Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-06-2011, n. 13469 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 19.12.1996 B.N. e R., premesso di essere proprietari di un immobile locato alla Provincia di Siracusa ed adibito a sede dell’Istituto d’Arte di Siracusa, adivano il Tribunale di Siracusa chiedendo che venisse dichiarata la nullità della disdetta del contratto di locazione inviata dalla Provincia per gravi motivi con condanna della stessa al pagamento dei canoni scaduti e da scadere oltre al risarcimento dei danni. In via subordinata, chiedevano la condanna della Provincia al ripristino dell’immobile nelle condizioni esistenti al tempo della stipula del contratto con il Comune, precedente conduttore, nonchè al risarcimento danni per il mancato guadagno derivante dalla perdita del reddito locativo durante il tempo della rimessione in pristino stato. In esito al giudizio, in cui si costituiva la Provincia, il Tribunale adito condannava la resistente al pagamento di Euro 124.444,44 oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e due terzi delle spese di lite con compensazione del residuo.

Avverso tale decisione proponevano appello principale i B. ed appello incidentale la Provincia. In esito al giudizio, la Corte di Appello di Catania con sentenza depositata in data 27 febbraio 2008 condannava la Provincia al pagamento della minor somma di Euro 98.515,20 e compensava le spese. Avverso la detta sentenza i B. hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Resiste con controricorso la Provincia Regionale di Siracusa, la quale ha depositato altresì memoria difensiva a norma dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

In via preliminare, deve richiamarsi l’attenzione sul rilievo che, secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte "in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la "ratio" dell’art. 366 bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione (S.U. 5624/09, Cass. 5471/08).

La premessa torna utile in quanto il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso sono articolati, ciascuno, in profili afferenti sia violazioni di legge sia vizi motivazionali e sono conclusi soltanto con quesiti di diritto relativi alle violazioni di legge.

Deve rilevarsi pertanto l’inammissibilità dei profili, attinenti ai vizi motivazionali, non accompagnati dal prescritto momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

Passando all’esame della prima doglianza, deve osservarsi che i ricorrenti, oltre all’asserito vizio motivazionale, hanno dedotto altresì la violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 27, lamentando che la lettera di disdetta della locazione con decorrenza 1.3.98, inviata dalla conduttrice il 16 agosto 1997 non conteneva l’indicazione dei gravi motivi giustificativi del recesso dovendosi escludere che il semplice riferimento alla Delib. n. 725 del 1997 potesse essere ritenuto come indicazione dei motivi.

Conseguentemente – questa, la conclusione dei ricorrenti – avrebbe sbagliato la Corte territoriale nel non dichiarare l’inefficacia della disdetta. La censura, pur fondata su una premessa aderente all’orientamento di questa Corte, è inammissibile nella misura in cui si rivolge contro una sola delle due distinte rationes decidendi, ciascuna delle quali è autonomamente idonea a sorreggere la decisione impugnata.

A riguardo, vale la pena di premettere che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il conduttore di immobile adibito ad uso diverso dall’abitazione, in qualsiasi momento, purchè con preavviso di sei mesi, può recedere anticipatamente dal rapporto locatizio, ma deve comunque, contestualmente alla dichiarazione di recesso comunicare al locatore i gravi motivi onde consentirgli di poterli contestare tempestivamente (Cass. 16676/2006, 6095/2006, 7241/2006). Ed invero, l’onere per il conduttore, di specificare i gravi motivi contestualmente alla dichiarazione di recesso ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 27, ancorchè non espressamente previsto da detta norma, deve ritenersi conseguente alla logica dell’istituto, atteso che al conduttore è consentito di sciogliersi dal contratto solo se ricorrano gravi motivi e il locatore deve poter conoscere tali motivi già al momento in cui il recesso è esercitato, dovendo egli assumere le proprie determinazioni sulla base di un chiaro comportamento dell’altra parte del contratto (Cass. n. 15058/08).

Ma se ciò è vero ed è quindi corretta la premessa di diritto da cui partono i ricorrenti, non può trascurarsi che la Corte territoriale, a ben vedere, non ha contestato la validità di tale premessa pervenendo alla sua decisione sulla base di due distinte ragioni: 1) con la disdetta in data 13.8.1997 la conduttrice non si era affidata ad una mera enunciazione della sussistenza di gravi motivi ma aveva richiamato specificamente le ragioni indicate nella Delib. Giunta 11 agosto 1997, n. 725, per cui i "gravi motivi" dovevano ritenersi immediatamente enunciati e specificati con la possibilità per la locatrice della verifica e della eventuale contestazione; 2) dalla lettura delle missive del 5 e 16 gennaio 1998 inviate dai locatori risultava che essi, sia pure successivamente alla ricezione della disdetta, avevano avuto piena conoscenza del contenuto della delibera in questione. Ora, a decorrere da tale data e fino a quella di rilascio e consegna dell’immobile (20.7.1998) il termine semestrale del preavviso risultava rispettato con conseguente perfezionamento del preavviso.

Ciò posto, deve rilevarsi che gli argomenti di censura, da parte dei ricorrenti, sono stati rivolti soltanto contro la prima delle due rationes decidendi, lamentando che nella lettera di disdetta non si era fatto riferimento "diretto o indiretto, specifico o generico ai gravi motivi che avrebbero giustificato il recesso anticipato" (cfr., pag. 10), mentre, al contrario, nessun argomento è stato contrapposto alla seconda ragione di decisione, fondata sulla considerazione che l’assolvimento, da parte del conduttore, dell’onere di specificare i gravi motivi di recesso, nel caso di specie, era in ogni modo avvenuto oltre sei mesi prima del rilascio dell’immobile circostanza quest’ultima ammessa nel ricorso (pag. 5) in cui i ricorrenti riconoscono che il 15 gennaio 1998 la Provincia di Siracusa aveva rilasciato all’ing. B. che ne aveva fatto richiesta copia della delibera – con la conseguenza che il perfezionamento del recesso era comunque avvenuto tempestivamente.

Ora, come hanno statuito le Sezioni Unite di questa Corte, in caso di sentenza fondata su più rationes decidendi, tutte idonee autonomamente a sorreggere la sentenza, occorre che tutte abbiano formato oggetto di specifica censura, pena l’inammissibilità dell’impugnazione (Sez. Un. 11848/08). Ne deriva l’inammissibilità della doglianza per difetto di specifica correlazione con ciascuna delle autonome ragioni poste dalla Corte territoriale a base del proprio deciso.

Passando alla seconda censura, articolata sotto il profilo del difetto assoluto di prova dei gravi motivi, occorre premettere che la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dei gravi motivi giustificativi del recesso sulla base della verifica del "notevole degrado della facciata con conseguenti pericoli e la mancanza del N.O.P. di Prevenzione Incendi, …ben evidenziati nella Delib. Giunta Provinciale 11 agosto 1997, n. 725 ….tutti riscontrati ed esistenti" (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). A fronte di tale valutazione, da parte della Corte, i ricorrenti lamentano che i motivi addotti dalla Provincia di Siracusa, oltre ad essere inesistenti, non sarebbero comunque idonei a giustificare il recesso.

La censura è inammissibile. Ed invero, le ragioni di doglianza, come risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate dai ricorrenti, non concernono violazioni o false applicazioni del dettato normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito e mirano ad un’ulteriore valutazione delle risultanze processuali, che non è consentita in sede di legittimità.

Ed invero, a questa Corte non è riconosciuto dalla legge il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito..

Con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante la quale la parte ricorrente, pur deducendo formalmente un vizio di legittimità, avanza, nella sostanza delle cose, così come nel caso di specie, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

Ugualmente inammissibile, sia pure per altre ragioni, è la successiva doglianza, la terza secondo l’ordine del ricorso, articolata sotto il profilo dell’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio – Omesso esame di documenti decisivi, e conclusa dal seguente quesito di diritto: "Il trasferimento delle competenze per la gestione degli Istituti Superiori dai Comuni alle Province stabilito dalla L.R. n. 15 del 1988, per il richiamo fatto a detta legge nel nuovo contratto di locazione stipulato dalla Provincia e per il riferimento alla consegna del l’immobile in precedenza fatta dal locatore al Comune, determina l’assunzione dell’obbligo per la Provincia di restituire al locatore l’immobile nello stato in cui era originariamente consegnato?".

Ora, a parte la mancata indicazione della categoria normativa entro la quale si vorrebbe far rientrare il vizio dedotto ed a parte, altresì, la stridente contraddittorietà tra la deduzione di un vizio motivazionale e la formulazione di un vero e proprio quesito di diritto, in luogo del prescritto momento di sintesi, in cui avrebbero dovuto essere indicati il fatto controverso e le ragioni per cui la motivazione sarebbe stata inidonea a sorreggere la decisione, appare di ovvia evidenza, dalla lettura del quesito, l’assoluta mancanza di correlazione tra il contenuto del quesito e l’asserita omessa e insufficiente motivazione della sentenza impugnata. Ed è appena il caso di sottolineare come sia il momento di sintesi che il quesito di diritto debbano consistere in una parte del motivo a ciò specificamente destinata, elaborata dal ricorrente in termini compiuti ed autosufficienti, senza che la Corte sia obbligata ad una attività di interpretazione della doglianza complessivamente illustrata, al fine di pervenire all’individuazione delle effettive ragioni di censura.

Resta da esaminare l’ultima doglianza, svolta dai ricorrenti, articolata, oltre che per il solito vizio motivazionale non accompagnato dal momento di sintesi e quindi, in relazione al detto profilo, inammissibile, anche per violazione e falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c.. Ed invero, la Corte territoriale – così scrivono i ricorrenti – avrebbe errato quando ha rigettato il motivo di gravame per mancanza di prova sulla pretesa diretta al riconoscimento del lucro cessante, adducendo che gli appellanti avrebbero ben potuto documentare la durata dei lavori eseguiti. Al contrario, la Corte di merito avrebbe potuto dare uno specifico incarico al Consulente tecnico d’ufficio volto ad accertare la circostanza. Parimenti, la Corte avrebbe sbagliato quando ha ritenuto che talune voci indicate per il ripristino dell’idoneità locativa dovevano essere poste a carico dei proprietari trattandosi di voci la cui manutenzione prescindeva dall’ordinario deterioramento locativo laddove, "leggendo la relazione del CTU ed il verbale di rilascio, si può affermare che l’immobile è stato letteralmente devastato e saccheggiato" (pag. 28 del ricorso).

Il primo profilo di doglianza è infondato nella misura in cui trascura che la consulenza tecnica di ufficio non può essere chiesta e disposta come mezzo per esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, gravando il relativo onere solo su di essa, salvi i casi che la parte non possa fornire la prova in altro modo oppure che i dati costituenti l’oggetto della prova siano tali da non poter essere percepiti anche dal profano o dall’uomo di normale diligenza, circostanza neppure dedotta nella specie. Il secondo profilo di doglianza è invece inammissibile in quanto contiene censure di merito e avanza, nella sostanza delle cose, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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