Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 11-02-2011) 29-03-2011, n. 12706

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

erale in persona del Dott. D’AMBROSIO Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

T.F. ricorre in cassazione avverso la sentenza, in data 1.06.2010, della Corte d’Appello di Roma che, in sede di rinvio dalla Suprema Corte, ha confermato la sentenza di condanna emessa, il 4.02.2002, nei suoi confronti dal Tribunale di Latina in ordine al delitto di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 4 e art. 4, n. 7.

Con un primo motivo si eccepisce la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 179, comma 1 e art. 178, comma 1, lett. c) in ordine alla omessa notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio innanzi alla Corte d’Appello ed alla errata individuazione dell’imputato come elettivamente domiciliato presso il difensore con specifica impugnazione dell’ordinanza dibattimentale dichiarativa della contumacia dell’appellante.

Si rappresenta che la terza sezione della Corte d’Appello di Roma, nonostante l’annullamento della sentenza emessa da altra sezione da parte della Corte di Cassazione per irritualità della notifica avvenuta presso lo studio del difensore e non presso il domicilio dichiarato, è ricaduta nel medesimo vizio procedurale notificando nuovamente il decreto di citazione a giudizio presso lo studio del difensore. Si precisa che nessuna variazione di domicilio è mai avvenuta. Il decreto di citazione a giudizio di appello è stato recapitato presso lo studio del difensore e l’imputato – sia nell’intestazione del decreto di citazione che nella relata di notifica – è stato erroneamente indicato come elettivamente domiciliato presso detto studio ai sensi dell’art. 161 c.p.p..

Con un secondo motivo si denuncia violazione di legge in relazione alla errata individuazione del reato di agevolazione e sfruttamento della prostituzione. Si argomenta che il ricorrente si è semplicemente limitato a fruire dell’attività della donna – con la quale aveva anche coltivato un rapporto affettivo – dedita all’attività di prostituzione, con il suo pieno consenso, dunque, avendo sempre assunto il ruolo di "cliente" nessuna delle ipotesi previste dalla L. n. 75 del 1958, art. 4 è configurabile. E lo stesso trasporto, ove ulteriormente rafforzato da una volontà di sfruttamento, non è idonea a configurare l’ipotesi delittuosa contestata, ma semplicemente costituisce un’attività, moralmente discutibile, di "protezione affettiva" nei confronti di una delle prostitute con al quale vi era un intenso legame.

Con un terzo motivo si denuncia altra violazione di legge concretizzatasi nella errata individuazione del reato di agevolazione della prostituzione. La Corte erra nel non rilevare nei fatti contestati l’inesistenza del dolo quale intenzione di agevolare o favorire, incitare, o incoraggiare l’attività di prostituzione atteso che l’imputato non ha mai agito come intermediatore nè si è atteggiato con atti concreti diretti ad incoraggiare tale attività, avendo egli, al contrario, cercato di far interrompere la prostituzione della G.R. contraendo matrimonio con essa.

Con un quarto motivo si denuncia vizio di motivazione atteso che la Corte territoriale si limita a descrivere la materialità del fatto senza evidenziare elementi che lo facciano attribuire all’imputato.

Con un quinto motivo si denuncia violazione di legge per l’erronea contestazione dell’aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7 circa la pluralità delle persone offese. Tale pluralità non emerge nè dai rilievi fotografici nè dalle testimonianze acquisite.

Con il sesto motivo si denuncia violazione di legge in ordine alla quantificazione della pena per il mancato riconoscimento della prevalenza delle concesse attenuanti generiche sulle contestate aggravanti e, comunque, per un’erronea applicazione della disposizione di cui all’art. 133 c.p..

I motivi addotti, alcuni inammissibili, in quanto non sono consentiti in sede di legittimità, perchè concernono differenti valutazioni di risultanze processuali ed allegazioni in fatto, sono comunque manifestamente infondati sicchè il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Relativamente al motivo riguardante la questione procedurale si evidenzia che, dalla lettura della relata di notifica del decreto di citazione in appello all’imputato, l’Ufficiale giudiziario ha, una prima volta, tentato la notifica presso il domicilio dell’imputato di Borgo Grappa, Via Litoranea in Latina, come indicato nell’intestazione del decreto di citazione a giudizio, non andata a buon fine in quanto il T. non è stato rinvenuto per insufficienza dell’indirizzo e, di conseguenza, ha proceduto alla notifica presso il difensore ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4.

Si rileva, dunque, che non corrisponde al vero l’assunto difensivo secondo cui nell’intestazione del decreto di citazione l’imputato è stato erroneamente indicato come elettivamente domiciliato presso il difensore.

La notifica effettuata a norma dell’art. 161 c.p.p., comma 4, dunque, è del tutto rituale.

La trattazione dei motivi che attengono alla responsabilità dell’imputato ed alla configurazione giuridica dei fatti contestati può essere unitaria.

Le argomentazioni poste a base di essi non possono essere assolutamente condivisibili.

E’ bene precisare che in fatto è rimasto provato, sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali rese dagli agenti di polizia giudiziaria ( P., D.P., L. e S.), che il T. era stato osservato più volte mentre accompagnava le giovani indicate nel capo di imputazione sul luogo ove le stesse si prostituivano e nel momento in cui le prelevava alla fine del loro turno di lavoro per condurle a casa, ed è rimasto provato altresì che era anche solito transitare a bordo della propria autovettura per i luoghi in questione, adottando quello che è notoriamente il tipico comportamento dello sfruttatore che controlla le prostitute nel mentre "lavorano".

In effetti su tali circostanze di fatto non v’è contestazione, in diritto, correttamente tali condotte sono state qualificate e ritenute dai giudici del merito integranti quelle di agevolazione e sfruttamento della prostituzione di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 4 e art. 4, n. 7.

La deduzione difensiva, come esposta nella parte narrativa, va totalmente disattesa perchè, come ha ben valutato il Giudice d’appello, l’accompagnamento abituale con la propria autovettura di una donna nel luogo in cui la stessa si prostituisce rappresenta di per sè attività di favoreggiamento, oltre che indizio di sfruttamento della prostituzione ai sensi della L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, essendo il legame sentimentale con la prostituta di fatto non incompatibile con tale attività. Tale accompagnamento – diversamente dalla semplice convivenza -costituisce, infatti, una condotta attiva, funzionalmente orientata a migliorare le condizioni organizzative per l’esercizio in concreto della prostituzione, mentre la presenza sul posto a garanzia di violenze e minacce realizza la protezione necessaria perchè il meretricio possa svolgersi.

E’ stato anche affermato, costantemente, da questa Corte (V. Sez. 3, Sentenza n. 7734 del 11/02/2000 Ud. Rv. 217176; Sez. 3, Sentenza n. 40841 del 11/10/2005 Ud. Rv. 232900) che l’instaurazione di un rapporto di convivenza di tipo familiare con una donna non discrimina, alla stregua di quanto avviene nei rapporti coniugali, l’attività di favoreggiamento e di sfruttamento della prostituzione di lei, svolta dal coniuge o dal convivente accompagnandola sul luogo di lavoro e percependo i proventi del meretricio, a nulla rilevando, data la ratio della norma incriminatrice, che i proventi della prostituzione siano impiegati nello scopo dichiarato di mandare avanti il menage familiare.

Quanto alla sussistenza dell’aggravante contestata, quella di aver commesso il fatto ai danni di più persone, la motivazione sul punto della sentenza impugnata è esaustiva e perfettamente aderente alle risultanze probatorie. Da ultimo, in ordine al trattamento sanzionatorio, si osserva che, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez. 6, 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua" vedi Cass. sez. 6, 4 agosto 1998 n. 9120 rv. 211583), ma anche, quando impone un obbligo di motivazione espressa per la concessione di un’attenuante negata dal primo giudice o per l’esclusione di un’aggravante, oppure perchè si è effettuata una differente qualificazione di un fatto o si è ritenuto insussistente un reato (Cass. sez. 5, 29 dicembre 1999 n. 14745 rv. 215198), afferma che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. 3, 16 giugno 2004 n. 26908 rv. 229298).

Orbene, alla luce di questi pacifici principi, sinteticamente riassunti, tutte le censure su questi aspetti della motivazione dell’impugnata sentenza, puntuale su ognuno di essi, sono manifestamente infondati.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore dalla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore dalla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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