Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-06-2011, n. 13720 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente G.S.M. e G.N. impugnano per cassazione, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il decreto depositato in data 06/04/2009 con il quale la Corte di appello di Milano ha rigettato la loro domanda di equa riparazione in relazione a giudizio iniziato in data 16.8.1966 dal proprio dante causa G.L. (deceduto in data (OMISSIS)) dinanzi alla Corte dei conti, definito in data 19.4.2007.

Ha osservato la Corte di merito che la domanda, proposta iure ereditario, era infondata perchè il diritto era prescritto – come eccepito dall’Avvocatura dello Stato – in quanto maturato oltre dieci anni prima della proposizione della domanda ex lege Pinto, in difetto di atti interruttivi.

Il Ministero intimato non ha svolto difese.

2.- Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge lamentando l’applicazione dell’istituto della prescrizione nel mentre la legge prevede solo la decadenza ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4.

Formula il quesito: "se la Corte territoriale sia incorsa in violazione dell’art. 2934 c.c. e art. 2946 c.c. in relazione alla L. n. 89 del 2001, art. 4, ritenendo applicabile l’istituto della prescrizione al diritto al risarcimento del danno per eccessiva durata del processo, e considerando prescritto il periodo trascorso dal 01.08.1973 (entrata in vigore della CEDU poichè il ricorso iniziale alla Corte dei Conti era stato depositato il 16.08.1966) al 09.06.1995 (data del decesso dell’originario ricorrente) e dica conseguentemente se, nel caso di specie l’eccessiva durata del procedimento presupposto avrebbe dovuto essere quantificata con riferimento al periodo trascorso dal 01.09.1973 al 09.06.1995". 3.- Il ricorso è fondato.

Infatti, secondo una recente pronuncia di questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 20564 del 2010) "la legge configura la sola definitività della decisione come dies a quo per la proponibilità della domanda a pena di decadenza, mentre il diritto dell’erede di agire in tale qualità dopo la morte del dante causa si prospetta come possibilità di esercitare quel diritto. E questa Corte ha già chiarito che la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo articolo 4 per la proposizione della domanda (Cass. n. 27719 del 30 dic. 2009)".

Il decreto impugnato, dunque, deve essere cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte può decidere la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

All’uopo deve essere applicato il principio per il quale in tema di equa riparazione per la irragionevole durata del processo, la fonte del riconoscimento del relativo diritto non deve essere ravvisata nella sola L. n. 89 del 2001, poichè il fatto costitutivo del diritto attribuito dalla legge nazionale coincide con la violazione della norma contenuta nell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. n. 848 del 1955, condizionatamente all’accettazione della clausola opzionale recante il riconoscimento da parte degli Stati contraenti della competenza della Commissione (oggi, della Corte europea dei diritti dell’uomo), avvenuta per l’Italia il 1 agosto 1973. Pertanto, il diritto all’equa riparazione spetta anche agli eredi della parte che abbia introdotto il processo prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, dovendosi a tal fine tenere conto del periodo decorrente dalla data della domanda fino a quella del decesso dell’attore originario, al quale tuttavia, in caso di mancata costituzione in giudizio dell’erede, non può essere cumulato il periodo di pendenza successivo al decesso, attesa la mancanza di una parte processuale attiva, danneggiata dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo (Sez. 1, n. 1309/2011; Sez. 1, Sentenza n. 16284/2009; Sez. 1, n. 2983/2008; Sez. 1, n. 23416/2009).

La Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali firmata in Roma il 4.11.1950 e ratificata in Italia il 26.10.1955 prevedeva all’art. 25, paragrafo 1, che la presentazione del ricorso individuale fosse condizionata al riconoscimento delle competenze in materia da parte dell’Alta Parte contraente chiamata in causa. Tale dichiarazione è stata resa dall’Italia solo il 31.7.1973, con la conseguenza che solo i fatti successivi a tale data possono essere contestati allo Stato italiano.

In tal senso si sono pronunciate sia la Corte di Strasburgo (Br. c. Italia 19.12.1991; Ba. C. Italia 25.6.1987) e sia questa Corte (Cass. 14286/06; Sez. 1, n. 9/2008).

Pertanto nella concreta fattispecie il periodo da prendere in considerazione – sebbene il giudizio presupposto sia iniziato il 16.8.1966 – è quello dal 1.8.1973 sino al decesso del dante causa dei ricorrenti, G.L. (deceduto in data 9.6.1995). La durata complessiva è pari, quindi, a circa 22 anni.

La Corte deve procedere alla liquidazione dell’indennizzo in favore dei ricorrenti, pro-quota, nella misura complessiva di Euro 11.000,00. Ciò in applicazione della più recente giurisprudenza di questa Sezione e dei criteri desumibili dalle decisioni della Corte di Strasburgo del 2010 sui ricorsi MARTINETTI ET CAVAZZUTI c. ITALIE e GHIROTTI ET BENASSI C. ITALIE per i giudizi contabili e amministrativi e, in particolare, del principio enunciato da Sez. 1, Sentenza n. 13019 del 2010.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alle parti ricorrenti, nella qualità in atti, la somma di Euro 11.000,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determinai per il primo giudizio di merito nella somma di Euro 50 per esborsi, Euro 697,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge;

e per il presente giudizio di legittimità in Euro 965,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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