Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-03-2011) 29-03-2011, n. 12755

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con sentenza del 18/05/2010, la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza pronunciata in data 26/02/2008 con la quale il g.u.p. del Tribunale della medesima città aveva ritenuto C. A., G.M.T. e M.C. responsabili dei delitti di cui agli artt. 416 e 640 c.p. e li aveva condannati alle pene di giustizia oltre al risarcimento a favore delle costituite parti civili. p. 2. Avverso la suddetta sentenza, tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione. p. 2.1. C. ha dedotto violazione dell’art. 416 c.p. per non avere la Corte territoriale motivato in conformità "sia all’elaborato dottrinale che alla consolidata giurisprudenza. In particolare, era contraddittorio considerare il ruolo del M., da una parte, come funzionale all’illecito e, dall’altra, limitato ad un’operatività meramente esecutiva, con una minore intensità di dolo tale da giustificare la valutazione di prevalenza delle concesse attenuanti. Inoltre, sarebbe stato contraddittorio ritenere che fino al compimento della maggiore età del M., l’associazione non era configurabile per la incapacità del suddetto imputato, e, appena compiuto il diciottesimo anno, farlo diventare sodale dell’associazione sia pure con minore intensità di dolo, così omettendo di motivare sia la piena coscienza e volontà, sia la scemata coscienza e volontà legittimante la cosiddetta minore intensità del dolo. In sostanza, quindi, poichè mancava il numero minimo di tre persone, non sarebbe configurabile il reato associativo. p. 2.2. G. e M., hanno dedotto i seguenti motivi: 1.

VIOLAZIONE DELL’ART. 416 C.P. in ordine alla ritenuta partecipazione del M. al sodalizio criminoso. Si tratta, in pratica della stessa censura dedotta dalla C., in quanto si sostiene che mancherebbe la prova della consapevolezza dell’agente di legarsi al vincolo associativo e di contribuire attivamente alla vita dell’associazione. Infatti, l’apporto del M., sarebbe stato sporadico, ininfluente ed inidoneo ad accrescere le potenzialità dell’associazione ed a rafforzare i propositi delle presunte associate. Tanto, poi, risulterebbe palese dal profilo psicologico del M. che aveva vissuto in totale isolamento affettivo, relazionale e culturale essendo egli stesso convinto non solo che la C. fosse in contatto con suo padre defunto, ma che utilizzava egli stesso l’acqua radiata per curare i malesseri di cui soffriva, e che passava le giornate a scrive romanzi fantasy con la convinzione che se avesse elargito al padre defunto la somma di ventimila Euro, per il tramite della C., quest’ultimo lo avrebbe aiutato nella pubblicazione del libro.

2. VIOLAZIONE dell’ART. 640 C.P. per avere la Corte territoriale ritenuto che il M. fosse responsabile anche della truffa compiuta ai danni della sign.ra C.M. quando, in modo illogico e contraddittorio, era stata la stessa Corte ad escludere che il prevenuto vi avesse partecipato;

3. VIOLAZIONE DELL’ART. 82 C.P.P. per avere la Corte territoriale confermato le statuizioni civili nonostante l’intervenuta revoca (tacita) della costituzione di parte civile di A.F., B.A., C.D., C.L. e R. G. le quali aveva promosso un’autonoma azione civile, avente lo stesso oggetto, davanti il Tribunale il Milano.

4. violazione dell’art. 640 c.p. per avere la Corte territoriale ritenuto che entrambi gli imputati avessero la coscienza e volontà di commettere raggiri ed artifici ai danni delle vittime. Infatti, l’affermazione della Corte era il frutto di una lettura parziale dei motivi di appello dove si era messo in evidenza la fragilità psicologica e dipendenza di madre e figlio nei confronti prima di M.G. (marito e padre degli imputati) e poi della C. che credevano, in effetti, capace di mettersi in contatto con i defunti. Da qui l’impossibilità di ritenere che gli imputati fossero consapevoli dei presunti artifici e raggiri posti in essere nei confronti delle persone offese come si dovrebbe desumere dal fatto che essi stessi credevano (e chiedevano) alla C. di consultare il defunto M. o altre entità angeliche per le più disparate esigenze di vita, essi stessi bevevano l’acqua radiata per curare i propri malesseri fisici.

5. Prescrizione: con memoria datata 25/02/2011 è stata eccepita la prescrizione delle truffe commesse in data antecedente al 8/09/2003.
Motivi della decisione

p. 3. ASSOCIAZIONE A DELINQUERE: tutti e tre gli imputati sostengono che il reato associativo non sarebbe configurabile per mancanza del numero minimo di partecipanti (tre) in quanto il M.C., in considerazione del suo stato psicologico, non poteva ritenersi un sodale che aveva contribuito in modo volontario e cosciente alla ritenuta associazione.

La censura è infondata per le ragioni di seguito indicate. La doglianza in questione è stata ampiamente dibattuta in entrambi i gradi di giudizio come risulta dall’impugnata sentenza. Già il g.u.p. aveva rilevato che anche M.C. si inseriva consapevolmente, e con un proprio ruolo, nel sistema originariamente programmato dalla madre e da C., posto che il materiale in atti dava prova di sue sistematiche condotte strumentali alla riuscita dei vari illeciti programmati, in termini di apporto materiale o psichico verso l’identico risultato, perseguito non solo con riguardo al singolo reato, ma altresì nel contesto del più vasto programma di criminalità pienamente e consapevolmente condiviso; era lo stesso M., infatti, ad ammettere, oltre alla piena partecipazione all’illecito se pure con ruolo gregario, la piena consapevolezza non solo di tutte le pratiche che, anche con il suo fattivo contributo, si accreditavano come realizzate al solo fine di avere fonti di reddito, ma altresì del loro inserirsi in un più complesso piano criminale che veniva di volta in volta perpetuato attraverso la reiterazione sempre del medesimo schema comportamentale; del resto, osservava il primo giudice, la peculiare personalità dell’imputato e l’indubbia condizione di isolamento relazionale in cui era stato tenuto dopo la morte del padre, non menomavano la sua capacità di intendere il significato delle azioni realizzate e di rappresentarsi la comune attività come manifestazione del programma elaborato per acquisire denaro; ne era prova anche solo il fatto che, in alcune conversazioni intercettate – riportate – M. assumeva iniziative in merito alla condotta da tenere con i clienti; in definitiva, tutta la sequenza sopra descritta, per come emersa sulla scorta di tre generi diversi di elementi probatori, costituiti dalle dichiarazioni delle persone offese, dei dati emersi nel corso delle operazioni di ascolto autorizzato sulle utenze nella disponibilità degli imputati,dalle dichiarazioni degli imputati medesimi, converge nel senso di evidenziare che tra C., C. e M. si sia instaurato un legame finalizzato all’illecito e, segnatamente, alla acquisizione di utilità economiche ottenute mediante la loro spontanea consegna da parte delle pp.oo., alle quali veniva fatto credere che era necessario per la loro salute e per quella dei loro cari la evocazione di poteri sovrannaturali che C. era in grado di attivare tramite il defunto M.G.; legame che prescindeva dal singolo specifico accordo in vista della esecuzione di volta in volta dello specifico reato, per inserirsi in un piano articolato ab initio tra le due donne, alle quali si è aggiunto M. al raggiungimento della maggiore età, sulla scorta di una determinazione di volontà unitaria ed omnicomprensiva, che prevedeva e pianificava la esecuzione delle varie condotte, di per sè integranti le singole fattispecie criminose, reiterate nel tempo (cfr pag. 2 sentenza impugnata che riporta la decisione del g.u.p.).

In sede di appello, la questione fu reiterata (cfr pag. 5 ss della sentenza impugnata) ma la Corte, fattasi carico della doglianza, l’ha nuovamente disattesa rilevando che, nell’originario accordo fra la C. e la G. si inseriva poi fattivamente anche M.C., in piena e consapevole adesione al piano criminale da tempo elaborato e gestito proficuamente da G. e C., con disponibilità ed impegno altrettanto stabili ed in termini altrettanto operativi, se pure in ruolo gregario; il suo contributo spaziava infatti dal collaborare nella gestione dei contatti con i clienti, alla ricezione delle somme richieste per le varie pratiche, alla consegna dell’eterogeneo materiale, al cui acquisto, abituale od occasionale, le pp.oo. venivano indotte, e ne sono prova le ammissioni dello stesso M., le dichiarazioni delle coimputate, i racconti della gran parte delle pp.oo. – solo C.M. ed i coniugi Z. – C. non riferivano di contatti diretti con M.C. – ed il contenuto di conversazioni telefoniche intercettate.

La Corte, quindi, dopo avere ampiamente illustrato, sulla base di precisi riscontri fattuali, il ruolo che ognuno dei tre imputati aveva svolto nell’ambito dell’associazione, la loro consapevolezza di truffare le persone (cfr pag. 10 ss), concludeva confutando i rilievi difensivi in ordine alla ostativa incidenza, sotto il profilo dell’integrazione dell’elemento psicologico del reato associativo, ed altresì dei reati fine, della personalità e del vissuto di M. C.; d’altro canto, anche per la posizione M. e pur dando atto della maggior invasività delle sue convinzioni, deve rilevarsi che la sua valorizzata credulità era evidentemente limitata alle relazioni interpersonali con C. e, in minor misura, con la madre, in quanto, come ammesso, ben consapevole dell’attività ingannatoria che veniva posta in essere per garantirsi una costante fonte di reddito; assolutamente condivisibile appare quindi la motivazione del primo giudice, il quale, premesso che la situazione personale dell’imputato non risultava affatto essere trasmodata, come evidenziato dal suo esame, in una condizione di minorata capacità di intendere il significato delle azioni realizzate, così argomentava: per quanto attiene più specificamente il delitto di cui all’art. 416 c.p., il giovane M. ha svolto un ruolo assolutamente pertinente ed utile ai fini della esecuzione del piano criminoso programmato, prestandosi a consegnare di volta in volta, a seconda delle richieste della C. e della C., le bottigliette di acqua radiata, i vestiti e gli oggetti parimenti trattati con riti occulti, prendendo le indicazioni dei clienti al telefono, ottenendo la consegna di denaro per le pratiche magiche realizzate, nell’ambito di una attività che non poteva a lui non rappresentarsi come inserita nel più vasto programma elaborato per quello che egli stesso ha definito la realizzazione di utilità economiche necessarie al loro mantenimento. La Corte, infine, confutava anche l’argomento secondo il quale era contraddittorio aver fatto coincidere la costituzione dell’associazione con il raggiungimento della maggiore età del M.. Osservava, infatti, la Corte che si era trattata non solo di una scelta processuale dell’organo dell’accusa, scelta che peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dalle difese ed in particolare dalla difesa C., prescindeva da qualsiasi valutazione in merito alla condotta di M. ed alla sua partecipazione psicologica all’attività illecita posta in essere da G. e C. in epoca pregressa, sì da svalutare la sostenuta carenza di elementi sopravvenuti ad una accertata mancanza di dolo, e scelta che, comunque, operava in favore dell’imputato. In questa sede, tutti i tre i ricorrenti hanno ribadito la suddetta linea difensiva.

Senonchè si deve replicare che, con la suddetta censura, i ricorrenti, in modo surrettizio, tentano di introdurre, in modo inammissibile, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione accurata, logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva. Pertanto, non essendo evidenziabili incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, mero merito, va dichiarata infondata. In altri termini, le censure devono ritenersi infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento: infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv 215745;

Cass. 2436/1993 rv 196955.

Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze:

ex plurimis SSUU 24/1999. p. 4. violazione DELL’ART. 640 C.P. per avere la Corte territoriale ritenuto che il M. fosse responsabile anche della truffa compiuta ai danni della sign.ra C.M.: la censura deve ritenersi fondata in quanto, in effetti, la sentenza è carente e contraddittoria, perchè, da una parte, da atto che il M. non partecipò alla truffa ma, poi, lo ritiene ugualmente responsabile per il contributo consapevolmente funzionale all’illecito, in un contesto di piena consapevolezza della sua programmata consistenza senza specificare in cosa sarebbe consistito, in relazione a quella singola truffa, il contributo consapevolmente funzionale all’illecito. p. 5. VIOLAZIONE DELL’ART. 82 C.P.P.: in punto di fatto la Corte territoriale, ha accertato che nel caso concreto … deve escludersi una coincidenza di domande posto che in sede civile veniva introdotta la diversa ed ulteriore domanda, non dedotta in sede penale, avente ad oggetto l’accertamento e la dichiarazione di invalidità degli accordi intercorsi tra gli autori ed i convenuti …in quanto affetti da nullità per essere privi e/o per avere invalido oggetto e/o causa, ovvero perchè viziati da dolo o violenza; evidente, quindi, la diversità della domanda, indubbiamente connotata da maggiore ampiezza, in quanto nel giudizio penale la pretesa risarcitoria trovava origine e causa esclusivamente nella truffaldina condotta degli imputati; in ogni caso, ed anche a prescindere dalle argomentazioni svolte in sede civile in ordine all’incidenza, sotto il profilo esecutivo, della disposta conversione ex artt. 316 e 317 c.p.p. dei sequestri effettuati, in questa sede interveniva solo una condanna generica al risarcimento dei danni – con assegnazione di provvisionale – per la cui liquidazione il primo giudice rimetteva le parti al più competente giudice civile; in altri termini, i soggetti danneggiati dal reato, esercitata in sede penale l’azione civile ed ivi ottenuto l’accoglimento della domanda risarcitoria per l’an, proponevano davanti al giudice civile domanda per il quantum, così esercitando una diversa azione per quanto fondata sulla prima.

Corretto deve quindi ritenersi il rigetto della censura alla stregua di quella giurisprudenza di questa Corte, pure richiamata nell’impugnata sentenza, secondo la quale la costituzione di parte civile non può ritenersi tacitamente revocata se la parte propone davanti al giudice civile domanda per la quantificazione del danno che gli sia stato riconosciuto in sede penale anche se con decisione non irrevocabile, nel qual caso il giudizio civile resta sospeso. (In motivazione, la Corte ha precisato che in tale ipotesi l’azione esercitata in sede civile, pur essendo fondata su quella esercitata vittoriosamente in sede penale, è diversa da quest’ultima)" Cass. 23809/2009 riv 243800 – Cass. 43374/2007 Rv. 237907. p. 6. violazione dell’ART. 640 C.P. per avere la Corte territoriale ritenuto che entrambi gli imputati avessero la coscienza e volontà di commettere raggiri ed artifici ai danni delle vittime. Si tratta della questione trattata dalla Corte territoriale a pag. 12 e 13 della sentenza impugnata. In particolare quanto agli artifici e raggiri, la Corte ha ampiamente motivato, sicchè la censura dedotta in questa sede deve ritenersi null’altro che un tentativo di introdurre in modo surrettizio una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già analizzati dalla Corte territoriale con motivazione congrua logica ed adeguata agli evidenziati elementi probatori. p. 7. prescrizione: l’eccezione sollevata con la memoria è fondata nei seguenti limiti.

A tutti gli imputati sono stati addebitati una serie di truffe aggravate continuate ai danni di varie parte offese (costituite parti civili).

Ai reati in questione si applica la nuova normativa in materia di prescrizione e, quindi: 1) i reati si prescrivono nel periodo massimo di anni sette e mesi sei; 2) a norma del novellato art. 158 c.p. occorre far riferimento alla data di consumazione di ciascuno reato che compone la sequenza criminosa: il che significa che il giudice, ove siano contestati reati in continuazione, deve procedere a scomporre la suddetta sequenza ed individuare per ogni reato la data di consumazione dalla quale far decorrere la prescrizione. Orbene, nel caso di specie, detraendo dalla data dell’odierna udienza (8/03/2011), il periodo di anni sette e mesi sei, ne deriva che tutti i reati commessi in data anteriore al 8/09/2003 devono ritenersi estinti per prescrizione.

Poichè questa Corte non è in grado, sulla base dell’esame dei soli capi d’imputazione, di procedere alla scomposizione delle continuazioni contestate in relazione ad ogni episodio di truffa, la sentenza dev’essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano la quale, oltre che procedere, per il solo M., ad un nuovo giudizio in ordine all’episodio della truffa ai danni di C.M., dovrà procedere, alla rideterminazione della pena nei confronti di tutti gli imputati tenendo presente che: – il reato di associazione a delinquere, a seguito della presente sentenza, è passato in giudicato;

– quanto alle truffe, la Corte dovrà scomporre tutti gli episodi contestati in continuazione ed individuare, per ciascun reato che compone la sequenza criminosa, i reati commessi prima del 8/09/2003 e quelli commessi successivamente, e solo per quest’ultimi dovrà procedere alla rideterminazione della pena essendosi quelli commessi antecedentemente ormai prescritti. Restano, ovviamente, confermate le statuizioni civili.
P.Q.M.

ANNULLA:

La sentenza impugnata nei confronti di M.C. in relazione alla truffa continuata in danno di C.M. (capo sub 3 dell’imputazione) con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio;

ANNULLA:

Senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di tutti gli imputati limitatamente agli episodi di truffa commessi in data anteriore al 8/09/2003 (otto settembre duemilatre) perchè estinti per prescrizione e DISPONE Trasmettersi gli atti per la determinazione del trattamento sanzionatorio in ordine ai residui episodi di truffa;

RIGETTA i ricorsi nel resto;

DICHIARA irrevocabile la sentenza con riferimento al delitto di associazione per delinquere e agli episodi di truffa commessi in data posteriore al 8/09/2003 (otto settembre duemilatre);

CONDANNA:

Tutti i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili R.G. – B.A. – C.D. – C.L. – Z.A. – A.F., liquidate in complessivi Euro 5.000,00 oltre Iva e Cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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