Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-02-2011) 29-03-2011, n. 12747

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Voghera, con sentenza del 23.11.2009 emessa al termine del giudizio abbreviato, riteneva:

P.G.S. responsabile del reato di rapina consumata impropria, nonchè del reato di lesioni aggravate;

in particolare all’imputato era contestato di avere sottratto una cintura del valore di Euro 55,00 nel negozio "DeN" e, dopo che era stato scoperto dalla sorvegliante B.M., di avere usato violenza e minaccia nei confronti della medesima, al fine di assicurarsi l’impunità, causandole le lesioni di cui al capo b);

fatti commessi il (OMISSIS);

La Corte di appello di Milano, con sentenza del 13.04.2010, in parziale riforma, aveva riconosciuto l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 ed aveva ridotto di conseguenza la pena in quella di anni 1, mesi 8 di reclusione ed Euro 440 di multa; confermando nel resto;

Avverso tale decisione l’imputato propone impugnazione per cassazione, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

Il ricorrente, censura la decisione impugnata:

1)-per avere errato nell’applicazione della legge penale, laddove ha ritenuto la sussistenza del reato di rapina impropria consumata, senza considerare che, al momento dell’intervento della B., non si era ancora verificato l’impossessamento del bene, perchè l’oggetto sottratto era restato sempre nella sfera di vigilanza della responsabile del negozio;

il reato presupposto: – di furto della cintura – era restato dunque allo stadio di tentativo; ne derivava anche l’inesistenza del conseguente reato: – di rapina impropria tentata – sicchè, a parere del ricorrente, la Corte di appello avrebbe dovuto ravvisare l’ipotesi dei distinti reati: – di tentativo di furto – e: – di minaccia -, alla stregua di quella Giurisprudenza di legittimità che per la ricorrenza della rapina impropria presuppone, come elemento imprescindibile, l’avvenuta sottrazione della cosa;

2)-il ricorrente censura inoltre la sentenza impugnata per omessa ed illogica motivazione riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, illogicamente negate nonostante il suo stato di incensuratezza;

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

In primo luogo si deve osservare che il ricorrente prende le mosse dall’erronea considerazione che la condotta dell’imputato, finalizzata al furto della cintura, sarebbe restata allo stadio del tentativo.

La Giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che sussiste il reato di furto consumato e non tentato nel caso in cui l’agente si impossessi di un bene sottraendolo con destrezza, sia pure per un breve lasso di tempo, al controllo del proprietario che accortosi abbia seguito e bloccato l’imputato. (Cassazione penale, sez. 5^, 27 novembre 2008, n. 7047).

Non rileva, infatti, il lasso di tempo più o meno lungo durante il quale l’agente si sia impossessato della cosa e, nella specie, la Corte di appello osserva del tutto congruamente che l’impossessamento si era ormai consumato atteso che l’imputato, dopo avere preso la cintura, ne aveva strappato il congegno antitaccheggio, attribuendosi l’indebita disponibilità del bene.

Al contrario, il ricorrente deduce che il furto non si sarebbe consumato perchè, una volta scoperto, egli avrebbe fatto cadere in terra l’oggetto, ma si tratta di una deduzione in contrasto con le massime della Giurisprudenza che ha costantemente affermato che, ai fini della consumazione, non rileva che l’agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva, immediatamente dopo la sottrazione, per l’intervento del tutto aleatorio di un terzo (nella specie la sentenza rimarca che l’imputato è stato bloccato, fuori del negozio, dal pronto intervento di un ufficiale dei carabinieri), Cassazione penale, sez. 4^ 03 luglio 2002, n. 31461.

Da tali principi emerge l’infondatezza anche dell’ulteriore deduzione per la quale, in ogni caso, il furto sarebbe restato allo stadio di tentativo perchè l’agente era restato sotto la sorveglianza costante della responsabile del negozio, così da non avere mai conseguito l’effettiva disponibilità del bene;

si tratta di un motivo in contrasto con la motivazione impugnata che, al contrario, sottolinea che il furto si era ormai consumato perchè l’imputato aveva lasciato cadere la cintura solo dopo essere uscito dal negozio.

Si tratta di una motivazione conforme alla Giurisprudenza di legittimità che ha affermato il principio per il quale costituisce furto consumato e non tentato il sottrarre merce dai banchi di esposizione di un grande magazzino ove si pratichi il sistema del cosiddetto "self service" evitando il pagamento alla cassa.

Il momento consumativo del reato, in tal caso, è ravvisabile all’atto dell’apprensione della merce, che si realizza certamente quando l’agente abbia superato la barriera delle casse senza pagare il prezzo (Cassazione penale, sez. 5^ 28 settembre 2005, n. 44011).

Verificata in tal modo la correttezza della decisione riguardo alla consumazione del reato presupposto di furto, risulta chiaro che la violenza successivamente esercitata dall’imputato al fine di conseguire l’impunità integra in tutti i suoi elementi il reato di rapina impropria consumata, così come correttamente ritenuto nella decisione impugnata.

Tale conclusione priva di rilevanza la questione subordinata relativa alla possibilità di ravvisare i distinti reati di furto e di minaccia, questione affrontarle solo nel caso di rapina impropria tentata.

Parimenti infondati sono i motivi relativi al trattamento sanzionatorio, atteso che la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena e di concessione delle attenuanti generiche; infatti, riguardo alle attenuanti generiche, la Corte di appello ha sottolineato la gravità del fatto connotata dall’uso di una "grande violenza", richiamando la motivazione del primo giudice;

va ricordato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (Cassazione penale, sez. 4^ 04 luglio 2006, n. 32290).

Con il richiamo alla motivazione di primo grado, la Corte territoriale ha motivato sia pure implicitamente anche in riferimento ai benefici di legge invocati dall’appellante, ritenuti non concedibili sulla scorta dei rilievi formulati nella richiamata motivazione di primo grado ove era stata rimarcata la "particolare aggressività manifesta dal soggetto" e la personalità dell’imputato che, pur trovandosi in Italia da pochi giorni, aveva "subito operato scelte illecite" così da rendere chiara, attraverso tale percorso motivazionale, la scelta della Corte di appello riguardo ad una prognosi negativa sulla possibilità per l’imputato di astenersi per il futuro dal compiere altri reati.

Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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