Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-03-2011) 29-03-2011, n. 12768

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 29 settembre 2009, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del Gup presso il Tribunale di Napoli, in data 10/5/2007, appellata dal P.M. e dalle Parti Civili, dichiarava D.V.A. e A.F.P. colpevoli del reato di usura loro concorsualmente ascritto e li condannava alla pena di anni due, mesi quattro di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa ciascuno, oltre al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede.

La Corte territoriale accoglieva le censure mosse con l’atto d’appello, osservando che, a fronte di un prestito di Euro 155.000,00, D.V.A. si era fatto promettere ed aveva preteso una controprestazione pari a Euro 200.000,00 attraverso la stipulazione di un contratto preliminare nel quale il discorso relativo alla cessione dei tre appartamenti non poteva che avere la funzione di valvola di garanzia in caso di inadempimento dei 200.000,00 Euro richiesti.

Quanto alla posizione di A.F.P. (nipote di D. V.A.), la Corte lo riteneva responsabile di concorso con lo zio, osservando che senza il suo supporto tutta la macchinazione non avrebbe potuto realizzarsi. In proposito richiamava la deposizione del teste P. circa l’intervento dell’ A. presso lo zio per la quantificazione della richiesta di Euro 200.000,00 e la realizzazione della garanzia mediante prelazione di vendita dei tre appartamenti.

Avverso tale sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati per mezzo dei rispettivi difensori.

A.F.P. propone tre motivi di gravame. Con il primo motivo deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla condotta concorsuale dell’ A. e travisamento della prova. Al riguardo eccepisce che la condotta dell’ A., così come descritta nella sentenza (fol. 4), e come emerge dagli atti processuali, non è idonea a configurare una ipotesi di concorso nel fatto di usura contestato a D.V.A.. Osserva che il mero suggerimento allo zio di garantirsi per l’esborso del denaro non può atteggiarsi come istigazione a richiedere controprestazioni usurarie poichè l’ A. non è entrato nel merito degli accordi intercorsi fra il D.V. e gli Am. e di conseguenza non ha svolto alcun ruolo in ordine alla quantificazione della eventuale somma di denaro da restituire al D.V. all’esito della aggiudicazione degli immobili. Obietta quindi che le conclusioni assunte sul punto dalla Corte territoriale sono viziate da un palese travisamento della prova in ordine alla deposizione del teste P.C., laddove la Corte rileva che sarebbe stato "lo stesso A. a far quantificare allo zio la richiesta dei 200.000,00 Euro a fronte del prestito effettuato, dopo pochissimi giorni ed avergli consigliato di provvedere alla garanzia mediante prelazione di vendita dei tre appartamenti" (fol. 7). Tale dichiarazione risulta contraddetta dagli atti processuali ed in particolare dal verbale di sommarie informazioni rese dal P. in data 20/7/2005 (all. 1 al ricorso) dal quale emerge che fu lo stesso interessato, Am.Do., a quantificare il regalo al D.V., proponendogli la restituzione di Euro 200.000,00 a fronte dei 155.000,00 Euro che aveva avuto in prestito, mentre costui rifiutò la proposta dimostrandosi interessato ad avere la proprietà degli appartamenti acquistati all’asta più che il denaro.

Deduce inoltre che manca qualsiasi motivazione che dia conto della valutazione compiuta dalla Corte sui seguenti atti:

1) denunzia sporta dagli Am., nella quale non si faceva alcuna menzione dell’ A.;

2) verbale di sommarie informazioni rese dal padre dei denunzianti, Am.Do., dal quale si deduce che egli nominò l’ A. in modo assai marginale;

3) verbale della deposizione testimoniale di Am.Do. dal quale emerge che egli attribuisce all’ A. esclusivamente la responsabilità di aver consigliato allo zio di rivolgersi ad un avvocato per garantirsi rispetto all’operazione in corso;

4) verbale della deposizione testimoniale dell’avv. V. M., il quale ha dichiarato che l’ A. non c’entrava proprio niente.

Con il secondo motivo deduce violazione di legge contestando la sussistenza obiettiva del delitto di usura. Al riguardo eccepisce che la Corte territoriale è incorsa in un palese errore nell’individuazione del rapporto giuridico sotteso agli accordi intercorsi fra le parti ( D.V.- Am.), riconducendo tale rapporto nello schema del mutuo con pattuizione di interessi usurari.

Alla luce dei dati emersi dagli atti processuali tale rapporto, invece, sarebbe riconducibile allo schema dell’associazione in partecipazione. In particolare dal contratto preliminare di vendita del 29/12/2003 emerge che il D.V. aderì alla proposta degli Am. di realizzare un buon affare rendendosi finanziatore globale di un’operazione commerciale, pertanto il denaro fu versato dal D.V. come contributo finanziario necessario per l’acquisto degli immobili in vendita all’asta. Il vantaggio economico dell’operazione consisteva nella differenza fra il prezzo pagato (Euro 155.000,00) ed il valore commerciale dei sette appartamenti acquistati. Tale differenziale rappresentava il profitto ricavato dalla partecipazione all’affare di cui avrebbe dovuto beneficiare anche il D.V.. In tale contesto il contratto preliminare prevedeva un duplice alternativo rimedio per il caso di inadempimento dell’obbligo di trasferimento dei tre appartamenti, vale a dire la restituzione della somma versata dal D.V., pari a Euro 155.000,00 ed il pagamento di una penale di Euro 45.000,00. Pertanto l’accordo formalizzato nel contratto preliminare non conteneva alcune sproporzione fra le prestazioni, infatti l’ Am. – che non aveva versato neanche un Euro per l’acquisto degli immobili – restava libero di scegliere, una volta verificatosi l’esito favorevole delle operazioni di compravendita, se corrispondere al D.V. Euro 200.000,00 (comprensive di Euro 45.000) per il buon esito dell’operazione trattenendo per sè tutti e sette gli appartamenti, ovvero di trattenere solo quattro appartamenti e trasferire al D. V. i restanti tre (valutati evidentemente al prezzo di Euro 200.000).

Con il terzo motivo il ricorrente si duole della carenza di motivazione in ordine alla determinazione della pena irrogata, eccependo che non è sufficiente il mero richiamo all’art. 133 c.p..

D.V.A. solleva sette motivi di gravame e, con successiva memoria due motivi aggiunti.

Con il primo motivo deduce formale inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e carenza grafica della motivazione. Al riguardo eccepisce che la sentenza deve considerarsi nulla per mancanza di motivazione nel momento in cui sovverte il giudizio di assoluzione espresso dal Gup di Napoli, senza argomentare le ragioni che hanno portato la Corte ha ribaltare il giudizio di primo grado e trascurando del tutto la memoria difensiva depositata dalla difesa A. per l’udienza camerale.

Con il secondo motivo deduce la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sotto molteplici profili. In particolare si duole che la Corte in modo illogico si sia discostata dalle conclusioni cui è pervenuto il Gip, non considerando la realizzazione coattiva del contratto preliminare in termini di mera alternatività rispetto alla clausola penale e nella parte in cui assume che il compendio immobiliare composta da 7 appartamenti valeva molto di più rispetto a 200.000,00 Euro, trascurando che il preliminare di vendita aveva ad oggetto solo tre immobili, del valore pienamente adeguato a tale importo.

Con il terzo motivo deduce la contraddizione fra la motivazione e gli atti del procedimento per travisamento della prova con riferimento al negozio giuridico occorso fra il ricorrente e gli Am..

Al riguardo si duole che la Corte territoriale ha utilizzato informazioni inesistenti con riferimento:

a) alla circostanza per la quale il rimedio all’eventuale inadempimento dei germani Am. rispetto al contratto preliminare era costituito, in via non alternativa ed esclusiva, bensì cumulativa del trasferimento di tre appartamenti, ovvero della corresponsione di Euro 200.000,00 (garantiti mediante vaglia cambiari);

b) alla natura simulata della clausola penale dei 200.000,00 Euro per il mancato adempimento, in realtà dovuti a titolo di interessi usurari;

c) alla circostanza destituita di fondamento secondo la quale il D. V., operatore ecologico del Comune di Napoli sarebbe proprietario di 14 appartamenti;

d) al fatto che il valore di mercato dei tre immobili sarebbe pari ad Euro 496.000,00, affermazione apodittica, in contrasto con la consulenza tecnica versata in atti.

Si duole, inoltre, che la Corte ha omesso di valutare numerosi dati probatori che – travisati o omessi – rivestono, invece, carattere di decisività. Al riguardo elenca una serie di circostanze delle quali la Corte territoriale ha omesso l’esame, fra le quali le dichiarazioni rese dagli avvocati R. e V., escussi ex art. 441 e dal teste M., la circostanza che la denunzia dei germani Am. era intervenuta dopo circa 18 mesi dai fatti, quando gli Am. avevano contezza del fumus della richiesta di sequestro conservativo avanzata dal D.V., che era stata respinta dal giudice civile soltanto sotto il profilo dell’inesistenza del periculum in mora. In definitiva eccepisce che il Giudice del gravame ha riformato la sentenza del Gup di Napoli utilizzando informazioni inesistenti e non valutando numerosi dati probatori che – travisati od omessi – rivestono carattere di decisività.

Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione apparente in riferimento alla interpretazione dell’accordo intercorso fra le parti laddove la Corte ha ritenuto di dover depurare l’episodio da una serie di ultronee considerazioni operate in sentenza, affermando la responsabilità del ricorrente senza tuttavia rassegnare in concreto le ragioni poste a sostegno del proprio decisum.

Con il quinto motivo deduce inosservanza o erronea applicazione di norme civili delle quali si deve tener conto nell’applicazione della legge penale ed illogica valutazione della prova, avendo il giudice del gravame ritenuto sussistente la fattispecie dell’usura, trascurando che dagli atti era evidente come il negozio stipulato il 29/12/2003 non fosse un mutuo, bensì un contratto atipico di associazione in partecipazione, tanto che il finanziamento del ricorrente era sub condicio dell’aggiudicazione dell’asta. Deduce, inoltre, la carenza grafica della motivazione e violazione della legge penale in relazione agli artt. 43 e 644 c.p. non avendo la Corte motivato per nulla sulla sussistenza degli elementi oggettivi soggettivo del reato di usura, nonostante dagli atti processuali fosse emersa tanto la mancanza di sproporzione fra le prestazioni, quanto la sostanziale mancanza di dolo del ricorrente.

Con il sesto motivo deduce inosservanza della legge penale e motivazione illogica in relazione agli artt. 110 e 644 c.p. nella misura in cui, pur affermandosi la diversità del contributo causale del D.V. rispetto al coimputato A., non se ne fa discendere una diversa dosimetria della pena.

Con il settimo motivo deduce nullità della sentenza in ordine all’art. 442 c.p.p. e carenza grafica della motivazione per avere la Corte omesso di applicare la riduzione di pena prevista per il rito abbreviato.

Con il primo motivo aggiunto il ricorrente deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 644 c.p. e art. 1362 c.c.. Avendo la Corte territoriale riformato una sentenza di assoluzione emessa all’esito di un giudizio abbreviato, mediante motivazione complessivamente carente oltre che manifestamente illogica e contraddittoria e quindi inidonea a resistere alle numerose obiezioni di segno contrario prospettate dalla difesa. Al riguardo richiama circostanze ed elementi probatori già indicati con il ricorso originario e non considerati dalla Corte territoriale.

Eccepisce inoltre che una serie di fatti e circostanze (da 1.a a 1.j) che avrebbero dovuto determinare il giudicante a ritenere sussistente un ragionevole dubbio sulla matrice usuraria del negozio de quo.

Con il secondo motivo aggiunto il ricorrente deduce erronea applicazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla applicazione della medesima pena al D.V. ed all’ A., pur attribuendo a costoro i ruolo diversi dell’istigato e dell’istigatore.
Motivi della decisione

I ricorsi sono fondati.

Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite: "In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 33748 del 12/07/2005 Ud. (dep. 20/09/2005) Rv. 231679).

Sulla scia di tale orientamento, questa Corte ha ribadito che: "La sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati" (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 6221 del 20/04/2005 Ud. (dep. 16/02/2006 Rv. 233083; conf. Sez. 5, Sentenza n. 42033 del 17/10/2008 Ud. (dep. 11/11/2008) Rv. 242330).

Nel caso di specie la sentenza impugnata fallisce la concordanza con i principi di diritto sopra richiamati ed è viziata da motivazione apparente in quanto si limita a ribaltare il giudizio emesso dal Giudice di prime cure senza una specifica confutazione delle ragioni poste a base della sentenza di primo grado, senza effettuare una compiuta analisi del materiale probatorio in atti, e senza minimamente prendere in considerazione gli argomenti sollevati nel giudizio d’appello con la memoria depositata dalla difesa A..

In particolare la sentenza d’appello rovescia le conclusioni assunte dal Giudice di primo grado nell’interpretazione della vicenda negoziale, senza fornire adeguata motivazione delle conclusioni assunte, limitandosi ad affermazioni di natura apodittica, laddove considera che "l’episodio, nella sua semplificazione, e quindi depurato da una serie di ultronee considerazioni operate in sentenza, porti a configurare una chiara usura", senza tuttavia precisare quali siano, ovvero in cosa consistano le ultronee considerazioni operate in sentenza.

Per quanto riguarda la posizione di A.F.P., la motivazione della sentenza impugnata è viziata, inoltre, da un palese "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 39048 del 25/09/2007 Ud. (dep. 23/10/2007) Rv. 238215).

Nel caso di specie la Corte ha fondato il proprio convincimento sulla responsabilità dell’ A., come istigatore, richiamando la deposizione del teste P., dalla quale ha tratto l’informazione che sia stato lo stesso A. a far quantificare allo zio la somma di Euro 200.000,00. Tuttavia tale informazione è inesistente agli atti e non risulta nel verbale delle dichiarazioni rese dal teste P., riportate testualmente nella sentenza di primo grado, dalle quali emerge che il P., attribuì la quantificazione (in Euro 45.000,00) del "regaluccio" che il D. V. avrebbe dovuto ricevere allo stesso Am..

Per quanto riguarda la posizione del D.V., la Corte territoriale mostra di aderire all’interpretazione del contratto preliminare stipulato fra le parti proposta dal P.M. appellante, in virtù della quale in caso di adempimento il creditore poteva cumulare tanto la realizzazione coattiva della vendita, quanto la restituzione della somma anticipata e la penale, ma, anche in tale circostanza, non fornisce alcuna indicazione sul percorso logico seguito per pervenire a tale assunto, che rimane, pertanto, apodittico.

Senonchè la decisione sulla natura usuraria del rapporto non può eludere il tema dell’interpretazione del contratto preliminare stipulato fra le parti. A questo riguardo non si può prescindere dalle disposizioni civilistiche. In particolare l’art. 1383 c.c. che stabilisce che il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale, se questa non è stata stipulata per il semplice ritardo. Pertanto la tesi della cumulabilità delle due prestazioni, ritenuta dalla Corte d’appello è falsificata da un dato normativo insuperabile. Per quanto riguarda la penale di Euro 45.000,00, occorre considerare che la natura stessa della clausola penale esclude che la stessa possa essere azionata per conseguire vantaggi usurari in quanto, a norma dell’art. 1384 c.c. la penale può essere diminuita equamente dal giudice se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo. Pertanto qualora il giudice civile dubiti dell’equità del risarcimento convenzionale del danno stabilito mediante clausola penale, può ridurre tale risarcimento in modo da ricondurlo ad equità.

Per le considerazioni sopra esposte il fatto deve essere ricondotto nell’ambito della patologia di una vicenda negoziale di diritto privato, dovendosi escludere l’oggettività del reato di usura contestato ai ricorrenti.

Di conseguenza la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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