T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 24-03-2011, n. 785

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con il ricorso in epigrafe i sigg.ri R.A. e M.M.E., genitori di R.S. (persona con disabilità grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, della L. 104/92) e l’A. Onlus di Melegnano, associazione portatrice degli interessi delle persone disabili e delle loro famiglie, hanno impugnato gli atti (ivi comprese le deliberazioni della Giunta e del Consiglio comunale che recano la disciplina generale) con cui il Comune di Dresano dapprima ha posto a carico della famiglia l’onere della retta mensile di Euro 1.100,00 per la frequenza della disabile R.S. al Centro Diurno per persone Disabili (CDD) gestito dalla Fondazione R.P. di Melegnano (cui era stata ammessa per il periodo dal 1 settembre al 31 dicembre 2009 per la frequenza di 35 ore settimanali) e successivamente ha sospeso l’inizio della frequenza stante il rifiuto della famiglia di accollarsi le suddette somme.

Il Comune intimato si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.

Alla camera di consiglio del 20 gennaio 2010 la causa è stata rinviata al merito e, all’udienza pubblica del 9 marzo 2011, sentiti i difensori delle parti costituite, è stata trattenuta in decisione.

2. La vicenda per cui è causa trae origine dalla nota del 21 luglio 2009, con cui la Fondazione R.P. di Melegnano, dopo aver dichiarato la compatibilità di inserimento a tempo indeterminato di S.R. al Centro Diurno per Disabili, ha chiesto al Comune di Dresano di procedere all’assunzione dell’impegno di spesa per il pagamento della retta da settembre a dicembre 2009.

Con nota n. 6139 del 2 settembre 2009 il Comune ha comunicato al sig. R. che la retta per la frequenza al CDD della figlia Silvia era fissata in Euro 1.100,00 mensili ed era da porsi, sulla base del valore ISEE e della tabella 1 allegata alla delibera di Giunta n. 110/2008 che fissa le tariffe e i contributi per i servizi a domanda individuale, a carico della famiglia, comunicando, al contempo, la non accoglibilità della richiesta di contribuzione da parte del Comune.

Stante la contestazione del R., avvenuta con nota del 4 settembre 2009, l’Ufficio Servizi alla persona, con nota n. 6195 in pari data ha comunicato alla Fondazione Piatti che la minore non poteva iniziare la frequenza della struttura.

Ha fatto seguito una diffida da parte del R. in data 21 settembre 2009 con richiesta di accesso agli atti che sono stati consegnati anche alla Fondazione in 15 ottobre 2009: si tratta della delibera di Giunta n. 78 del 17 settembre con cui è stata deliberata l’ammissione al Centro della minore dal mese di settembre 2009 e della determinazione n. 83 del 17 settembre 2009 con cui il Responsabile dei Servizi sociali ha impegnato la somma di Euro 4.400,00 a favore dell’Azienda Speciale Sud Est di Milano e, al contempo, ha stabilito di recuperare detta somma dalla famiglia R..

Ritenendo illegittimi gli atti in epigrafe i ricorrenti li hanno impugnati, unitamente alle delibere consiliari e di Giunta comunale che disciplinano la materia e in particolare: la delibera consiliare n. 46 del 30 novembre 1998 che ha ad oggetto l’approvazione del regolamento socioassistenziale il quale, tuttavia, non riguarda i servizi sociosanitari, nei quali rientrerebbe il CDD; la delibera consiliare n. 4 del 28 gennaio 2000, richiamata negli atti comunali ma non nota, il regolamento distrettuale dell’Assemblea intercomunale del distretto sociale sud – est di Milano che definisce modalità, e tempi di erogazione del servizio; la delibera di Giunta n. 110 del 18 dicembre 2008 che, nel fissare le tariffe dei servizi a domanda individuale, pur disciplinando soltanto i servizi socio assistenziali, impropriamente vi farebbe rientrare anche il CDD, che sarebbe invece servizio sociosanitario, per di più stabilendo che l’onere di contribuzione va quantificato sulla base dell’indicatore ISEE riferito all’intero nucleo familiare anziché al solo assistito.

3. In ricorso sono stati articolati sei motivi così schematizzabili:

I) violazione dell’art. 3, comma 2ter del D. Lgs. 109/98 nonché della Convenzione internazionale dei diritti delle persone con disabilità perché, ai fini della contribuzione, andrebbe applicato l’indicatore ISEE del solo assistito in considerazione della ratio sottesa alla suindicata norma, tesa a garantire livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e, dunque, di immediata precettività, per cui la persona con disabilità grave non è soggetto povero bensì fattore di impoverimento per il nucleo familiare;

II) violazione degli artt. 3, 38, 53 e 97 cost. in quanto le tariffe comunali richiedono percentuali di contribuzione a carico delle famiglie che sarebbero illogiche e non sostenibili alla stregua della soglia del minimo vitale fissata a livello distrettuale sicchè si porrebbero in contrasto con il principio di rango costituzionale per cui ciascuno deve concorrere alle spese in base alla capacità contributiva personale che, nel caso del disabile mentale grave è pari a zero;

III) violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria in quanto la delibera che definisce modalità e tempi di erogazione del servizio, sarebbe stata adottata in totale difetto di istruttoria essendo mancato il coinvolgimento dei familiari e delle associazioni di settore come stabilito dagli artt. 1, 3, 6 e 16 della legge n. 328/2000;

IV) violazione di legge ed eccesso di potere in quanto il Comune, sospendendo arbitrariamente (anzi decidendo di non far iniziare) il CDD, ha addirittura compresso un diritto costituzionalmente garantito essendo detto servizio qualificabile come sociosanitario e, pertanto, sussumibile nei livelli essenziali delle prestazioni;

V) eccesso di potere per contraddittorietà fra i vari atti adottati;

VI) violazione di legge ed eccesso di potere in quanto nel regolamento distrettuale recepito dal comune sono omologate, nell’ambito della stessa disciplina, situazioni tra loro non sovrapponibili in quanto estremamente diverse quali il CDD che prevede una frequenza esterna dalle 9,00 alle 16,00 per soli 230 giorni l’anno, restando l’assistenza al disabile per tutto il resto del tempo a carico della famiglia, e l’inserimento in strutture semiresidenziali e residenziali che, coprendo l’arco delle 24 ore per l’intero anno affranca definitivamente la famiglia da ogni onere in termini sia di tempo che economici.

4. Oggetto del contendere è dunque la legittimità o meno della richiesta, e degli atti ad essa presupposti, di compartecipazione della famiglia alle rette per usufruire del servizio a domanda individuale presso il Centro Diurno per Disabili e la relativa entità; la determinazione di quest’ultima discenderebbe, secondo la tesi dell’Amministrazione, dall’applicazione dell’indicatore ISEE riferito all’intero nucleo familiare, mentre, secondo la tesi dei ricorrenti, da quella del suddetto indicatore riferita alla sola situazione economica dell’assistito, ai sensi dell’art. 3, comma 2ter del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109 recante "Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell’art. 59, comma 51, della legge 27 dicembre 1997, n. 449".

La difesa del Comune si incentra essenzialmente su un unico aspetto: l’individuazione dei livelli essenziali di assistenza deve essere necessariamente rapportata alla disponibilità del relativo finanziamento pubblico. Tale contemperamento, nell’ottica dell’Amministrazione, sarebbe dovuto essere garantito attraverso l’emanazione del DPCM attuativo, previsto dall’art. 3, comma 2ter del D.Lgs. 109/98 il quale, essendo basato sul preventivo accordo della Conferenza Stato – Regioni – Enti Locali, avrebbe rappresentato lo snodo essenziale per dare concreta ed immediata precettività al principio della valorizzazione economica del solo assistito.

Ne conseguirebbe che, in mancanza del suddetto decreto attuativo, la norma invocata, ove ritenuta di immediata precettività, si porrebbe in contrasto con gli artt. 97, 117, 118 e 119 cost. nonché con il principio di leale collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti Locali, in quanto consentirebbe allo Stato di imporre unilateralmente standard di prestazioni socio – assistenziali, facendo gravare i relativi oneri economici interamente sulle amministrazioni locali così, di fatto, incidendo sulla loro autonomia finanziaria.

5. La questione controversa, nei termini innanzi delineati, è stata definita in diverse pronunce, cautelari e di merito (alcune delle più recenti anche di questo Tribunale), le cui conclusioni il Collegio condivide e dalle quali, pertanto, non ha motivo di discostarsi.

E’ stato invero affermato che la norma in esame introduce un principio giuridico sufficientemente preciso, tale da vincolare le competenti autorità amministrative anche in assenza del decreto di attuazione del Presidente del Consiglio (T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 2 aprile 2008, n. 250).

Nelle situazioni di maggiore difficoltà come quelle che investono i soggetti diversamente abili le regole ordinarie dell’ISEE incontrano, per conseguenza, una deroga necessaria, dovendo obbedire alla prioritaria esigenza di agevolare il protrarsi della loro permanenza nel rispettivo nucleo familiare: tale obiettivo è perseguito con necessario riferimento alla situazione economica del solo assistito, anche in relazione al concorso alle spese dovute per i servizi fruiti.

Gli Enti locali coinvolti sono, quindi, immediatamente tenuti a far fronte ai suddetti oneri, senza differirne la decorrenza alla data di emanazione della normativa statale di dettaglio, essendo stati vincolati ad applicare una disposizione immediatamente precettiva introdotta a tutela di una fascia di popolazione particolarmente debole.

Ciò premesso, la questione che resta da risolvere è se la valorizzazione della situazione economica del solo assistito vada intesa in senso assoluto ed incondizionato ovvero racchiuda un indirizzo – ancorché chiaro e vincolante – rivolto alle amministrazioni locali autorizzate a ricercare soluzioni concrete in sede di individuazione dei criteri di compartecipazione ai costi dei Centri frequentati.

Sul punto si sono sviluppati tre orientamenti interpretativi di cui dà conto, in modo puntuale ed esaustivo, la sentenza della Sez. III, 20 maggio 2010, n. 1587 di questo Tribunale, cui il Collegio espressamente rinvia, anche in punto di compatibilità della disciplina in esame con i principi costituzionali (dovendosi, già per tale motivo, escludere la rilevanza nel presente giudizio della sollevata questione di legittimità costituzionale), condividendo, altresì, la soluzione prescelta, ossia quella secondo cui la regola della evidenziazione della situazione economica del solo assistito, rispetto alle persone con handicap permanente grave, integra un criterio immediatamente applicabile ai fini della fruizione di prestazioni afferenti a percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, senza lasciare spazio alcuno alle amministrazioni locali per una diversa gestione in sede regolamentare delle viste vicende (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. III, ordinanza 8 maggio 2009 n. 581; Tar Lombardia Milano, sez. III, ordinanza 8 maggio 2009 n. 582; Tar Lombardia Milano, sez. IV, 10 settembre 2008 n. 4033; T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 24 ottobre 2009, n. 1562; Tar Marche Ancona, sez. I, ordinanza 27 settembre 2007 n. 521; Tar Sicilia Catania, 11 gennaio 2007 n. 42).

Tale orientamento interpretativo si fonda sulla considerazione che la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è rimessa, anche nella materia de qua, al Legislatore statale e che la definizione dei criteri per l’accesso alle prestazioni in discorso integra un livello essenziale, la cui definizione spetta al legislatore statale, in quanto se determinate attività e determinati servizi devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale è necessario che anche i parametri di accesso ai medesimi siano uniformi. In tale ambito non vi è spazio per un’integrazione lasciata alle singole amministrazioni comunali, che non possono modificare o integrare, in mancanza di norme ad hoc, il criterio dettato in modo necessariamente uniforme dal legislatore statale.

Invero, in relazione alle materie di legislazione statale esclusiva, come la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, anche il potere regolamentare spetta allo Stato, ex art. 117, comma 6, Cost., salva la possibilità di delegarlo alle Regioni, delega che non sussiste nella materia in esame. L’attribuzione allo Stato del potere regolamentare esclude la configurabilità di un potere normativo di secondo grado in capo agli Enti locali, in ordine alla definizione del criterio di valutazione della situazione economica da applicare nei confronti di disabili gravi, ai fini dell’erogazione di prestazioni sociali agevolate.

Del resto, è stato evidenziato che l’art. 3 del D.Lgs. 1998 n. 109, nella parte in cui riserva uno spazio di disciplina agli enti locali in sede di definizione dei parametri per l’accesso ai servizi, stabilendo che essi possono prevedere accanto all’indicatore della situazione economica equivalente "criteri ulteriori di selezione dei beneficiari" va inteso nel senso che consente di attribuire rilevanza a fattori diversi da quelli reddituali o patrimoniali, per i quali il limite della rilevanza è stato definito dal legislatore statale in sede di determinazione, in generale, del parametro ISEE e, rispetto ad anziani non autosufficienti ed handicappati gravi, mediante la valorizzazione della situazione economica del solo assistito (cfr. in argomento Tar Lombardia, Milano, sez. I, 7 febbraio 2008 n. 303; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 2 aprile 2008, n. 350; Tar Umbria, 6 febbraio 2002, n. 271).

Quanto alla diretta applicabilità della regola del rilievo esclusivo della situazione economica del solo assistito, va osservato, in primo luogo, che, trattandosi di un livello essenziale di prestazione, la definizione di tale criterio è necessariamente riservata al legislatore statale, in base al vigente art. 117 Cost.. Parimenti spetta al legislatore statale stabilire entro quali limiti tale criterio vada applicato, nel senso che esigenze e situazioni ulteriori possono rendere opportuno il ripristino del criterio dell’ISEE familiare, come criterio generale di accesso alle prestazioni di cui al decreto legislativo 1998 n. 109.

Tale considerazione consente di definire la portata dell’art. 3, comma 2ter, del D.Lgs. 1998 n. 109, nella parte in cui rimette ad un apposito D.P.C.M. la determinazione dei limiti di applicabilità del decreto nei confronti delle categorie in esame "al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione".

La disposizione rimette al suddetto D.P.C.M. la possibilità di valorizzare peculiari situazioni sociali, ambientali o familiari, tali da giustificare limiti all’applicabilità delle norme del decreto legislativo ed in particolare al criterio della situazione economica del solo assistito, qualora ciò sia funzionale a favorire la permanenza dell’utente presso il nucleo familiare di appartenenza. In particolare, spetta al D.P.C.M. stabilire quali siano le fattispecie particolari nelle quali la permanenza presso il nucleo familiare di persone handicappate gravi o di anziani non autosufficienti sia favorita mediante l’applicazione del criterio ISEE in luogo del criterio fondato sulla situazione economica del solo assistito (in senso conforme, in relazione al ruolo del D.P.C.M. si vedano: T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 13 luglio 2009, n. 1470; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 14 gennaio 2010 n. 18).

Tale profilo, coinvolgendo ampie valutazioni incide direttamente sulle modalità di erogazione dei servizi sociali – materia di competenza regionale esclusiva – e questo spiega perché la norma prescriva il necessario coinvolgimento delle amministrazioni regionali, attraverso lo strumento dell’intesa in sede di conferenza unificata, in applicazione del principio di leale collaborazione (in ordine al quale si vedano, tra le altre, Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 222 e Corte Cost., 1 ottobre 2003, n. 303). Tuttavia, queste ulteriori specificazioni non incidono sul contenuto del criterio, di tipo individualistico, prescelto dal legislatore statale nei confronti delle categorie di persone di cui si tratta; criterio che, come è stato osservato, è già sufficientemente precisato dal legislatore e risulta, nella sua oggettività, immediatamente applicabile.

In altre parole, il D.P.C.M. non è destinato ad incidere sulla struttura del criterio prescelto dal legislatore, ma solo a limitarne in determinati casi l’applicazione in favore del criterio generale dell’ISEE e la configurabilità di eccezioni alla regola generale per la fruizione dei servizi, sulla base di ulteriori valutazioni, non osta all’immediata applicabilità della regola stessa.

Va ribadito che la possibilità di individuare eccezioni al parametro della situazione economica del solo assistito non lascia spazio ad un potere regolamentare degli enti locali; che non è, quindi, condivisibile la tesi secondo la quale, in assenza del suddetto decreto, la norma in esame consentirebbe l’effettuazione di scelte concrete da parte di questi ultimi in materia di interventi sociali sul territorio, essendo l’ipotizzata potestà priva di base normativa e, comunque, al di fuori del riparto del potere normativo di secondo grado, stabilito dall’art. 117, comma 6, Cost.

6. La tesi fin qui tratteggiata è stata condivisa in numerose pronunce non solo di questo Tribunale (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 20 maggio 2010, n. 1581, 1582, 1583, 1584, 1586 e 1587 cit.; id. 5 agosto 2010, n. 3588) ma anche di altri T.A.R. (cfr. T.A.R. Veneto Venezia, sez. III, 17 marzo 2010, n. 830; T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 24 ottobre 2009, n. 1562; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 13 luglio 2009, n. 1470), incontrando, altresì, l’avallo del Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. V, ord. 14 settembre 2009, n. 4582; id. 16 maggio 2008, n. 2594).

In proposito va precisato che la pronuncia del Consiglio di Stato che la difesa comunale richiama nella propria memoria di replica (cons. Stato, sez. V, 26 gennaio 2011) attribuendole la portata, in un certo senso, di ridimensionare la tesi di questo Tribunale, in realtà conferma integralmente la sentenza del T.A.R. Brescia, n. 1470/2009, ivi impugnata le cui conclusioni sono coerenti con quelle fin qui esposte e condivise dal Collegio.

Nella fattispecie ivi esaminata, infatti, in relazione ad un caso di inserimento di un disabile in una casa alloggio, dunque in una struttura residenziale la cui funzione è ben diversa dal Centro Diurno per Disabili, dopo aver confermato il proprio orientamento risalente alla sentenza 2 aprile 2008 n. 350, ha precisato: "Tale soluzione risponde ai già menzionati canoni di correttezza, logicità e proporzionalità, che impongono di vagliare le concrete condizioni di vita di una famiglia che continua a farsi carico di oneri non indifferenti (visite specialistiche, vestiario, etc.)…. In tal modo si realizza un equo bilanciamento tra le esigenze del Comune di stabilire congrui parametri di concorso alla spese e l’interesse del soggetto interessato e della sua famiglia a vedere tradotti in concreto i principi di tutela espressi dalla Costituzione e dalla Convenzione di New York: come ha messo in evidenza il ricorrente, l’inclusione di E. determina in definitiva una sensibile riduzione dell’ISEE familiare e del concorso alla spesa".

7. Da ultimo e per completezza espositiva il Collegio deve osservare che le considerazioni che precedono non sottintendono una svalutazione delle difficoltà dei Comuni nel reperimento di fondi sufficienti per far fronte alle legittime richieste di prestazioni sociosanitarie e socioassistenziali da parte di coloro che ne abbiano diritto secondo legge.

In altri termini, la mancata concertazione fra i vari livelli di governo, in sede di conferenza unificata, che ha provocato e provoca indubbi effetti negativi sulle finanze dei Comuni, se da una parte non può tradursi in misure che incidano negativamente sugli utilizzatori finali che, in quanto soggetti svantaggiati, la legge statale ha inteso proteggere, d’altra parte non può trovare risposta in sede giurisdizionale, ma esclusivamente in quella politica di riparto delle competenze e degli oneri finanziari posti dalla legge direttamente a carico degli enti locali: il che significa che la questione di legittimità costituzionale sollevata, a prescindere dai possibili profili di fondatezza, non è rilevante ai fini della definizione del presente giudizio.

8. Per quanto precede, assorbita ogni ulteriore censura, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, gli atti impugnati devono essere annullati nella parte in cui individuano quale parametro per stabilire la soglia di reddito al di sopra della quale scatta l’onere di contribuzione percentuale della famiglia, per usufruire del servizio a domanda individuale Centro Diurno per i Disabili, l’indicatore ISEE dell’intero nucleo familiare anziché quello del solo assistito, come sancito dalla norma, immediatamente precettiva, di cui all’art. 3, comma 2ter del D.Lgs 109/98, con i conseguenti obblighi restitutori ove vi sia effettivamente stata anticipazione di esborsi da parte dei genitori ricorrenti.

9. Va, di seguito, esaminata la domanda risarcitoria formulata dai ricorrenti R. e M. in relazione al danno subìto sia dalla minore sia dagli stessi genitori in conseguenza dell’illegittimo comportamento del Comune.

Nella memoria conclusiva i ricorrenti chiariscono che la loro figlia S.R. non ha potuto usufruire del servizio per 2 mesi, in quanto l’illegittimo comportamento del Comune ha determinato uno slittamento della data di inizio del servizio da settembre a novembre 2009.

Così circoscritta temporalmente la privazione subita dalla minore, deve, altresì, evidenziarsi che negli atti di causa non è rinvenibile alcuna quantificazione del danno.

Rileva il Collegio che va, innanzitutto, distinto il danno patrimoniale dal danno esistenziale.

Quanto al danno patrimoniale subìto dai genitori, sebbene sia stata proposta la relativa domanda è mancata, tuttavia, la prova o, quanto meno, l’allegazione dei relativi presupposti.

Invero, ove i genitori avessero dimostrato che, nel periodo di colpevole ritardo dell’Amministrazione comunale, essi abbiano provveduto direttamente e a proprie spese ad assicurare un servizio equivalente alla figlia minore, i relativi costi avrebbero rappresentato l’ammontare del danno patrimoniale risarcibile in loro favore.

Nel caso di specie, mancando non solo la prova ma perfino la mera allegazione, la relativa domanda va respinta.

A diversa conclusione deve, viceversa, pervenirsi in ordine alla domanda di risarcimento del danno esistenziale subito dalla minore.

In proposito deve premettersi che l’area della risarcibilità del cosiddetto danno esistenziale, estremamente ridotta, è circoscritta alle ipotesi espressamente previste dalla legge ovvero ai casi di violazione di diritti inviolabili di rango costituzionale, tra i quali può senz’altro farsi rientrare il diritto di una minore, disabile grave, a frequentare un Centro Diurno per Disabili, struttura funzionale nell’ambito della quale può esplicarsi e trovare complessivo sviluppo la sua personalità con positive ricadute sul processo di inserimento nel tessuto sociale.

Il danno esistenziale, distinto dal danno biologico e consistente nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce, è risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c., a condizione che il diritto leso abbia rilievo costituzionale (cfr. Cass. sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4712).

Così configurata, ossia come compromissione del benessere e della sfera relazionale del danneggiato, tale tipologia di danno non necessita di specifica prova, potendo la relativa lesione essere risarcita anche in via equitativa (Cons. Stato, sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5266), ossia tenendo conto di tutti gli elementi che in concreto descrivano durata, gravità, frustrazione di ragionevoli aspettative di miglioramento relazionale e della qualità della vita, eventuali effetti negativi nello standard di vita del soggetto (cfr. in termini analoghi: T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 10 maggio 2007, n. 4251).

Nel caso di specie, pur in assenza di specifica prova, si deve ritenere che il differimento della data di inizio della frequenza al Centro e, dunque, la privazione del beneficio per 2 mesi, se ragionevolmente può non aver determinato un regresso nella vita relazionale della minore, tuttavia certamente non ne ha consentito il progresso, la cui aspettativa legittimamente la minore coltivava, avendo, quanto meno, tardato l’inizio di un processo di possibile innalzamento del livello di integrazione sociale.

Per quanto precede la domanda di risarcimento del danno esistenziale in favore della minore va accolta e il relativo ammontare va liquidato, in via equitativa, nella somma di Euro 2.200,00 (duemiladuecento,00) oltre interessi dal dì dell’insorgenza al soddisfo, assumendo come parametro di riferimento il costo mensile del servizio, stimato dal Comune, del quale la minore non ha potuto usufruire per i mesi di settembre ed ottobre 2009.

10. Quanto alle spese, in considerazione della perdurante novità delle questioni affrontate, se ne può disporre la compensazione fra tutte le parti in causa.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati nei limiti e per gli effetti di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Dresano al risarcimento del danno nei confronti della minore liquidato come in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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