Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-03-2011) 29-03-2011, n. 12802

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale della libertà di Roma, con ordinanza in data 26/10/2010, confermava l’ordinanza del G.I.P. del medesimo Tribunale, in data 30/9/2010, applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di G.L., indagato del delitto di usura ed estorsione. Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’indagato deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c) ed e), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 273 c.p.p., art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 275 c.p.p., rilevando la insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, la mancanza di riscontri documentali nella erronea valutazione di inverosimiglianza delle dichiarazioni dell’indagato che ha prospettato di essere stato truffato.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

In materia di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di legittimità spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (Cass. pen., Sez. 2A, 17/12/2004, n. 3240). Il Tribunale, conformemente alle valutazioni del G.I.P., ha individuato gravi elementi di responsabilità desumendoli dalle risultanze delle conversazioni intercettate sia sull’utenza dell’indagato, sia su quella di C.S. (pag 1-3 ord.) Viene, anche, compiutamente esaminata la condotta dell’indagato che, a fronte di un prestito di Euro 250.000, ha richiesto la immediata restituzione, in un primo momento, di almeno la metà della somma prestata e, successivamente, della somma di Euro 700.000, evidenziando come la disponibilità di somme ingenti da parte del prevenuto non risulti compatibile con la sua attività lavorativa, non avendo mai presentato dichiarazione dei redditi e le cui movimentazioni bancarie sono stato oggetto di segnalazione nel 2010 quali operazioni sospette per il ricorso disinvolto dell’uso di contanti.

Il teste Gi. ha confermato, nel corso dell’interrogatorio, che a fronte di un prestito di Euro 250.000, erogato nel giugno, aveva concordato con l’indagato la restituzione, a dicembre, della metà del capitale e la corresponsione mensile di Euro 18.000 a titolo di interessi, rata che si sarebbe dimezzata al giugno successivo, scadenza prevista per la restituzione della restante metà del capitale, rilevando che nel settembre successivo la situazione era degenerata, a seguito delle minacce del G. che lo aveva minacciato di morte e anche di rapire la figlia, costringendo a subire la modifica degli accordi, impegnandosi a versare 19 rate mensili da Euro 35.000 oltre a consegnare vari orologi e una Fiat Panda.

Il Tribunale, con valutazione coerente logica, ha ritenuto attendibili le dichiarazioni delle parti offese ritenendo non sussistente, da parte della C., alcun intento calunniatore o truffaldino, evidenziando, ai fini della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, l’onerosità delle condizioni imposte ai debitori, la progressiva escalation di violenza e minacce nei confronti delle parti offese, tanto da indurle a trasferire le figlie presso amici all’inizio di settembre.

Il Tribunale ha ritenuto che la consistenza del materiale probatorio risulta coerente con il profilo dell’indagato emerso dalle intercettazioni, dalle quali risulta l’enorme disponibilità di contanti da parte dello stesso, non giustificata dall’attività apparentemente svolta, l’investimento in attività non limpide, i collegamenti con pregiudicati e l’abituale sostituzione delle utenze e delle schede telefoniche, di per sè indicativa di un intento elusivo dei controlli e della natura illecita degli affari trattati, ritenendo l’inattendibilità delle dichiarazioni del prevenuto che ha affermato di essere stato truffato dalle parti offese.

Quanto sopra è in linea con il costante insegnamento di questa Corte Suprema che ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che in tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice, possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa e quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima. Ne consegue che le deposizioni delle persone offese dal reato, pur se non possono essere equiparata a quella del testimone estraneo, possono tuttavia essere assunte anche da sole come fonte di prova, ove siano sottoposte a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano – come nel caso di specie – situazioni che inducano a dubitare della loro attendibilità. (Sez. 3, Sentenza n. 22848 del 27/03/2003 Ud. – dep. 23/05/2003 – Rv. 225232).

Inoltre in tema di prove, la valutazione della credibilità delle persone offese dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e che non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni.

(Sez. 3, Sentenza n. 8382 del 22/01/2008 Ud. – dep. 25/02/2008 – Rv.

239342).

Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (Cass. pen., Sez. 2A, 17/12/2004, n. 3240). Va, conseguentemente, rigettato il ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

Non conseguendo dalla presente sentenza la rimessione in libertà dell’indagato, si dispone che la cancelleria, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, trasmetta copia di questo provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario nel quale è detenuto il ricorrente.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si comunichi ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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