Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-03-2011) 29-03-2011, n. 12757

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Trieste, con sentenza in data 11 aprile 2010, confermava la sentenza del Tribunale di Udine in data 11 giugno 2009, appellata da L.N.G., dichiarato colpevole di rapina impropria aggravata, in concorso, di una catenina in oro e Euro 400 in contanti e di un telefono cellulare sottratti a D.T.M., all’interno della propria abitazione, lesioni e violazione di domicilio e condannato, con le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, con la continuazione, alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione e Euro 800 di multa. Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi;

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo ritenuto non contraddittori gli orari come ricostruiti nella sentenza di primo grado, in una lettura del tutto sfavorevole all’imputato e viziata da errori di fatto, ritenendo il valore del riconoscimento in udienza dell’imputato, ad opera della parte offesa, molto basso, fondandosi su una mera valutazione di somiglianza;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) per la mancata assunzione di accertamenti di tipo tecnico, quali la verifica delle celle interessate dal movimento del cellulare, sulla base del codice IMEI, per capire chi l’avesse utilizzato, individuando l’eventuale successivo traffico telefonico, omettendo di controllare le impronte digitali sul giubbotto, sul contenuto dello zainetto che conteneva le scarpe e calzini puliti oltre che sullo stesso trapano utilizzato nella rapina;

c) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per l’illogica e omessa motivazione in merito alla dedotta insussistenza della rapina impropria e dell’esimente di cui agli artt. 52 e 54 c.p., e art. 59 c.p., comma 4, ritenendo sussistere l’esercizio putativo del diritto di legittima difesa o lo stato di necessità rispetto a una condotta, ritenuta sproporzionata, della parte offesa;

d) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla mancata prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile in quanto le doglianze (sono le stesse formulate alla Corte di appello) sono prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici.

1) Con riferimento al primo motivo di ricorso il ricorrente propone, anche davanti a questa Corte, peraltro in via ipotetica, una ricostruzione alternativa a quella operata dai giudici di merito, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perchè sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza. (V., con riferimento a massime di esperienza alternative, Cass. Sez. 1 sent. n. 13528 del 11.11.1998 dep. 22.12.1998 rv 212054).

La Corte territoriale ha rilevando come gli elementi probatori raccolti convergano a carico dell’imputato riconosciuto, in termini di certezza, dalla parte offesa che ha avuto la possibilità di vederlo con sufficiente chiarezza, alla luce di un lampione che illuminava l’esterno del porticato dove avvenne la colluttazione;

inoltre, la mattina successiva, sono stati rinvenuti, presso l’abitazione del prevenuto, degli abiti macchiati di fango, tra cui un giaccone in pelle e un k-way, corrispondenti a quelli che avevano i rapinatori, descritti puntualmente dalla parte offesa prima che potesse vedere gli indumenti sequestrati. La Corte, con valutazione coerente e non illogica ha evidenziato come gli orari degli avvenimenti siano compatibili con la ricostruzione accusatoria e non denunziano alcuna inconciliabile discrasia. Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

2) Altrettanto infondata è la doglianza (secondo motivo di ricorso) relativa al diniego della Corte di disporre nuova perizia tecnica per individuare le celle interessate dal movimento del cellulare dell’imputato sulla base del codice IMEI e per verificare le impronte digitali sul giubbotto, sul contenuto dello zainetto e sul trapano utilizzato nella rapina. E’, infatti, orientamento costante di questa Corte (confronta, per tutte, Cass. n. 2979 del 2003, Bovicelli; Cass. n. 12027 del 1999 Mandala; Cass. n. 13086 del 1998, Patrizi) che la perizia non può ricondursi al concetto di prova decisiva, la cui mancata assunzione costituisce motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d).

E invero la perizia non può essere considerata alla stregua di una prova a discarico stante il suo carattere "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti in quanto affidato alla discrezionalità del giudice che può ammetterla, disattendere la relativa richiesta o ritenerla superflua, purchè con motivazione non illogica. Del resto le parti possono attuare il diritto alla prova anche attraverso proprie consulenze. La sua assunzione è, pertanto, rimessa al potere discrezionale del giudice e non è riconducitele a concetto di prova decisiva, con la conseguenza che non solo il relativo diniego non è sanzionabile ai sensi della norma suindicata, ma, in quanto giudizio di fatto, se assistito da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità, anche ai sensi del citato art. 606 c.p.p., lett. E).

Nella specie, la Corte di Appello ha disatteso la richiesta di perizia sul cellulare essendo presumibile che nel breve arco di tempo antecedente all’arresto, gli imputati, che avevano la disponibilità dei cellulari "puliti" non ne avessero certo fatto uso, ritenendo, implicitamente, superflui gli ulteriori accertamenti papillari;

3) Correttamente la Corte territoriale ha escluso l’esimente putativa della legittima difesa in mancanza in una presumibile reazione a un fatto ingiusto, non potendosi considerare tale il cercare di trattenere il ricorrente in attesa del sopraggiungere della Polizia, non potendosi supporre, in base alla coerente valutazione della Corte di merito, che la parte offesa altro intendesse fare di fronte due persone giovani in grado di contrastarlo fisicamente, mancando del tutto le condizioni per poter configurare un eventuale stato di necessità che presuppone che la situazione di pericolo non sia stata volontariamente causato da chi la invoca, eventualità da escludersi nella fattispecie.

4) Anche l’ultimo motivo è manifestamente infondato.

Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, "per il corretto adempimento dell’obbligo della motivazione in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee è sufficiente che il giudice dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, essendo sottratto al sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al detto giudice, il supporto motivazionale sul punto quando sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretto". (Cass. Sez. 1A sent. n. 3163 del 28.11.1988 dep. 25.2.1989 rv 180654). Anche la successiva giurisprudenza questa Corte ha confermato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la soluzione della equivalenza aver ritenuto, come nella fattispecie, detta soluzione la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto. (Sez. 4, Sentenza n. 25532 del 23/05/2007 Ud.

(dep. 04/07/2007) Rv. 236992, Sez. 3, Sentenza n. 26908 del 22/04/2004 Ud. (dep. 16/06/2004) Rv. 229298). La Corte territoriale ha escluso che le circostanze attenuanti generiche potessero essere riconosciute in regime di prevalenza sulle contestate aggravanti in considerazione dell’intensità del dolo manifestatosi con il procurarsi attrezzature idonee allo scasso, quale un trapano per forare gli infissi e della mancanza di qualunque segno di resipiscenza. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *