Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-03-2011) 29-03-2011, n. 12754 Falsità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con sentenza del 4/02/2010, la Corte di Appello di Napoli riteneva Z.D. responsabile dei delitti di truffa e falso per avere, a seguito di false domande di autocertificazione (nelle quali erano attestate false indicazioni sul reddito e sui possedimenti dei propri genitori) presentate all’EDISU Napoli, Ente regionale per il diritto allo studio universitario, ottenuto delle borse di studio, esenzioni dalle tasse universitarie e riduzioni nel pagamento della mensa per un ammontare di Euro 3.667,73. p. 2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputata, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

1. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 640 e 316 TER C.P. per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza del reato di cui all’art. 640 c.p. e non quello dell’art. 316 ter c.p. atteso che il suo comportamento non poteva essere qualificato come artifizio e raggiro;

2. CARENZA DI MOTIVAZIONE in ordine all’elemento psicologico, non avendo la Corte territoriale tenuto conto che, in considerazione della giovane età della ricorrente, la medesima non era in grado di controllare se i dati fornitile dai propri genitori rappresentassero la realtà dei fatti in altri dichiarati documenti.
Motivi della decisione

p. 3. Il ricorso è fondato. p. 3.1. La condotta ascritta all’imputata, va ricompresa nell’ambito di operatività dell’art. 316 ter c.p. essendo volta all’ottenimento – com’è specificato nello stesso capo d’imputazione – di borse di studio, per gli anni accademici dal 2000 al 2005, oltre all’esenzione dalle tasse universitarie e a riduzioni nel pagamento della mensa. In ordine al rapporto fra l’art. 640 bis c.p. – art. 640 c.p., comma 2, n. 1 – art. 316 ter c.p., questa Corte (ex plurimis Cass. 21609/2009 – Cass. 8613/2009 riv 243313 – Cass. 1162/2008 riv 242717 – Cass. 32849/2007 riv 236966 – Cass. 45422/2008 riv 242302 – Cass. 10231/2006 riv 233449 – Cass. 23623/2006 riv 234996), ha avuto modo di affermare che la fattispecie criminosa di cui all’art. 316 ter c.p. ha carattere residuale rispetto alla fattispecie della truffa aggravata e non è con essa in rapporto di specialità, sicchè ciascuna delle condotte ivi descritte (utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, e omissioni di informazioni dovute) può concorrere ed integrare gli artifici ed i raggiri previsti dalla fattispecie di truffa, ove di questa fattispecie criminosa siano integrati gli altri presupposti.

Al riguardo si è infatti posto in evidenza come la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla tematica de qua, nella ordinanza n. 95 del 2004, dopo aver rammentato la coincidenza della questione con quella in passato sollevata per la previsione punitiva di cui alla L. 23 dicembre 1986, n. 898, art 2, ha rilevato che "il carattere sussidiario e "residuale" dell’art. 316 ter c.p., rispetto all’art. 640 bis c.p., – a fronte del quale la prima norma è destinata a colpire fatti che non rientrino nel campo di operatività della seconda – costituisce dato normativo assolutamente inequivoco".

Ha in tal modo escluso la automatica sovrapponibilità delle condotte individuate nell’art. 316 ter c.p. (dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere) con quelle di cui all’art. 640 c.p., cioè con gli artifici e raggiri. Ha tuttavia espressamente riservato all’"ordinario compito interpretativo del giudice accertare, in concreto, se una determinata condotta formalmente rispondente alla fattispecie delineata dall’art. 316 ter c.p., integri anche la figura descritta dall’art. 640 bis c.p., facendo applicazione in tal caso solo di quest’ultima previsione punitiva". E ciò perchè la stessa Corte ha ritenuto evidente, anche in ragione delle preoccupazioni espresse dal legislatore nel corso dei lavori parlamentari, che l’art. 316 ter c.p. sia volto ad assicurare agli interessi da esso considerati una tutela aggiuntiva e "complementare" rispetto a quella già offerta dall’art. 640 bis c.p., "coprendo", in specie, gli eventuali margini di scostamento, – per difetto – dal paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode "in materia di spese". Ciò sta dunque a significare che nella valutazione della fattispecie concreta è rimesso al giudice stabilire se la condotta che si è risolta in una falsa dichiarazione, per il contesto in cui è stata formulata, ed avuto riguardo allo specifico quadro normativo di riferimento nella cui cornice il fatto si è realizzato, integri l’artificio di cui all’art. 640 c.p. e se da esso sia poi derivata l’induzione in errore di chi è chiamato a provvedere sulla richiesta di erogazione. La condotta descritta dal richiamato art. 316 ter c.p. si distingue, dunque, dalla figura delineata dall’art. 640 bis c.p. per le modalità, giacchè la presentazione dì dichiarazioni o documenti attestanti cose non vere deve essere "fatto" strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri, e si distingue altresì per l’assenza di induzione in errore. La sussistenza, dunque, della induzione in errore, da un lato, e la natura fraudolenta della condotta, dall’altro, non possono che formare oggetto di una disamina da condurre caso per caso, alla stregua di tutte le circostanze che caratterizzano la vicenda in concreto: in terminis SS.UU. le quali con la sentenza n 16568/2007 riv 235962, hanno proprio affermato che "…. l’ambito di applicabilità dell’art. 316 ter c.p. si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale". p. 3.2. Orbene, applicando i suddetti principi alla concreta fattispecie in esame, deve allora concludersi per la fondatezza del ricorso. Infatti, la Corte territoriale, lungi dall’indicare quali fossero stati gli artifizi o raggiri adoperati dall’imputato, si è limitata a rilevare che "con tale false autodichiarazioni l’ente pubblico fu indotto in errore circa i presupposti che legittimavano il riconoscimento dei sussidi … Stima pertanto la Corte che, con tali autodichiarazioni la Z. non si sia limitata ad esporre dati falsi e notizie false ma le abbia trasfuse in dichiarazioni cui la legge riconosce efficacia probatoria, che hanno indotto in errore l’ente concedente". La suddetta motivazione è, però, censurabile in quanto la Corte territoriale ha ritenuto che la semplice presentazione di un’autocertificazione inveritiera (comportamento già previsto e sanzionato dall’art. 316 ter c.p.) costituisca, di per sè, un artificio o raggiro, senza considerare che quel comportamento diventa sussumibile nell’ipotesi delittuosa della truffa solo ove presenti un quid pluris che lo caratterizzi e qualifichi come un comportamento di natura fraudolenta.

Essendo pacifici gli elementi fattuali della fattispecie, la sentenza, pertanto, va annullata senza rinvio, dovendosi il fatto qualificare, ai sensi dell’art. 316 ter c.p., comma 2, come una semplice sanzione amministrativa atteso che la somma indebitamente percepita ammonta ad Euro 3.667,73.
P.Q.M.

Senza rinvio la sentenza – impugnata – qualificato l’illecito ai sensi dell’art. 316 ter c.p. – perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Dispone trasmettersi gli atti al Prefetto di Napoli per quanto di competenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *