Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-03-2011) 29-03-2011, n. 12766

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

e nella persona del Dott. Galati Giovanni, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 2.12.09 la Corte d’Appello di Lecce confermava la condanna emessa il 13.2.06 dal Tribunale di Brindisi nei confronti di S.F. e So.Em. per il delitto di riciclaggio di un ciclomotore di provenienza furtiva.

Per l’esattezza, il So. era ritenuto responsabile dell’alterazione degli identificativi del ciclomotore (numeri di telaio e del motore), mentre lo S. dello smontaggio del mezzo.

Tramite i propri difensori ricorrevano il So. e lo S. contro detta sentenza, di cui chiedevano l’annullamento.

Il So. lamentava la carenza di prova della propria responsabilità, a suo avviso desunta da mere congetture prive di riscontro. Si doleva, altresì, della mancata motivazione da parte della Corte territoriale sui diversi punti investiti dall’appello.

Lo S. deduceva, quale unico motivo di ricorso, la violazione dell’art. 648 bis c.p., norma a suo avviso inapplicabile riguardo ad un bene mobile registrato, come il ciclomotore, in caso di mero smontaggio di alcune componenti prive di codice identificativo (nel caso di specie, indicatori direzionali anteriori, vano della candela di accensione, pedale di accensione manuale, ammortizzatore posteriore e parafango); si sosteneva, infatti, in ricorso, la configurabilità del delitto di riciclaggio unicamente in ipotesi di manomissione degli identificativi del ciclomotore (che, nella vicenda in esame, erano stati precedentemente alterati in altra sede dal So.) o di smontaggio dei soli pezzi muniti di codice alfanumerico; nè – proseguiva il ricorrente – tale poteva considerarsi il parafango ove era applicato il targhino, individuando quest’ultimo il soggetto, ma non il mezzo.

1- Osserva questa S.C. che il primo motivo del ricorso del So. è generico perchè con esso il ricorrente non esamina specificamente – per confutarle – le considerazioni svolte dal provvedimento impugnato, limitandosi ad apodittiche affermazioni di carenza di prova.

A riguardo è appena il caso di ricordare che è inammissibile – per mancanza della specificità del motivo prescritta dall’art. 581 c.p.p., lett. c) – il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (cfr. Cass. n. 19951 del 15.5.2008, dep. 19.5.2008; Cass. n. 39598 del 30.9.2004, dep. 11.10.2004; Cass. n. 5191 del 29.3.2000, dep. 3.5.2000; Cass. n. 256 del 18.9.1997, dep. 13.1.1998).

Del pari generico è il secondo motivo di doglianza, che non indica quali sarebbero state le censure svolte in appello e trascurate dalla Corte territoriale.

Nè a tale lacuna si può ovviare mediante rinvio a motivi di gravame di cui però non si indica neppure in modo sommario il contenuto, così non consentendo l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte o malamente risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre alla verifica di questa Corte Suprema (cfr. ad es. Cass. Sez. 6^ n. 21858 del 19.12.2006, dep. 5.6.2007; Cass. Sez. 2^ n. 27044 del 29.5.2003, dep. 20.6.2003; Cass. Sez. 5^ n. 2896 del 9.12.98, dep. 3.3.99; Cass. S.U. n. 21 dell’11.11.94, dep. 11.2.95).

2- Il ricorso dello S. è infondato.

Invero, come questa S.C. ha già avuto modo di statuire (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 15092 del 2.4.07, dep. 13.4.07), integra l’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 648 bis c.p. anche il mero smontaggio di singoli pezzi non muniti di codici identificativi, ai fini della loro alienazione o del loro riutilizzo, appartenenti ad un bene mobile registrato (come un’autovettura o un ciclomotore).

Si premetta che con la riforma attuata dalla L. 9 agosto 1993, n. 328, art. 4 il delitto di riciclaggio è a forma libera, grazie alla previsione di chiusura che, alle condotte di sostituzione o trasferimento, ha aggiunto qualsiasi altra operazione atta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene.

E’ pacifico che possa trattarsi di operazioni anche meramente materiali sui beni (diversamente, sarebbe bastato ad integrare il delitto il trasferimento della res, già previsto come condotta rilevante nell’originaria formulazione della norma incriminatrice), purchè tali da ostacolare "l’identificazione della loro provenienza delittuosa".

Il riferimento alle condotte che ostacolano l’identificazione della provenienza delittuosa – e, prima ancora, a quelle di trasferimento – icasticamente evidenzia che la condotta del soggetto attivo del reato può incidere tanto sulla mera identità del bene, ovvero sulla sua "riconoscibilità", quanto sulla "tracciabilità" del suo percorso.

Invero, per escludere il delitto di riciclaggio non basta che il bene resti astrattamente tracciabile se poi, proprio in forza di interventi di manomissione delle sue componenti, se ne altera l’identità in modo da non renderlo più riconoscibile. E, per converso, un bene può restare fisicamente identico e, ciò nondimeno, di difficile tracciabilità a cagione di plurimi trasferimenti dopo essere stato sottratto alla sfera di controllo del suo titolare.

Nel caso dei beni mobili registrati, la tracciabilità è legata alle relative risultanze documentali e queste ultime all’identità del mezzo che, contrariamente a quanto ritenuto dall’odierno ricorrente, è data non soltanto dagli identificativi fisicamente impressi sul bene (come i numeri di telaio o di motore) o comunque ad esso incorporati (come la targa), ma anche dal modello e dall’epoca di produzione.

Di conseguenza, per tornare al ciclomotore per cui è processo, pur senza intaccarne numero di telaio o di motore, una volta smontati taluni pezzi e sostituiti con altri analoghi, ancorchè di modelli differenti (per tipo, epoca e/o casa produttrice), si ottiene il medesimo risultato, vale a dire la creazione di un bene non più conforme (e, quindi, di non agevole riconoscibilità) ai numeri identificativi su di esso rimasti inalterati.

Pertanto, è erronea l’affermazione del ricorrente secondo cui l’aver smontato soltanto alcune componenti prive di codice identificativo (indicatori direzionali anteriori, vano della candela di accensione, pedale di accensione manuale, ammortizzatore posteriore e parafango) lasciava ancora riconoscibile il ciclomotore: in realtà, come questa S.C. ha sempre insegnato, integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche soltanto a rendere difficile l’accertamento della provenienza del bene (cfr. Cass. Sez. 6^ n. 16980 del 18.12.07, dep. 24.4.08; Cass. n. 2818/06; Cass. n. 47088/03; Cass. n. 9026/97) e, alla stregua di quanto precede, è indubbio che un ciclomotore esteriormente ritoccato sia riconoscibile non più immediatamente, ma solo all’esito di un controllo più approfondito.

E’, dunque, errata la supposizione del ricorrente secondo cui il delitto di riciclaggio non potrebbe prescindere da un’azione incidente sugli identificativi numerici e/o documentali del bene mobile registrato, nè questa S.C. ha mai statuito il contrario, atteso che i precedenti menzionati in ricorso si limitano ad affermare che integra il delitto p. e p. ex art. 648 bis c.p. la condotta del soggetto che, per occultare la provenienza delittuosa di un’autovettura o di un ciclomotore, ne alteri in tutto o in parte gli identificativi (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 38581 del 25.9.07, dep. 18.10.07, rv. 237989; Cass. Sez. 2^ n. 44305 del 25.10.05, dep. 5.12.2005, rv. 232770; Cass. Sez. 2^ n. 9026 dell’11.6.97, dep. 3.10.97, rv. 208747; Cass. Sez. 1^ n. 3373 del 14.5.97, dep. 21.6.97, rv. 207850; Cass. Sez. 1^ n. 7558 del 29.3.93, dep. 3.8.93, rv.

194767), ma non hanno mai dato corso all’asserzione reciproca, ovvero che solo agendo sugli identificativi medesimi possa commettersi il delitto in oggetto.

Erra altresì il ricorso laddove ritiene che l’avvenuta asportazione, ad opera dello S., del parafango ove era apposto il targhino del ciclomotore non sarebbe rilevante ai fini dell’art. 648 bis c.p., essendo il targhino un identificativo del soggetto e non del mezzo, potendosi trasferire su altro di uguale cilindrata: in realtà, pur non essendo strido iure un identificativo del bene, nondimeno il targhino del ciclomotore, consentendo di risalire ad un determinato soggetto e a un tipo di mezzo può, in concorso con altri elementi, rinviare al delitto presupposto.

3- In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso del So., mentre quello dello S. va rigettato.

Ne consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e del solo So. anche al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nella sua impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso di S.F. e dichiara inammissibile quello di So.Em.. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e il So. anche al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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