T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 24-03-2011, n. 773 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La società ricorrente ha presentato al comune intimato istanza tesa ad ottenere una variante al PRG per ampliamento del proprio stabilimento produttivo, sito in zona agricola E1, ai sensi del d.P.R. n. 447/98, promulgato per le finalità di sostegno alla produttività e che reca una disciplina semplificata ed accelerata di variante urbanistica.

Il comune respingeva la domanda facendo riferimento all’art. 5, comma 1, del succitato d.P.R., trattandosi di proposta comportante la variazione dello strumento urbanistico vigente.

Con il presente gravame, la società ricorrente deduce un unico, articolato, motivo di diritto, consistente nella violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 447/98 in relazione all’art. 2, commi 61 e ss., della L.R. della Lombardia n. 1/2000, oltre che l’eccesso di potere per difetto di motivazione e sviamento.

A sostegno del proprio ricorso invoca, in particolare, l’applicazione della seconda parte del comma 1 dell’art. 5 del d.P.R. n. 447/98 in combinato disposto con l’art. 2, comma 69, della L.R. n. 1/2000 che, nell’ambito del decentramento delle funzioni attribuite dal d.lgs. n. 112/1998, individuerebbe lo strumento di programmazione negoziata del "contratto di sviluppo" per l’attuazione dell’incremento delle attività produttive ed il conseguente sviluppo occupazionale. Ai sensi del comma 71 del medesimo art. 2, infatti, il contratto di sviluppo potrebbe comportare variazione allo strumento urbanistico unitamente al rilascio della concessione edilizia. Il comune intimato, quindi, al cospetto di tale specifica normativa, avrebbe dovuto prestare particolare attenzione all’istanza della ricorrente, peraltro corredata da un’analitica relazione illustrativa, dalla quale sarebbe dovuto scaturire un necessario ed approfondito riscontro istruttorio il cui esito sarebbe dovuto risultare dall’iter motivazionale del provvedimento conclusivo. Nulla di tutto ciò, invece, risulterebbe dall’esame del provvedimento impugnato.

Si è costituito il comune intimato, il quale, dopo aver eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto non proposto mediante lo strumento dei motivi aggiunti (presso il Tribunale penderebbe, infatti, un precedente ricorso della società rubricato al n. di RG 458/01, proposto avverso la delibera di approvazione del PRG), ne avrebbe chiesto il rigetto nel merito, atteso che il progetto comportava la variazione dello strumento urbanistico vigente, nell’ambito del quale erano individuate aree destinate all’insediamento di impianti produttivi. L’amministrazione non sarebbe stata, dunque, obbligata ad applicare la seconda parte della disposizione normativa in questione o a motivare la mancata adozione di tale procedura (indizione della conferenza di servizi), non sussistendo i presupposti per l’attivazione di tale procedimento (esistevano aree destinate ad insediamenti produttivi D1 non edificate per circa 34.000 mq ed il progetto era incompatibile dal punto di vista ambientale, ricadendo lo stabilimento in zona sottoposta a progetto di piano stralcio per l’assetto idrogeologico PAI). Secondo l’assunto del comune, la società avrebbe potuto reperire le aree necessarie all’ampliamento dello stabilimento utilizzando la limitrofa zona industriale, oppure sfruttare le previsioni dell’art. 28 NTA che nella zona agricola permettono la possibilità di ampliamento degli stabilimenti produttivi esistenti.

Successivamente le parti hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.

All’udienza pubblica dell’8 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Deve, in via preliminare, esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal comune in relazione alla mancata proposizione delle doglianze mediante lo strumento processuale dei motivi aggiunti, atteso che presso il Tribunale penderebbe un precedente gravame della ricorrente rubricato al n. di RG 458/01, proposto avverso la delibera di approvazione del PRG.

L’eccezione è da disattendere.

Per giurisprudenza costante, anche dopo le innovazioni introdotte dall’art. 1 della legge n. 205 del 2000, i motivi aggiunti sono configurabili come autonomo atto impugnatorio e fanno le veci di un separato, secondo ricorso, con la conseguenza che il gravame proposto con impugnativa autonoma anziché con motivi aggiunti non è inammissibile, stante la mancata esplicita previsione normativa della sanzione dell’inammissibilità. Tale sanzione non potrebbe, infatti, ricavarsi in via implicita, salvo che nei casi in cui l’utilizzazione del ricorso per motivi aggiunti sia prevista obbligatoriamente dalla legge, come ad esempio in relazione alla materia degli appalti pubblici, ai sensi dell’art. 120, comma 7, del c.p.a., per il cui disposto "I nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti".

Nel merito, il ricorso è fondato, sussistendo il difetto di motivazione dedotto da parte ricorrente.

Deve premettersi che, dall’esame della giurisprudenza amministrativa elaborata in relazione all’applicazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998, si ricava, in primo luogo, che la natura e gli effetti della variante prevista da tale norma sono identici a quelli della variante urbanistica ordinaria, essendo ambedue destinate ad incidere sull’assetto del territorio mediante una disciplina nuova e diversa da quella in vigore. La differenza radicale tra le due fattispecie riguarda, invece, la modalità specifica di attivazione del procedimento di variazione dello strumento urbanistico: nel caso dell’art. 5, la proposta di variazione è collegata alla presentazione, da parte di un privato, di un progetto che ottenga il parere favorevole della conferenza di servizi, appositamente convocata, mentre nell’ipotesi ordinaria, la proposta di variazione dello strumento urbanistico è affidata all’iniziativa dell’amministrazione comunale. Il parere favorevole della conferenza di servizi in relazione al progetto di cui alla realizzazione di un nuovo insediamento produttivo costituisce proposta di variante sulla quale è chiamato a pronunciarsi (anche con una eventuale determinazione negativa, ma in ogni caso adeguatamente motivata) il Consiglio comunale, titolare esclusivo del potere di pianificazione urbanistica.

Presupposto essenziale per la convocazione della conferenza di servizi volta all’approvazione di una variante urbanistica ex art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998 è, dunque, la verifica, da parte del responsabile del procedimento, dell’assenza o dell’insufficienza di aree già destinate agli insediamenti produttivi nel p.r.g. in vigore (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3593).

È stata, inoltre, affermata l’illegittimità del provvedimento di chiusura di un procedimento ex art. 5 del DPR n. 447/98 – in cui, come nel caso all’esame del collegio, si rigettava la domanda di ampliamento di una struttura esistente affermando che il ricorso alla procedura semplificata sarebbe stato consentito solo ove lo strumento urbanistico non avesse individuato aree destinate all’insediamento di impianti produttivi, ovvero queste fossero state insufficienti in relazione al progetto presentato – quando l’amministrazione dimostri di non avere tenuto in debita considerazione la tipologia di progetto presentata, avente ad oggetto la realizzazione di un ampliamento di un insediamento produttivo già operante. L’area da destinare all’ampliamento della relativa attività non può, difatti, essere rinvenuta altrove, ma deve evidentemente trovarsi in stabile e diretto collegamento con quella dell’insediamento principale e da ampliare (cfr. TAR Lombardia, sez. II, 28 dicembre 2009, n. 6222; 27 gennaio 2010, n. 193).

Nella fattispecie in questione il comune intimato non avrebbe dovuto, quindi, limitarsi ad affermare la realizzabilità dell’intervento in presenza di aree astrattamente (ma non concretamente) idonee all’insediamento, cioè avrebbe dovuto valutare se le aree presenti con destinazione produttiva fossero o meno utilizzabili in concreto per la realizzazione del progetto di ampliamento presentato.

Avrebbe, dunque, dovuto fornire analitica motivazione circa le proprie determinazioni, anche in considerazione del fatto che la zona produttiva D1 individuata dallo strumento urbanistico non era contigua allo stabilimento della ricorrente, il cui ampliamento sarebbe, quindi, risultato impossibile mediante l’utilizzazione di tale area.

Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va accolto e, per l’effetto, va disposto l’annullamento del provvedimento impugnato e l’obbligo da parte dell’amministrazione di rideterminarsi in ordine all’istanza in questione.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi, in considerazione delle peculiarità della fattispecie, per compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dispone l’annullamento del provvedimento impugnato, come in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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