Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-02-2011) 29-03-2011, n. 12781

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

del PG Dott. De Santis Fausto.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Decidendo sull’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Forlì avverso l’ordinanza del locale gip del 7.7.2010, che aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di R. A. per i reati di rapina e lesioni personali volontarie, il Tribunale del riesame di Bologna, con ordinanza del 23.9.2010, disponeva la misura custodiale.

I fatti erano maturati nell’ambito di scontri tra opposte tifoserie all’interno di un’area autostradale.

Un gruppo di tifosi del Pescara avevano preso di mira l’autovettura condotta da S.D. e di proprietà di C.S., sostenitori del Verona, sottoponendo lo S. a violenze fisiche e asportando dall’abitacolo la borsetta della C..

Il Gip, pur ritenendo indiscutibile l’identificazione dell’imputato come uno degli aggressori, aveva però escluso la gravità indiziaria in ordine alla sua partecipazione alla rapina, anche a titolo di concorso anomalo, rilevando che lo S. era stato destinatario di varie ondate di assalti da parte di gruppi variabili di tifosi pescaresi, e che non fosse quindi possibile valutare i modi e i tempi dell’intervento dell’indagato nelle fasi culminanti della realizzazione della rapina.

Caduto il collegamento teleologico del reato di lesioni con il delitto di rapina, il primo rimaneva per il titolo sottratto all’applicabilità dell’art. 280 c.p.p..

Il Tribunale riteneva che tutta l’azione di aggressione allo S., culminata poi nella rapina e nelle lesioni, fosse comunque indivisibilmente riferibile al gruppo di tifosi pescaresi, unitariamente considerato, di cui faceva parte anche l’imputato, rilevando che i vari assalti nei confronti della vittima si era svolti senza soluzione di continuità nel medesimo contesto spazio- temporale.

I giudici territoriali si soffermavano poi particolareggiatamente sulla questione dell’attendibilità dell’identificazione dell’imputato e rilevavano, infine, che in simili vicende la degenerazione dello scontro tra opposte fazioni facilmente sconfina tanto in violenze fisiche che in atteggiamenti predatori, con la conseguente prevedibilità anche di aggressioni al patrimonio degli avversali.

Quanto alle esigenze cautelari, i giudici rilevavano la notevole gravita dei fatti, sintomatici di incontenibile antisocialità, e i precedenti specifici dell’imputato.

Ricorre il difensore, deducendo con il primo motivo il vizio di inosservanza o erronea applicazione dell’art. 310 c.p.p., "ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e)", in sostanza il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, sul punto della ritenuta sussistenza della gravità indiziaria. Dalle dichiarazioni dello S. si desumerebbe che il R. si era allontanato dalle immediate prossimità del luogo di stazionamento della stessa persona offesa, prima che venisse eseguita la rapina, senza che possano ravvisarsi nella specie, gli estremi del concorso anomalo regolato dall’art. 116 c.p..

Alla stregua del secondo motivo, il tribunale non avrebbe adeguatamente motivato sull’identificazione del ricorrente come uno degli aggressori dello S., non sciogliendo convenientemente i dubbi sulla possibile confusione con un fratello gemello.

I giudici territoriali avrebbero valorizzato al riguardo, il particolare del piercing indossato dal ricorrente, ma non risultante applicato al fratello nel documento di identità esibito in dibattimento dalla difesa per provare l’estrema somiglianza tra i due; in ogni caso, la valorizzazione di questo elemento sarebbe illogica, perchè l’"altro" R. avrebbe potuto portare un piercing, togliendoselo per farsi ritrarre fotograficamente ai fini del rilascio del documento di identità, e pesino irrituale, dal momento che il documento in questione era stato prodotto dalla difesa unitamente al verbale delle dichiarazioni rese dal fratello dell’indagato in sede di indagini difensive, ma ritenute inutilizzabili dal tribunale.

Non sarebbe stata adeguatamente approfondita, inoltre, la questione della compatibilità della presenza del R.A. sul luogo del delitto, rispetto al suo coinvolgimento in altri analoghi fatti nei pressi di (OMISSIS), e l’attendibilità dello S. sarebbe stata ingiustificatamente accreditata dal tribunale, considerando le sue contraddizioni sul furgone bordo del quale viaggiava il ricorrente al momento dei fatti. Lo S. non avrebbe inoltre identificato alcuni segni caratteristici del R., e avrebbe descritto il suo abbigliamento in modo impreciso.

Con il terzo motivo, la difesa eccepisce il vizio di mancata assunzione di una prova decisiva in relazione all’omessa rilevazione della incompletezza dell’attività di indagine posta in essere dal PM di Forlì, che non aveva proceduto all’esame di tale C. I., presente all’accaduto, e che avrebbe quindi potuto fornire informazioni utili alla ricostruzione dei fatti.

Considerati tutti gli elementi di perplessità desumibili dalle risultanze istruttorie, il tribunale secondo le censure articolate dalla difesa con il quarto motivo, sostanzialmente "riassuntivo", sarebbe quindi incorso nel vizio di violazione dell’art. 273 c.p.p. e nel difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente. L’ultima censura attiene alla questione della sussistenza delle esigenze cautelari.

Il tribunale avrebbe illogicamente ritenuto il pericolo di reiterazione di analoghi reati senza considerare che l’unico precedente penale a carico dell’imputato è alquanto risalente e che il R. aveva rispettato le prescrizioni connesse alla misura cautelare applicatagli durante il relativo procedimento penale, come aveva poi rispettato le analoghe prescrizioni connesse alla misura degli arresti domiciliari applicata nei suoi confronti per i fatti di (OMISSIS).

Il ricorso è manifestamente infondato.

In punto di gravita indiziaria, il tribunale ha affrontato correttamente sin in punto di fatto che di diritto, tutti i temi difensivi, con argomentazione che appaiono logiche e coerenti, e del tutto esenti da vizi di legittimità.

In particolare, il tribunale ha rilevato, quanto all’identificazione dell’imputato, che la sua individuazione da parte della persona offesa fu assolutamente certa, essendo peraltro intervenuta a pochi giorni dai fatti; i giudici territoriali hanno inoltre ricordato che la questione della compatibilità della presenza del ricorrente nell’aera di servizio autostradale teatro dell’aggressione, con la sua successiva identificazione nella località di (OMISSIS), dove egli fu tratto in arresto per altri fatti analoghi commessi ai danni di un’altra tifoseria, è stata oggetto di specifici accertamenti da parte del PM, la cui "insufficienza" è dedotta solo apoditticamente dalla difesa; ma traggono, anche, correttamente, dalla successione dei due eventi, un’ulteriore conferma della certezza dell’identificazione del ricorrente come uno dei protagonisti dell’aggressione in danno dello S., in quanto inseribile nel medesimo contesto di ininterrotte scorribande vandaliche del R. e dei suoi compagni di "fede" (calcistica); sottolineano, inoltre, adeguatamente l’importanza dell’indicazione del piercing, da parte dello S., che solo ipoteticamente la difesa deduce potesse essere stato utilizzato anche dal fratello del ricorrente, e che ancora più ipoteticamente dovrebbe ritenersi che avesse mai avuto l’identica collocazione sull’arcata sopraccigliare destra, secondo la precisa indicazione della persona offesa.

A quest’ultimo riguardo si può aggiungere, quanto alla questione della utilizzabilità processuale dell’indicazione che nessun piercing risultasse dalla fotografia apposta sulla carta di identità del fratello del ricorrente, che la difesa finisce con l’attribuire indebita importanza agli antefatti della veicolazione nel fascicolo processuale di qualunque documento, la cui rilevanza probatoria normalmente non è affatto inseparabile dall’attività di ricerca che ne abbia consentito la produzione in giudizio, rimanendo del tutto autonoma ai sensi dell’art. 234 c.p.p. e soggetta soltanto agli specifici limiti di ammissibilità previsti per tale categoria di prove (cfr. Cass Sez. 5, Sentenza n. 6887 del 13/04/1999 Gianferrari, secondo cui ai fini dell’ammissione delle prove documentali sono necessarie due condizioni: a) che il documento risulti materialmente formato fuori, ma non necessariamente prima, del procedimento; b) che lo stesso oggetto della documentazione extra-processuale appartenga al contesto del fatto oggetto di conoscenza giudiziale e non al contesto del procedimento; vedi anche, Cass. Sez. 2, 21.9.2010, Miele). Ma l’argomento difensivo, inoltre, proverebbe troppo, perchè implicherebbe l’integrale neutralizzazione probatoria del documento di identità dal quale si ricava l’assenza del piercing, che non potrebbe certo essere oggetto di separata valutazione di inutilizzabilità rispetto a questo particolare, mantenendo invece il suo valore di prova sotto il profilo delle rassomiglianze tra il ricorrente e il fratello.

Ancora, il tribunale rileva condivisibilmente l’assoluta "neutralità" della mancata percezione, da parte dello S., di altri significativi particolari identificativi, potendo egli, nella concitazione del momento, averne colti alcuni e non altri; risponde alle deduzioni difensive sui particolari dell’abbigliamento del ricorrente, che in effetti avrebbe potuto facilmente indossare altri capi, dopo l’aggressione; da conto, infine, delle perplessità difensive sulla indicazione del modello di furgone utilizzato dagli aggressori da parte dello S., rilevando che la persona offesa non si era espressa al riguardo in termini di certezza, e che comunque il gruppo dei tifosi pescaresi disponeva di due furgoni.

Quanto ai motivi in punto di diritto, la questione della mancata assunzione di una prova decisiva è formulata in modo del tutto improprio dal ricorrente, già per il carattere "neutro" e aperto a qualsiasi esito della testimonianza di una delle tante persone presenti ai fatti (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, 6.12.2001, Stabbia), rilevabile alla stregua delle stesse deduzioni difensive, secondo cui la teste in questione "potrebbe" fornire elementi utili all’accertamento dei fatti; ma anche con riferimento alla fase processuale in cui sarebbe ravvisabile il "vizio" dedotto, cioè l’attività di indagine del PM, implicando quindi la censura soltanto una valutazione di presunta "incompletezza" delle indagini che non può certo refluire sulla rilevanza indiziaria dei risultati di quella già compiuta.

E corretta, in punto di diritto, appare anche la valutazione dell’estensione al ricorrente della responsabilità per il delitto di rapina, quale che fosse la sua contingente distanza rispetto alla specifica localizzazione dell’azione finale di sottrazione del bottino. E’ infatti perfettamente condivisibile l’affermazione dei giudici territoriali secondo cui la partecipazione a scontri collettivi diretti, come nella specie, alla denigrazione di "bandiere" altrui, scatena un prevedibile meccanismo di aggressioni fisiche e patrimoniali ai danni degli avversali, nello stesso contesto di violenta affermazione simbolica della "supremazia" di un gruppo su un altro.

In questo senso, il riferimento all’art. 116 c.p. potrebbe anzi apparire persino riduttivo, non essendo implausibile supporre un consenso preventivo di tutti i partecipanti agli sviluppi dello scontro normali in occasioni del genere.

Ugualmente del tutto infondate sono, infine, le censure difensive in punto di esigenze cautelari.

Il tribunale sottolinea adeguatamente, al riguardo, come la condotta criminosa del R. sia espressiva di incontenibile antisocialità, e anzi di adesione a statuti comportamentali antagonisti rispetto al patto sociale; rileva la spinta criminogena connessa all’aggregazione ad un gruppo, con le corrispondenti aspettative di impunità in ragione della natura collettiva di imprese criminali eventualmente riferibili allo stesso gruppo;

rimarca la gravità del precedente, tutt’altro che datato, del ricorrente, per i reati di rapina aggravata e lesioni personali in concorso commessi nel 2006, e ricorda, infine, le numerose denunce collezionate dal R. per i reati di danneggiamento, minaccia e rissa. A fronte di questi inquietanti profili personali, non è in nessun modo apprezzabile a favore del ricorrente, l’indicazione difensiva, davvero marginale, secondo cui egli avrebbe rispettato le prescrizioni della misura cautelare degli arresti domiciliari applicata nei suoi confronti tanto per i fatti già giudicati, che in seguito al suo arresto per i fatti di (OMISSIS). Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 28 reg. es. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; si provveda a norma dell’art. 28 reg. es. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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