Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-03-2011) 29-03-2011, n. 12797

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

o Paolo (per T.) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 18/03/2010, il Tribunale di Tarante, in un procedimento penale a carico di T.M. – indagato di vari reati fra cui truffa, corruzione, peculato – decidendo in sede di rinvio, rigettava l’istanza con la quale A.M. e T.S. – nella loro qualità di terze proprietarie nonchè moglie e figlia dell’indagato – avevano proposto il riesame avverso il decreto di sequestro preventivo, ex art. 322 ter c.p., disposto, in data 20/04/2009, dal g.i.p. presso il tribunale della medesima città, su un appartamento sito in V.le (OMISSIS) appartenenti in parti uguali ed indivise alle ricorrenti.

2. Avverso la suddetta ordinanza, sia la A. che la T. hanno nuovamente proposto ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 322 TER c.p. per non avere il tribunale fornito adeguata quanto coerente motivazione e risposta in merito ai rilievi della Corte di cassazione effettuati con la sentenza che aveva disposto l’annullamento della prima ordinanza. In altri termini, secondo le ricorrenti, anche l’ordinanza impugnata non aveva dimostrato, così come la prima annullata, che il bene sequestrato fosse nella disponibilità dell’indagato. Al contrario, la difesa aveva allegato e provato, tramite la produzione delle bollette di luce, acqua e telefono che l’immobile era nella disponibilità della ricorrente T.S.. Non era stato, quindi, provato che il terzo intestatario si fosse prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al soggetto indagato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

3.1. La Corte di Cassazione, con la sentenza n 88/2010, dopo avere richiamato i principi di diritto in ordine alla confiscabilità di cose appartenenti a terzi ("E’ risaputo dalla consolidata giurisprudenza di legittimità che ai fini dell’operatività nei confronti dei terzi del sequestro e della successiva confisca incombe alla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sicchè possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al soggetto indagato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca, così come spetta al giudice della cautela esplicare poi le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, utilizzando allo scopo non solo circostanze sintomatiche di mero spessore indiziario, ma elementi fattuali, dotati dei crismi della gravità, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche in chiave indiretta, l’assunto accusatorio") aveva annullato la precedente ordinanza, adducendo la seguente motivazione:

"nel caso all’esame di questa Corte non sembra che i giudici del merito abbiano fatto corretta applicazione di detti principi, essendosi limitati a supportare il convincimento della disponibilità del bene, intestato alla moglie e alla figlia dell’indagato, sulla scorta di mere presunzioni, inerenti al rapporto di stretta parentela, all’arco temporale intercorso tra l’acquisto e l’epoca dei reati contestati, ovvero a non meglio precisate risultanze di una consulenza del P.M. senza tener conto che l’acquisto dell’immobile da parte della A., dalla cui vendita si assume essere stato ricavato una parte del prezzo per l’acquisto dell’immobile in sequestro era avvenuto nel Maggio 1987, in epoca cioè non sospetta, assai lontana dai fatti criminosi, e che l’acquisto dell’immobile da parte della T.S., dalla cui vendita sarebbe stato ricavato altra parte del prezzo dell’immobile de quo è avvenuto per atto notarile del 2/4/2002, quando l’attività criminosa, che secondo l’impostazione accusatoria si sarebbe protratta dal 2001 al 2007, era ancora ai suoi albori. Collegare, come fa il giudice del riesame, la disponibilità del bene in capo all’indagato alla considerazione che il T.M. avesse trasferito fondi propri alla A. M., perchè li utilizzasse per l’acquisto dell’immobile de quo, che il medesimo avesse consentito alla figlia, priva di redditi propri, di effettuare l’acquisto dell’immobile in (OMISSIS) e che avesse contribuito fattivamente alla ristrutturazione della medesima unità immobiliare, senza però indicare gli elementi da cui dedurre tale conclusione – se non richiamando il rapporto parentela oppure in maniera non specifica i dati contenuti nella consulenza del P.M. – non appare soddisfare l’obbligo della motivazione". Quindi, l’indagine che la Corte di Cassazione demandò al Tribunale era quella di motivare in ordine all’asserzione secondo la quale anche i beni intestati alla A. ed alla T. S. (con il cui ricavato, in parte, era stato poi acquistato l’immobile sequestrato) erano stati acquistati con i proventi dell’attività dell’indagato erano riconducibili al medesimo e, quindi, sequestrabili.

3.2. Orbene, il tribunale, facendosi carico del motivo di annullamento (cfr pag. 3), alla stregua di una serrata analisi dei vari passaggi di proprietà, delle vendite a seguito delle quali le ricorrenti avevano acquistato l’immobile sequestrato e dei flussi finanziari della famiglia T. esaminati dal Ct del P.m. è giunto alla conclusione che anche i due immobili di via (OMISSIS) (intestati rispettivamente alla A. ed alla T.S. ed il cui prezzo, ricavato dalla vendita, fu utilizzato, in parte, per l’acquisto dell’immobile sito in V.le (OMISSIS)) in realtà facevano capo al T.M. perchè la A. aveva una "scarsità di mezzi" tali da non poter giustificare l’acquisto dell’immobile in via (OMISSIS) e la T.S. non aveva alcun reddito (cfr pag. 6-7 ordinanza).

Il Tribunale, quindi, sulla base di una serie di presunzioni (inerenti al rapporto di stretta parentela, all’arco temporale intercorso tra l’acquisto e l’epoca dei reati contestati: cfr. Corte di Cassazione cit.) nonchè del fatto che il prezzo pagato per l’acquisto dell’immobile proveniva dalle sole disponibilità finanziarie dell’indagato in quanto anche gli immobili venduti e con il cui prezzo, in parte fu acquistato l’immobile di V.le (OMISSIS), facevano capo al T.M., è giunto alla conclusione che il suddetto immobile, nonostante sia intestato alla A. ed alla T.S., sia nella sua disponibilità.

Le ricorrenti, come si è detto, sostengono che il Tribunale non avrebbe dato una risposta alla sentenza di annullamento di questa Corte.

3.3. Sennonchè si deve replicare che il Tribunale la risposta l’ha data essendosi premurato di chiarire, sulla base delle risultanze della Ct del P.m., i motivi per i quali doveva ritenersi che anche gli immobili di Via (OMISSIS) erano in realtà di proprietà del T.M..

A questo punto va rammentato che il ricorso per cassazione può essere proposto solo ed esclusivamente per violazioni di legge ex art. 325 c.p.p. sicchè il vizio di motivazione, secondo il pacifico l’indirizzo giurisprudenziale (SS.UU. 25080/2003 riv 224611 – SS.UU. 5876/2004 riv 226710 – SS.UU. 25932/2008 riv 239692 – Cass. 19598/2010 riv 247514) può essere dedotto in soli due casi:

– quando la motivazione manchi del tutto (ed mancanza grafica della motivazione);

– quando la motivazione, pur presente graficamente, sia apparente.

Con tale sintagma ("motivazione apparente"), la giurisprudenza di questa Corte intende quella motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento.

Infatti, la manifesta illogicità della motivazione, pur corrispondendo al mancato rispetto dei canoni epistemologici e valutativi che, imposti da norme di legge (principalmente dall’art 192, ma anche dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), regolano il ragionamento probatorio, non è però presidiata da una diretta sanzione di nullità. L’incongruenza logica della decisione (rectius:

contraddittorietà) contrastante con detti canoni può denunciarsi, quindi, nel giudizio di legittimità, soltanto tramite lo specifico motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., lett. E), che riconosce rilevanza al vizio allorchè esso risulti dal testo del provvedimento impugnato.

Quanto all’omessa valutazione di una prova decisiva, va osservato che il suddetto vizio non può mai essere qualificato come violazione di legge, bensì solo come vizio rientrante nell’ipotesi di motivazione contraddittoria o illogica. E’ ovvio, infatti, che, ove il giudice, nèiV iter motivazionale, ometta di prendere in esame una prova (sebbene decisiva) o ne travisi il risultato, il suddetto vizio andrà ad incidere sulla motivazione rendendola contraddittoria o illogica proprio perchè la prova omessa o travisata, contraddicendo l’esito al quale il giudice è pervenuto, rende la motivazione contraddittoria e/o illogica, ma non omessa atteso che una motivazione (sebbene affetta dalla suddetta patologia) è stata pur sempre resa ed ha una sua logica e coerenza che rende comprensibile il ragionamento effettuato. Quanto appena detto rende evidente l’infondatezza del ricorso atteso che le ricorrenti, lamentano, a ben vedere, pretese contraddittorietà della motivazione (cfr pag. 9 ss) e/o omissioni in ordine alla documentazioni prodotta (cfr pag. 10-11 ricorso), ossia vizi che non possono trovare accoglimento in questa sede. Non si può neppure affermare che il Tribunale non abbia tenuto conto del concetto di "disponibilità" in capo all’indagato/imputato nell’ipotesi in cui i beni sequestrati appartengano formalmente a terzi che ne rivendichino la piena ed esclusiva proprietà e disponibilità, perchè, al contrario, tutto lo sforzo motivazionale è stato incentrato nel dimostrare che tutte le risorse economiche con le quali le ricorrenti avevano acquistato l’immobile di V.le (OMISSIS), in realtà provenivano dal T.M. il quale, pertanto, anche in considerazione di altre presunzioni, doveva ritenersi il vero ed effettivo proprietario del suddetto immobile.

4. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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