:

"Dica la Corte se, nel caso di aggettiva difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la prova a supporto delle proprie domande ed eccezioni – e segnatamente per la prova dell’aliunde perceptum – il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole (con apposita motivazione) solo quando gli elementi somministrati dal richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto".

Se si tiene conto del principio secondo cui il quesito di diritto deve essere formulato in maniera specifica e deve essere pertinente rispetto alla fattispecie cui si riferisce la censura (cfr., ad es., Cass. S.U, 5 gennaio 2007 n. 36 e 5 febbraio 2008 n. 2658) è evidente che il quesito come sopra formulato dalla società appare in buona parte estraneo alle argomentazioni sviluppate nel motivo e comunque del tutto astratto, senza alcun riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato, per cui deve ritenersi inesistente con conseguente inammissibilità del motivo ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.. (in tal senso v. fra le altre Cass. 10-1-2011 n. 325).

Così risultato inammissibile il terzo motivo, riguardante le conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010 (invocato dalla società con la memoria).

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr, Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80).

Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il ricorso va così respinto ed infine non deve provvedersi sulle spese non avendo l’intimata svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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